Raggiunto accordo storico sul confine marittimo tra Israele e Libano

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(Roma, 13 ottobre 2022). È stato trovato un accordo che divide i giacimenti di gas presenti al largo della costa di Israele e del Libano. I negoziati, in corso da anni, si sono interrotti numerose volte a causa delle ostilità tra i due Paesi, ufficialmente ancora in guerra.

L’ultimo round di negoziati – iniziato nell’ottobre 2020, con un breve stallo nel 2021 – settimana scorsa sembrava ancora destinato a fallire: il 5 ottobre il Libano ha infatti inviato quella che doveva essere la penultima revisione delle condizioni dell’accordo. Israele ha però respinto le proposte il 6 ottobre. L’11 ottobre il mediatore americano, Amos Hochstein, è però riuscito a trovare una soluzione che soddisfa entrambe le e alla fine la firma è arrivata.

I giacimenti e la questione del confine

I giacimenti sottomarini oggetto delle discussioni sono due: Qana, l’area più a nord, e Karish invece più a sud. Qana, in confronto a Karish, è più grande, ma i rilevamenti per misurarne l’effettiva estensione non sono ancora stati completati.

I negoziati vertevano principalmente sulla questione di dove tracciare il confine marittimo. I punti di partenza erano fondamentalmente tre: per Israele, la soluzione ideale era la linea 1, quella più a nord; per il Libano invece, la linea 29, più a sud. Questa, però, era stata rifiutata dalla controparte, dicendo che i negoziati potevano iniziare dalla linea 23, leggermente più a nord rispetto alla 29. A queste due si aggiungeva la linea Hof, denominata così secondo la soluzione proposta dall’ex mediatore americano Frederic Hof nel 2012. Le proposte dovevano inoltre tenere conto dei confini della Exclusive Economic Zone del Libano, la zona marittima di competenza esclusiva dello Stato a cui appartiene. Il confine trovato, denominato maritime boundary line, sembrerebbe essere un compromesso tra la linea 1 e la linea 23, secondo le coordinate indicate nell’accordo finale.

La questione del confine non si limitava però solamente al territorio marittimo: alcuni dei confini proposti partono da diversi punti sulla costa, implicando così un diverso punto di partenza del confine terrestre. La delimitazione tra il Libano e Israele, chiamata anche la “linea blu”, è sotto il controllo della missione Unifil (United Nations Interim Force in Lebanon) che pattuglia un’area di 1.060 chilometri quadrati. La linea blu, delineata nel 1978 dalle Nazioni unite per indicare la ritirata delle forze armate israeliane che avevano invaso il sud del Libano, non è da considerarsi un confine vero e proprio: questo, infatti, potrà solamente essere definito in comune accordo tra i due Stati.

Il punto di partenza del confine marittimo poteva dunque implicare in futuro anche la linea di inizio del confine terrestre: la linea 23 parte dalla località Naqura, sede tra l’altro dell’Unifil, mentre la linea 1, identificata da Israele ancora nel 2000 tramite la “linea delle boe”, partirebbe sei chilometri più a nord. Per evitare possibili conflitti, le parti contraenti del patto hanno deciso così di “ignorare” la partenza del confine marittimo, mantenendo l’attuale status quo e di rimandare la decisione ad un futuro accordo sul confine terrestre.

Le dichiarazioni politiche e le tensioni

Sia il Libano sia Israele sono prossimi alle elezioni: a Beirut il 31 ottobre finisce il mandato del presidente Michel Aoun e il parlamento dovrà nominare il suo successore. A Tel Aviv il 1° novembre si terranno le elezioni parlamentari. Il risultato dell’accordo marittimo e le eventuali concessioni rilasciate da parte di una o dell’altra parte potrebbe dunque influire sul risultato elettorale di entrambi i Paesi, ma se i negoziati non dovessero concludersi prima delle elezioni, l’accordo potrebbe saltare del tutto.

Il 5 ottobre il Deputy Speaker del parlamento libanese, Elias Bou Saab, aveva dichiarato che “le modifiche proposte da parte del governo libanese non dovrebbero alterare il corso dei negoziati” e l’accordo si troverebbe in uno stato talmente avanzato che “i negoziati si possono considerare conclusi”. Con la risposta da parte di Israele, però, l’ottimismo sulla fine dell’accordo era svanito immediatamente, ma non era la prima che le ostilità tra i due paesi hanno intralciato l’accordo.

Le tensioni maggiori dal lato libanese provengono principalmente dal partito di Hezbollah, unico gruppo armato del Paese che sta cercando di rivendicare il proprio ruolo di difensore della popolazione, guadagnato dopo la guerra dei 30 giorni combattuta contro Israele nel 2006. I legami stretti del partito con l’Iran hanno danneggiato la sua reputazione che ora sta cercando di ricostruire, presentandosi come difensore degli interessi nazionali. Le tattiche per raggiungere questo obiettivo sono state, tra le altre, inviare dei droni verso il giacimento di Karish e puntare i propri missili sui giacimenti, minacciando le imbarcazioni israeliane che vi si avvicinano prima della conclusione di un accordo. Ma Hassan Nasrallah, leader di Hezbollah, si era dichiarato pronto a tenere un “basso profilo, così da non intralciare i negoziati fondamentali per il futuro economico del Libano.”

Dal lato israeliano, invece, Benjamin Netanyahu, candidato alle elezioni con il suo partito Likud, aveva dichiarato che, nel caso vincesse, non si considererà legato da nessun accordo firmato dal governo precedente, accusando il primo ministro, Yair Lapid, di essersi arreso a Hezbollah. Lapid, insieme al ministro della difesa Benny Gantz, anche lui candidato alle elezioni, ha immediatamente accusato Netanyahu di minare la sicurezza israeliana con dichiarazioni di questo tipo e di rinforzare la propaganda di Nasrallah, già ritenuta pericolosa. Lapid inoltre si era dichiarato speranzoso del fatto che l’accesso del Libano ai giacimenti avrebbe potuto rinforzare la sua economia e così distaccare il Paese dall’influenza iraniana, facendo intendere così che un risultato “positivo” per il Libano era anche negli interessi della sicurezza nazionale israeliana.

La firma dell’accordo e la possibile ripresa del Libano

Nonostante la firma dell’accordo, ormai prossima, il rapporto tra i due paesi resta in bilico. Basta sentire le dichiarazioni rilasciate da un funzionario israeliano dopo aver rigettato le modifiche proposte dal Libano il 6 ottobre ha annunciato, a nome di Lapid, l’inizio delle estrazioni di gas dal giacimento di Karish appena possibile e il fallimento dell’accordo “in caso di minacce, da parte di Hezbollah o di chiunque altro.” Il ministro della difesa aveva inoltre già avvertito l’Idf (Israel Defense Force) di prepararsi per un’eventuale escalation verso il nord, dichiarando che se Hezbollah dovesse attaccare, sarà il Libano a pagarne il prezzo. Ma anche Nasrallah, in risposta a Bou Saab che l’11 ottobre ha detto che l’accordo raggiunto “garantisce al Libano tutti i suoi diritti”, ha espresso una “posizione di cautela da parte di Hezbollah finché l’accordo non verrà firmato” e che “durante i lavori esigui necessari a preparare un accordo che soddisfasse entrambe le parti, Hezbollah si è preparata giorno e notte per un conflitto.”

La firma dovrebbe svolgersi a Naqoura, in presenza delle delegazioni dei due Paesi ed è stata fortemente anticipata dall’amministrazione americana. Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, si è congratulato con i due Stati e l’ambasciatrice americana in Libano, Dorothy Shea, ha dichiarato che l’accordo “costruisce le basi per un Libano più stabile e prospero.” Attualmente il Libano si trova in una profonda crisi economica e i giacimenti di gas rappresentano una promessa per la ripresa futura del Paese. I lavori di rilevazione ed estrazione verranno condotti dalla compagnia francese Total, sotto concessione libanese, che gestirà anche quelli che saranno eventuali interessi da pagare a Israele, ma si tratta comunque di un processo che durerà ancora alcuni anni fino a poter rappresentare una vera entrata per l’economia dell’ex Svizzera del Medio Oriente. Nel frattempo il governo di Israele ha approvato l’accordo con il Libano, con un minimo di voti a sfavore, tra cui il ministro degli interni Ayelet Shaked. Per sottolineare l’importanza di questa intesa il testo passerà ora per il Knesset, il Parlamento israeliano, che ne prenderà visione, senza però esprimersi tramite un voto, poi alla Commissione Esteri e Difesa e dopo 14 giorni tornerà all’esecutivo per la ratifica finale, in attesa dell’approvazione del procuratore generale Gali Baharav-Miara.

Di Chiara Salvi. (Il Giornale/Inside Over)