Sudan: colpo di stato a Khartoum, spari vicino all’ambasciata italiana. Italiani bloccati, tra loro anche un bimbo di 8 anni

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(Roma, Parigi, 15.04.2023). Le Forze di supporto rapido del generale Dagalo occupano palazzo presidenziale e aeroporto

Guerriglia a Khartoum, capitale del Sudan, sparatorie anche nei pressi dell’ambasciata italiana. «Colonne di fumo si levano dall’interno della base aerea di Marawi, fra scontri tra l’esercito e le Forze di supporto rapido (Rsf) nella base e nella vicina città»: lo riferisce su Facebook la tv Al Arabiya citando un proprio corrispondente.

«Si spara anche a Khartoum 2. Vengono usate pure armi pesanti e circolano carri armati, si sentono forti esplosioni»: lo ha riferito all’Ansa una fonte diretta nella capitale sudanese. Khartoum-2 è il settore della capitale sudanese in cui si trova l’ambasciata d’Italia.

«Le forze regolari del Sudan hanno preso il controllo del palazzo presidenziale, dell’aeroporto e del quartier generale dell’esercito a Khartoum». Lo ha detto ad Al-Jazeera il capo dell’esercito sudanese Abdel Fattah al-Burhan, rispondendo così alle affermazioni del leader dei paramilitari Rsf, Mohamed Hamdan Dagalo che, al contrario, aveva assicurato alla stessa emittente televisiva che il gruppo paramilitare si fosse ormai impossessato dei tre luoghi chiave della capitale.

Un gruppo di italiani è bloccato a Khartoum, la capitale del Sudan teatro da questa mattina di violenti scontri tra forze regolari e paramilitari delle Forze di supporto rapido (Rsf). Si tratta di cinque persone, tra cui un bambino di 8 anni, spiega all’Adnkronos Stefano Rebora, presidente dell’ong Music for Peace. «La situazione è sicuramente tesa», afferma Rebora, che parla dal compound, dalle finestre del quale «abbiamo visto colpi di tank e scontri a fuoco, proprio su Africa Road che porta all’aeroporto». «Siamo in stretto contatto con l’ambasciata e con l’ambasciatore, che sta facendo un lavoro eccellente», prosegue il presidente dell’ong, notando che gli scontri sono effetto dell’ultimatum di 24 ore che le forze governative hanno lanciato ai paramilitari e che non è stato rispettato. «Per ora non ci sono problemi per la nostra incolumità. Siamo in sicurezza, ma ovviamente l’ordine è di stare chiusi in casa», dichiara Rebora, sottolineando che se la situazione dovesse degenerare «abbiamo già messo a punto un piano per raggiungere l’ambasciata, ma ora è meno rischioso stare nel compound». Rebora racconta che «stamattina sono iniziati i primi scontri, poi degenerati con l’utilizzo di carri e dell’aviazione. Abbiamo anche documentato il volo a bassa quota di un Mig» ed evidenzia che, a differenza delle violenze del passato, gli scontri di oggi si concentrano nel centro cittadino, nella zona delle ambasciate di Amarat, nei pressi dell’aeroporto e di alcune caserme dei paramilitari. «Siamo in contatto con altri connazionali e attraverso le loro testimonianze siamo riusciti ad avere una ‘mappaturà delle violenze» in città, dice Rebora, che ha una lunga esperienza fatta di 44 missioni all’estero e maturata anche in teatri di conflitto, dall’Ucraina a Gaza. «Da notizie che abbiamo ‘sottobancò stanotte potrebbe esserci un’intensificarsi degli scontri, noi incrociamo le dita e aspettiamo», conclude.

Già mercoledì l’esercito aveva rilasciato una dichiarazione in cui avvertiva del pericolo rappresentato dal dispiegamento di forze della Rsf nella città di Marawi (o Merowe), situata vicino a una base aerea dell’esercito nello Stato settentrionale (Northern State), senza un adeguato coordinamento con l’esercito.

L’attrito fra esercito e paramilitari si sta aggravando da mesi, con differenze evidenti nei recenti scambi e controdichiarazioni da entrambe le parti. Il generale Mohamed Hamdan «Hemedti» Dagalo, comandante delle Rsf e vicepresidente del Consiglio sovrano, aveva pubblicamente respinto atti compiuti il 25 ottobre scorso dal presidente dello stesso Consiglio e comandante in capo dell’esercito, il tenente generale Abdel-Fattah Al-Burhan, definendoli un «colpo di Stato».

Di recente erano emerse divergenze anche sul processo politico per una transizione alla democrazia basato sull’accordo-quadro firmato il 5 dicembre scorso, in particolare sulle questioni della sicurezza e della riforma militare. I leader dell’esercito sudanese vorrebbero infatti integrare rapidamente le Rsf nei propri ranghi mentre Dagalo vorrebbe un calendario che potrebbe durare fino a dieci anni. L’Rsf, inoltre, vorrebbe essere sottoposta a una guida civile, riforma che l’esercito rifiuta, e chiede la rimozione di tutti gli elementi dei Fratelli Musulmani dalle forze armate come prerequisito per la riforma. Le dispute tra le due parti su queste e altre questioni stanno ritardando la firma di un accordo finale per passare a un governo civile che era prevista per il primo aprile scorso.