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Ankara vuole sviluppare armi, ma non può fare a meno dell’Occidente

(Roma 27 ottobre 2020). Il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, sembra aumentare costantemente la spesa militare del suo Paese, con l’obiettivo di perseguire le proprie mire espansionistiche. Ciò, però, rischia di aggravare un sistema economico che deve far fronte a diverse sfide.

Secondo quanto riferito da analisti militari e riportato dal quotidiano al-Arab, attuare una politica espansionistica dell’industria bellica rappresenta una missione sempre più difficile per la Turchia. Al momento, sottolineano gli esperti, obiettivo di Erdogan sembra essere sviluppare arsenale locale. Per divenire una forte potenza regionale, Ankara ha bisogno di una “forza deterrente”, ma il Paese non può più fare affidamento su alleati occidentali tradizionali per la fornitura di armi convenzionali. Per tale motivo, la Turchia ha cercato di raggiungere un grado di autosufficienza tale da soddisfare i bisogni interni e, allo stesso tempo, da garantire la sostenibilità del settore bellico attraverso l’esportazione. A prova di ciò, evidenzia al-Arab, vi sono le diverse esibizioni in cui Ankara si è affrettata a mostrare i propri mezzi, l’ultimo dei quali il veicolo da combattimento pesante Tulpar.

Ferhat Gurini, ricercatore presso il Carnegie Endowment for International Peace, ha affermato che l’interesse della Turchia per l’industria bellica, nonostante le circostanze sfavorevoli, derivi da due fattori principali. Il primo è la distrazione dalla crisi economica interna, e il secondo è da collegarsi ad una politica estera turca “turbolenta”. Tuttavia, sono proprio tali due fattori a mettere in dubbio le effettive capacità turche di portare a compimento i suoi progetti. “Fino a che punto la Turchia potrà fare a meno dei suoi partenariati con i membri della NATO per diventare autosufficiente?” si è chiesto il ricercatore.

Stando a quanto riporta al-Arab, sembra che l’industria della difesa in Turchia stia facendo passi da gigante, ma deve affrontare una serie di problemi che potrebbero rallentare il suo sviluppo a lungo termine. Nel 2010, vi era una sola società turca nell’elenco delle 100 maggiori industrie nel campo della produzione militare. Oggi ve ne sono sette. Inoltre, dal 2015 alla fine del 2019, la quota delle importazioni di armi nel Paese è diminuita del 48%.

Da quando il Partito della Giustizia e dello Sviluppo, fondato da Erdogan, ha preso il potere nel 2002, la spesa militare è aumentata di circa 9 miliardi di dollari, raggiungendo quota 11 miliardi nella prima metà del 2020. Negli ultimi anni, inoltre, la Turchia ha investito quasi 60 miliardi di dollari in progetti nel campo della difesa e, date le tensioni greco-turche nel Mediterraneo orientale, Ankara ha istituito una divisione navale per eguagliare la marina greca. Non da ultimo, il valore delle esportazioni ha raggiunto i 2,2 miliardi di dollari alla fine del 2018, il che rende la Turchia il quattordicesimo tra i maggiori Paesi esportatori di armi nel mondo.

Gli analisti concordano sul fatto che le tecnologie sviluppate per i droni, le costruzioni navali, l’elettronica militare e i veicoli militari abbiano avuto un impulso significativo, e la Turchia è riuscita altresì a trovare un numero sempre maggiori di clienti all’estero, visti gli elevati standard tecnologici e i prezzi competitivi. Il Qatar, oltre ad essere l’alleato regionale della Turchia, è tra i suoi mercati più redditizi, a cui si aggiungono alcuni Paesi Nord-africani, l’Azerbaigian, il Pakistan, e Paesi nel Sud-Est asiatico come Indonesia e Malesia.

A detta del ricercatore Gurini, lo sviluppo dell’industria militare locale appare essere sempre di più un progetto personale di Erdogan. Ciò è stato evidenziato anche nel luglio 2018, quando il sottosegretariato dell’industria della difesa è stato posto sotto il controllo diretto della presidenza. Tuttavia, non sono poche le sfide che il capo di Stato turco deve affrontare. Tra queste, l’amministrazione statunitense ha congelato la licenza che autorizzava l’esportazione in Turchia del motore turbofan CTS-800, in parte prodotto negli Stati Uniti. Allo stesso modo, il drone turco Akıncı, il quale svolge un ruolo chiave per le forze aeree turche, si affida sui motori ucraini II-450, ma Kiev è riluttante a condividere tecnologia militare con la Turchia, a causa delle preoccupazioni dell’opinione pubblica sui diritti di proprietà tecnologica e intellettuale. Non da ultimo, le operazioni condotte nel Nord della Siria hanno spinto diversi Paesi europei a imporre un embargo, durato circa due mesi, contro la Turchia su settori primari legati all’industria bellica. Ciò ha causato perdite pari a quasi un miliardo di dollari, un costo elevato per un settore i cui ricavi non superano gli 11 miliardi di dollari all’anno.

A detta del ricercatore, Ankara è tuttora costretta a fare affidamento sulla tecnologia militare occidentale, ma si rifiuta di riconoscere questa realtà. Ad esempio, i componenti della nave da guerra anfibia TCG Anadolu sono basati sulla nave spagnola Juan Carlos I. Inoltre, un certo numero di moderne navi militari turche, tra cui la fregata Barbaros, la fregata Yavuz e la nave da attacco veloce Kilic, sono state progettate in Germania. La Turchia, nel tentativo di fabbricare un aereo da combattimento di produzione locale, si affida a una compagnia britannica che ha ridotto il livello di collaborazione con i turchi, e la Turchia sta anche ricevendo assistenza da una compagnia sudcoreana per gli aspetti tecnici legati alla fabbricazione del carro armato “Altai”. Ciò perché il settore della ricerca e sviluppo in Turchia non sembra essere ben sviluppato per attuare i progetti di base e, pertanto, sarà difficile per il Paese portare avanti i propri progetti fino in fondo.

Piera Laurenza. (Sicurezza Internazionale)

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