Perché la visita di Bennett ad Abu Dhabi è storica

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(Roma, 13 dicembre 2021). Prima volta di un premier israeliano negli Emirati. Tra i temi in cima all’agenda (Iran) e quelli ai margini (questione palestinese) ecco perché e come Washington guarda agli equilibri nella regione

Dopo il viaggio a fine giugno del ministro degli Esteri Yair Lapid – storico in quanto prima visita di Stato israeliana negli Emirati Arabi Uniti dopo la firma degli Accordi di Abramo nell’estate scorsa – ora tocca al primo ministro Naftali Bennett. Due giorni negli Emirati Arabi Uniti, domenica e lunedì, per incontrare il ministro degli Esteri emiratino Abdullah bin Zayed Al Nahyan e il principe Mohammed bin Zayed Al Nahyan, il leader de facto. Ospitalità “molto calda”, “siamo decisi a rafforzare il rapporto” bilaterale, sono state le prime parole del capo del governo di Gerusalemme atterrato ad Abu Dhabi per una visita “volta ad approfondire la cooperazione tra i Paesi, in tutti i campi”. “In un solo anno dalla normalizzazione delle nostre relazioni, abbiamo già visto lo straordinario potenziale della partnership Israele-Emirati Arabi Uniti. Questo è solo l’inizio”, ha aggiunto Bennett.

La visita di Bennett segue una tempistica molto interessante. Nei giorni scorsi infatti ad Abu Dhabi c’era l’erede al trono saudita, Mohammed bin Salman, per incontri funzionali a riallineare le relazioni tra i due più grandi player (insieme al Qatar) del Golfo. Riad aveva perso infatti un po’ di smalto con gli emiratini, anche perché questi avevano cambiato alcune posture, approcci e visioni in politica estera e regionale. Cambiamenti legati alla necessità di cavalcare il momento tatticamente distensivo delle relazioni nella regione.

Momento che aveva portato agli Accordi di Abramo per un reset dei rapporti con Israele — accordi e reset che per ora appare più complicati per i sauditi, custodi dei luoghi sacri dell’Islam. Le relazioni tra emiratini e israeliani rientrano anche in questo quadro e per questa ragione i sauditi ne sono particolarmente interessati — comprendendo inoltre che la questione interessa, e molto, l’amministrazione Biden, che vuole questo genere di riassetto e equilibrio come racconta l’enfasi comunicativa data a intese come quella energetica tra Israele, Emirati e Giordania.

In cima all’agenda dei lavori c’è – ed è inevitabile – il programma nucleare iraniano, con i tentativi di dare nuova vita all’accordo del 2015. Nei giorni scorsi Tahnoon bin Zayed Al Nahyan, consigliere per la sicurezza nazionale emiratino, era volato a Teheran per incontrare la sua controparte iraniana e anche il presidente Ebrahim Raisi. Scrive Reuters che “gli Emirati Arabi Uniti camminano sul filo del rasoio tra Stati Uniti, Israele e Iran”, cioè tra una superpotenza alleata, un nuovo amico e un vecchio avversario. È un equilibrio cercato da Abu Dhabi per necessità. Washington è l’alleato per eccellenza, mentre le nuove dinamiche create comportano un allineamento con le necessità israeliane, che per quanto riguardano la politica regionale si rivolgono molto al contrastare Teheran.

Il tema non è distante, anzi è stato per molto tempo il centro della linea degli emiratini, la cui condivisione con gli israeliani ha fatto da catalizzatore agli Accordi di Abramo. Però attualmente le volontà dell’erede al trono bin Zayed sono più orientate a una qualche forma di distensione, necessaria per sostenere la strategia di crescita del ruolo diplomatico ed economico. Allo stesso tempo questo genere di contatti con la Repubblica islamica non dispiacciono a Gerusalemme, che non può parlare con il nemico ma accetta che un alleato fidato – con cui condivide le divisioni quasi esistenziali con(tro) l’Iran – si occupi di aprire una forma di dialogo.

Nelle stesse ore del faccia a faccia tra Bennett e bin Zayed negli Emirati Arabi Uniti è attesa Andrea Gacki, che guida l’Ofac, cioè l’ufficio del Tesoro statunitense che si occupa di sanzioni. Gli Emirati Arabi Uniti sono un importante alleato degli Stati Uniti, ma anche il secondo partner commerciale dell’Iran e un canale per le transazioni commerciali e finanziarie di Teheran con altri Paesi. L’amministrazione Biden incontrerà aziende petrolchimiche e altre aziende private e banche locali per recapitare un avvertimento: Washington vede le transazioni non conformi alle sanzioni e chi continua affronterà rischi seri. La decisione di aumentare la pressione sugli Emirati Arabi Uniti, ha spiegato il Wall Street Journal, riflette in parte il ruolo che le aziende del Paese svolgono nel commercio iraniano ed è in parte volto a evitare uno scontro con la Cina, il principale partner commerciale e importatore di petrolio dell’Iran. I funzionari occidentali vogliono lavorare con Pechino durante i colloqui per spingere l’Iran a scendere a compromessi e, per ora, stanno usando gli sforzi diplomatici per persuadere la Cina ad arginare le importazioni di petrolio iraniano. Inoltre, reduce da un viaggio negli Emirati Arabi Uniti e prossima a un passaggio in Israele è Victoria Nuland, sottosegretaria per gli Affari politici del dipartimento di Stato americano.

Tema nascosto negli incontri la questione palestinese, non centrale tra i temi di carattere strategico ma piuttosto importante a livello di narrazione. La visita di Bennett “viola il consenso arabo che dovrebbe sostenere la causa palestinese in mezzo alle sfide imposte dall’occupazione” israeliana, ha detto a Reuters Wasel Abu Youssef dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina. Come dimostrato nei recenti contatti tra Gerusalemme e Amman, la questione israelo-palestinese resta nei comunicati ufficiali come argomento affrontato tra i vari interlocutori, sebbene sembri più per forma (o pro-forma) che per profondo interessamento. A maggior ragione in questo momento in cui si sono riaccese tensioni interne tra israeliani e palestinesi la questione viene trattata per non farla finire nel dimenticatoio e per rendere più efficaci e operativi gli avvicinamenti.

Di Gabriele Carrer ed Emanuele Rossi. (Formiche)