Le sfide di Biden nel Mediterraneo: ecco cosa rischia l’Italia

0
473

(Roma 20 dicembre 2020). Il Mediterraneo resta il grande punto interrogativo della strategia degli Stati Uniti. Negli ultimi decenni, il Mediterraneo è stato visto sostanzialmente come uno specchio d’acqua gestito da Washington attraverso le proprie forze e quelle degli alleati. Erano le forze Usa e quelle dei partner Nato (e non) a permettere all’America di controllare le due porte di accesso di Suez e Gibilterra e di conseguenza tutto quel grande stretto tra Atlantico e oceano Indiano che è appunto il Mediterraneo: lasciando così attivo un flusso continuo di uomini, merci e capitali. E quindi di influenza.

Le certezze americane si sono però scontrate con una realtà in rapida evoluzione, in cui quello che sembrava un “lago” americano rischia di ora di trasformarsi definitivamente in un grande teatro di scontro tra gli Stati Uniti e le grandi potenze coinvolte nell’area mediterranea: in primis Cina e Russia. Ovviamente questo non significa che gli Stati Uniti stiano cedendo il Mediterraneo, ma quello che è abbastanza chiaro è che di fronte alla crescita esponenziale del pericolo cinese – questo stando agli strateghi del Pentagono – sia necessario per Washington in rimodulazione dei suoi impegni sul fonte internazionale, spostando il focus dal Mediterraneo all’Indo-Pacifico. Una scelta che non può non lasciare vittime sul terreno, specialmente nell’area nordafricana e mediorientale. Ma che rischia di avere enormi conseguenze sulla stessa stabilità dell’area euro-mediterranea.

Joe Biden si trova ora a dover gestire questa difficile fase di transizione. E la questione non è certamente semplice. Washington non può abbandonare il Mediterraneo dal momento che è un mare dove sono presenti alleati strategici e dove Mosca e Pechino non vedono l’ora di sfruttare gli spazi lasciati vuoti dal rimodellamento degli impegni Usa. Ma per evitare che questi vuoti di potere creino ulteriore instabilità o inserimento di nemici strategici dove prima regnava la sfera di influenza americana, l’unica soluzione è quella di bussare alle porte degli alleati. Scelta che rischia però di essere particolarmente complessa per due ordini di ragioni: bisogna capire chi sono gli alleati su cui fare affidamento e soprattutto capire chi sia realmente interessato a esserlo. Domande cui non sembra così semplice rispondere.

In questi ultimi anni, Donald Trump ha fatto intendere che l’idea americana sia quella di fidarsi sempre meno sia della struttura europea che dell’asse franco-tedesco. Il presidente uscente aveva degli eccessi nei confronti di Berlino e di Bruxelles, ma quelle idee espresse in modo spesso disordinato da parte di Trump non erano semplici esternazioni, ma avvertimenti che rappresentavano il pensiero di una buona fetta di strateghi americani. Gli stessi strateghi che sembrano aver volto lo sguardo, da qualche tempo, sia sul fronte greco-turco che su quello dell’intero Nord Africa, dove alcuni Stati sembrano particolarmente inclini a svolgere un ruolo di primo piano nella strategia americana nell’area mediterranea. E dove si moltiplicano i fattori di rischio.

Biden ha diversi dossier mediterranei davanti ai propri occhi. Ha una Libia in fiamme su cui dovrà mettere la testa il prima possibile, ha un rapporto con la Turchia sempre più difficile certificato dall’ultimo monito lanciato da Washington – e cioè le sanzioni per gli S-400 russi, si trova un’alleanza sempre più solida con Marocco e Tunisia che può sfruttare per stabilizzare l’area nordafricana, mentre l’Egitto sarebbe ben lieto di tornare a essere un valido partner americano pur avendo da molto tempo rapporti eccellenti con Cina e Russia. In tutto questo, non si placano le tensione sulla faglia tra Grecia, Turchia e Cipro, mentre Israele, dopo la normalizzazione dei rapporti con molti Paesi arabi, potrebbe diventare un nuovo hub per gli idrocarburi del Golfo nel Mediterraneo. Se a questo si aggiunge il rischio di un nuovo grande fronte mediterraneo con Cina e Russia, è abbastanza evidente che la nuova amministrazione americana dovrà mettere mano al nodo Mare Nostrum prima che siano altre superpotenze a prendere il sopravvento.

Finora, il futuro presidente Biden appare concentrato sul fronte turco. Le sanzioni, come dicevamo, sono state un avvertimento rivolto a Recep Tayyip Erdogan per fermare la sua liaison con Mosca. Non va poi dimenticato che gli americani hanno anche rafforzato la loro presenza militare in Grecia, quasi a ricordare ad Ankara i pericoli di una escalation con l’Occidente. Tuttavia, al netto di questi messaggi, Ankara resta il secondo esercito della Nato oltre che un tassello imprescindibile dell’Alleanza atlantica. Colpire troppo Erdogan potrebbe essere un boomerang dai risvolti molto peggiori per gli Usa rispetto all’instabilità provocata dallo stesso Sultano.

Questo interesse per il fronte turco fa comprendere però quale sia in realtà l’orientamento strategico americano per l’area euro-mediterranea. Vero che ora è aperto il tavolo con la Turchia, ma il fatto che gli Usa siano sempre più inclini a guardare a oriente del bacino, dimostra che il focus del Mediterraneo, per gli Usa, è sempre più decentrato. Oggi l’America guarda al Mediterraneo allargato con una logica in cui si inserisce non solo il fronte con la Russia, ma tutto il mondo mediorientale, porta di accesso per la Via della Seta in Europa.

Per farlo però occorre che il Mediterraneo centrale sia stabilizzato. Ed ecco che entra in gioco la Libia, ma anche l’Italia. In un recente articolo de La Stampa, si è posto l’accento sul commento di Michael Carpenter, consigliere di Biden per gli esteri, che ha sottolineato come “l’Italia sarà enormemente importante per la strategia meridionale della Nato, che va rafforzata”. Parole che sembrerebbero far presagire un maggiore coinvolgimento italiano nelle scelte Usa nell’area di nostra competenza, ma che non devono però trarre in inganno. L’Italia è un partner molto importante per gli Stati Uniti, tuttavia non è detto che questo porti a un maggiore potere di Roma su alcuni dossier che la coinvolgono direttamente – leggi Libia – quanto semmai a una maggiore richiesta di chiarezza da parte degli americani. L’Italia si è dimostrata troppo tentennante sul fronte cinese, non piace per i rapporti con la Russia, e sul fronte libico le sue capacità operative sono state offuscate prima dalla guerra diplomatica con la Francia, poi dal coinvolgimento diretto di Russia e Turchia, che hanno di fatto estromesso l’Europa dal conflitto. Problemi basilari per qualsiasi amministrazione americana, tanto che lo stesso Carpenter ha ribadito che il compito della nuova presidenza sia quello favorire, per tutto il fronte Mediterraneo, un coordinamento nella Nato e nella Ue. Coordinamento che aiuti a superare le rivalità interne all’Europa, in primis tra Italia e Francia, e assegnare un ruolo di guida all’Unione europea. Pur apprezzando lo sforzo italiano in Libia.

Morale: la possibile scelta di Biden di dare un peso maggiore all’Unione europea potrebbe essere un’arma a doppio taglio. L’Italia è considerata fondamentale nello scacchiere mediterraneo, ma a Biden interesse soprattutto frenare la Russia a est così come la Cina. Per stabilizzare la Libia, Carpenter ha parlato di un ruolo dell’Europa: ma è a tutti evidente che l’Ue non è guidata dall’Italia, quanto da Francia e Germania. E visto che la Francia ha voglia di grandeur in Sahel mentre la Germania di un’ancora nel Mediterraneo, l’Italia rischia di rimanere ferma al palo in attesa di nuove direttive su cosa fare e come poter riabilitarsi agli occhi Usa. Se il dossier Libia e Mediterraneo orientale passa all’Ue, Roma di fatto verrebbe tagliata fuori. E lo spostamento dell’occhio di Washington su Grecia, Turchia ed Egitto, rischia di far saltare definitivamente il banco per chiunque sieda a Palazzo Chigi.

Lorenzo Vita. (Inside Over)