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Come Kiev ha neutralizzato i droni iraniani

(Roma, Parigi, 05.01.2023). I sistemi Gepard forniti dalla Germania sono stati cruciali finora, ma c’è un problema di munizioni. Gli Usa hanno un piano B. Mosca avrebbe ancora un migliaio di velivoli, al ritmo attuale basterebbero fino a maggio

Tutto il fronte dell’invasione russa dell’Ucraina, dalla regione di Luhansk a Nord-Est fino alla foce del Dnipro a sud, è in sostanziale stallo: il terreno fangoso, da metà novembre, ha impedito avanzamenti significativi a entrambi gli eserciti. Non è detto che questa situazione continui a lungo, le previsioni indicano che nei prossimi giorni le temperature scenderanno sottozero, il terreno gelerà e sarà più facile muovere le truppe. Intanto, però, si è combattuto soprattutto nei cieli. Kiev, ricorrendo anche a droni sovietici Tupolev risalenti agli anni ‘70 e rimodernati all’occorenza, colpisce sistematicamente obiettivi militari dietro le linee nemiche, nelle regioni occupate e anche in territorio russo, mentre Mosca prende di mira soprattutto le infrastrutture energetiche con l’obiettivo, fin qui mancato, di indebolire il sostegno popolare alla presidenza e alle forze armate.

Questa campagna missilistica russa solleva interrogativi sulle dimensioni dell’arsenale di cui dispone l’aggressore, e su quanto potrà durare. Poco, secondo quanto ripete Kiev da tempo. Lo scorso 29 dicembre il ministero della Difesa russo ha assicurato che non c’è alcun rischio che Mosca resti a corto di missili ad alta precisione. Tuttavia, l’analisi dei rottami di quelli lanciati contro l’Ucraina nelle ultime settimane ha mostrato che sono stati in gran parte prodotti nel quarto trimestre del 2022: ciò potrebbe indicare che le scorte, i missili fabbricati in precedenza, siano effettivamente esauriti.

Un altro dato che la Russia ricorre con sempre maggiore frequenza ai droni di fabbricazione iraniana. I servizi militari ucraini hanno riferito il 4 gennaio che le forze russe hanno utilizzato circa 660 droni Shahed-131 e Shahed-136 da settembre a oggi e che la commessa concordata tra il Cremlino e Teheran sarebbe di 1750 unità. Secondo i calcoli del think tank statunitense Institute for the Study of War (Isw), continuando a utilizzare i droni iraniani al ritmo attuale Mosca li finirebbe il prossimo maggio. È probabile però che cercherà di acquistarne altri.

La possibilità di intercettare ed abbattere questi droni, per Kiev, è dunque cruciale. In occasione degli ultimi raid, come quello di Capodanno, la contraerea ucraina si è mostrata molto efficace, fermando tutti o quasi i velivoli senza pilota. Secondo la testata statunitense Politico, che cita fonti vicine al governo di Kiev, una parte significativa del merito va al sistema antiaereo Gepard fornito in 30 esemplari dalla Germania, rivelatosi estremamente efficiente. Il problema però è che le munizioni per i Gepard vanno rapidamente esaurendosi. Il produttore Rheinmetall intende aprire una nuova linea di produzione di questi proiettili da 35 millimetri, ma le prime forniture arriveranno solo il prossimo autunno. Ne ha circa 12 mila la Svizzera, ma adducendo la propria storica neutralità rifiuta di consegnarne a Kiev.

Un’alternativa c’è: gli Stati Uniti starebbero pensando di recuperare dai depositi e rimodernare le munizioni per i sistemi di difesa Hawk, dimessi negli anni ’90 per essere rimpiazzati dai più moderni Patriot. Sistemi di lancio adatti verrebbero forniti dalla Spagna.

Al contempo, Washington sta studiando come colpire la produzione di droni da parte dell’Iran, ricorrendo a sanzioni, controllo delle esportazioni e colloqui con società private che ne producono i componenti: « Stiamo valutando che misure possiamo adottare per limitare l’accesso dell’Iran alle tecnologie utilizzate nei droni », ha affermato la portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca Adrienne Watson.

(Rai News)

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