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Stallo alla nigerina. Ecco perché nel Sahel tutto tace

(Roma, 08.08.2023). Nonostante la scadenza dell’ultimatum, l’Ecowas non ha ancora attuato nessuna azione militare nei confronti dei golpisti che hanno preso il potere a Niamey. E una serie di motivazioni interne e internazionali lasciano pensare che difficilmente lo faranno. Lasciando che sia la diplomazia a ricoprire il ruolo da protagonista

Allo scoccare della mezzanotte tra domenica 6 e lunedì 7 agosto è scaduto l’ultimatum lanciato dall’Ecowas, la comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale, nei confronti dei militari che tramite un golpe hanno preso il potere in Niger. Ma, a quarantotto ore di distanza, nessun’azione è stata intrapresa dai Paesi membri dell’organizzazione africana nei confronti degli autori del putsch. Dietro a questo stallo si nascondono non solo una certa debolezza interna dell’Ecowas stesso, ma anche la complessità delle dinamiche e l’instabilità securitaria tanto della regione quanto del Niger stesso.

Innanzitutto vi è la questione della presa sul potere da parte dei golpisti: il governo del Consiglio Nazionale di Salvezza della Patria (così si sono nominati i fedeli del ribelle Omar Tchiani) gode del supporto della Guardia Presidenziale (guidata fino a pochi giorni fa da Tchiani stesso) e dei vertici delle forze di sicurezza nazionali, che nonostante nelle prime ore del coup d’etat avessero minacciato un intervento violento per ristabilire l’ordine hanno in seguito deciso di appoggiare la transizione e di unirsi all’esecutivo; inoltre, una parte della popolazione si è dimostrata favorevole al nuovo esecutivo, come dimostrato dalle manifestazioni nazionaliste e anti-occidentali che hanno avuto luogo nei giorni scorsi. I cittadini che hanno protestato contro la deposizione del presidente eletto Mohamed Bazoum e l’instaurazione del regime militare sono decisamente di meno di quelli del campo avverso, ma hanno comunque dimostrato di esserci. Inoltre, sebbene le gerarchie militari abbiano preso posizione a favore del golpe, non è ancora chiaro se lo stesso sentimento dei vertici sia condiviso anche dai 30.000 soldati che compongono l’apparato di sicurezza nigerino, soldati che sono peraltro stati addestrati da parte delle forze armate italiane e che quindi potrebbero essere in qualche modo più sensibili ai valori liberali.

Nella situazione sociale interna vi è dunque la possibilità di un ritorno alla democrazia senza interferenze esterne. Anzi, un intervento militare rischierebbe soltanto di peggiorare la situazione, risvegliando l’animo nazionalista della popolazione che si schiererebbe a quadrato intorno all’attuale esecutivo. E, anche in caso di successo, la legittimità di un presidente reinstallato al vertice dello Stato da potenze straniere, per quanto precedentemente eletto democraticamente, sarebbe fortemente questionabile. Un fattore, questo, che scoraggia ulteriormente l’Ecowas dal ricorrere all’uso della forza.

A cui se ne aggiungo altri, di carattere più ampio. Come ad esempio la grave situazione securitaria del Paese: il Niger è un Paese afflitto dall’estremismo jihadista, con gruppi che operano sia al confine con la Nigeria che nell’area vicino alla frontiera con il Mali. Un’eventuale offensiva contro il Niger e contro le sue strutture militari offrirebbe a queste organizzazioni terroristiche immense opportunità di proliferazione, creando così una minaccia altrettanto grande (se non di più) rispetto a quella che si cercherebbe di combattere.

A scoraggiare ulteriormente la minacciata operazione militare è la frattura esistente all’interno dell’Ecowas stessa. Una parte dei suoi Stati membri che comprende il Mali, il Burkina Faso e la Guinea, è retta da regimi militari instauratisi tramite colpo di Stato esattamente come quello avvenuto in Niger, e un intervento militare per ristabilire lo status quo ante a Niamey sarebbe soltanto dannoso per la loro legittimità: per questo motivo due degli stati già menzionati in precedenza, ovvero Mali e Burkina Faso, hanno dichiarato che in caso di attacco essi si schiereranno in difesa dell’attuale governo nigerino. Ma anche nei paesi-membri a guida democratica le pressioni interne sono forti: Senegal, Costa d’Avorio e Nigeria (che in questo momento è al suo turno di guida dell’Ecowas) stanno affrontando forti opposizioni interne e disordini come risposta all’aver ventilato l’opzione militare in Niger.

Una situazione cristallizzata dunque, che lascia pochi margini per una soluzione di stampo militare. Ma che offre alcuni spiragli per l’azione diplomatica, purché condotta dai giusti attori. I tentativi di negoziazione portati avanti dall’Ecowas all’indomani del golpe hanno avuto un esito fallimentare, con i membri della giunta militare che si sono rifiutati di incontrare i rappresentanti dell’organizzazione. Non però è da escludere che ulteriori tentativi di contatto possano invece concretizzarsi.

Cosa che invece difficilmente potrebbe accadere con la Francia, considerando come si sono degradati i rapporti tra Niamey e l’ex-potenza coloniale dalla salita al potere dei militari: le accuse reciproche, con Parigi che incolpava Niamey di promuovere le manifestazioni anti-francesi e Niamey che invece tacciava Parigi di voler bombardare il palazzo presidenziale, sono culminate nella denuncia da parte del Consiglio nazionale di salvezza della Patria dell’accordo di cooperazione militare tra Francia e Niger. Un duro colpo per i francesi, che nel 2022 avevano trasformato il Niger nel fulcro del suo sistema di sicurezza nel Sahel in seguito all’evolversi del contesto in Mali e Burkina Faso. Alla luce di ciò, l’Eliseo non rappresenta certo un interlocutore privilegiato.

Al momento, le sponde di contatto che i golpisti sembrano preferire sono Roma e Washington. Tramite un tweet, il ministro della Difesa Guido Crosetto ha confermato l’esistenza di contatti tra rappresentanti militari italiani ed esponenti della giunta nigerina, suggerendo tra le righe un certo ottimismo nei confronti di questo dialogo. E anche Victoria Nuland, sottosegretario di Stato per gli affari politici nell’amministrazione guidata da Joe Biden, ha avuto un incontro con alcuni rappresentanti dell’esecutivo nigerino in carica, senza però riuscire ad arrivare ad un compromesso. Timidi segnali di un possibile negoziato, che risulterebbe di interesse per tutte le parti coinvolte.

Tanto Niamey che l’Ecowas ed anche i principali attori internazionali sono interessati a mantenere la stabilità nel paese e nella regione. Ma, allo stesso tempo, la permanenza del regime democratico in Niger non può essere in alcun modo oggetto di compromesso, come sottolinea Nuland stessa. Se l’attuale giunta militare si rivelasse disposta ad accettare una transizione democratica garantita da enti terzi (siano essi organizzazioni internazionali o singoli Stati), non è da escludere che l’attuale crisi possa venire risolta con una soluzione negoziale. Che rappresenterebbe probabilmente l’opzione più viabile per uscire da questo impasse.

Di Lorenzo Piccioli. (Formiche)

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