Amnesty denuncia le torture praticate da Teheran

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(Roma 08 settembre 2020). Amnesty ha raccolto centinaia di testimonianze di iraniani incarcerati dopo le manifestazioni di protesta andate in scena nel Paese a fine 2019.

Un recente rapporto di Amnesty International fa luce sulle tecniche di tortura messe in atto dalle autorità iraniane ai danni dei detenuti. Le sevizie riportate sarebbero state inflitte a centinaia di prigionieri arrestati nel Paese islamico a partire dal novembre dello scorso anno. In quel periodo, la repubblica sciita era scossa da manifestazioni di protesta contro l’aumento del prezzo della benzina, stroncate allora dal governo mediante arresti di massa e una stretta contro il web. Tali raid della polizia avrebbero determinato l’incarcerazione di, presumibilmente, 7.000 persone.

Il dossier dell’ong umanitaria riporta quindi circa le torture praticate dalla repubblica degli ayatollah, delle denunce avanzate da oltre 500 di quelle migliaia di persone imprigionate con l’accusa di avere partecipato alle proteste citate contro il caro-vita. A fornire all’associazione i raccapriccianti racconti sono stati « difensori dei diritti umani, attivisti per i diritti delle minoranze, comuni cittadini tra cui minori di 10 anni, persone prelevate dagli ospedali dove erano state ricoverate, giornalisti e persone che prendevano parte alle commemorazioni funebri dei manifestanti uccisi ». In generale, il documento di Amnesty consiste in un « catalogo di scioccanti violazioni dei diritti umani, tra cui detenzioni arbitrarie, sparizioni forzate, torture e altri maltrattamenti ».

Nel dettaglio, i carcerieri iraniani avrebbero sottoposto i detenuti interpellati da Amnesty a trattamenti davvero diabolici:

water boarding, percosse, scosse elettriche, spruzzature di pepe sui genitali, violenza sessuale, finte esecuzioni, asportazione delle unghie di mani e piedi e persino la « posizione del pollo arrosto“. Quest’ultima prevede che il prigioniero sia tenuto sospeso a testa in giù, legato polsi e ginocchia a una sbarra e sottoposto a ulteriori sevizie. Una delle vittime di tale trattamento ha rivelato all’ong: « Il dolore era atroce. Il corpo era sotto pressione al punto che urinavo su me stesso. La mia famiglia sa che sono stato torturato, ma non sanno il modo ».

L’accanimento, da parte della polizia e degli agenti dell’intelligence iraniani, ai danni dei prigionieri era inteso a constringere gli interrogati a confessare il loro coinvolgimento nei cortei di protesta organizzati nel Paese a partire dal novembre del 2019, classificati dal regime come una grave minaccia all’ordine pubblico. In particolare, i carcierieri torturavano gli arrestati affinché questi ultimi confessassero un loro coinvolgimento nelle proteste, l’appartenenza a gruppi di opposizione o contatti con governi e media stranieri.

I soggetti seviziati che hanno denunciato all’ong i maltrattamenti subiti erano stati tutti incriminati da Teheran per « raduni e cospirazioni finalizzati a commettere crimini contro la sicurezza nazionale, diffusione di propaganda contro il sistema, disturbo dell’ordine pubblico e oltraggio alla Guida Suprema ». Per tali capi di imputazione, la legge locale commina condanne che vanno da un mese a 10 anni di carcere.

All’indomani della pubblicazione del dossier-choc di Amnesty sulle torture praticate dalle autorità iraniane contro chi protesta, i vertici dell’associaizone umanitaria hanno rincarato la dose contro la repubblica islamica. Diana Eltahawy, vicedirettore di Amnesty International per il Medio Oriente e il Nord Africa, ha infatti tuonato: « Invece di indagare sulle accuse di sparizione forzata, tortura, maltrattamenti e altri reati contro i detenuti, i pubblici ministeri iraniani sono diventati complici della campagna di repressione accusando centinaia di persone ».

(Gerry Freda – il Giornale).  (L’articolo)