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Cosa significa la «guerra totale» che la Russia è pronta a proclamare in Ucraina

(Roma, 06 maggio 2022). l presidente russo Vladimir Putin potrebbe dichiarare formalmente guerra all’Ucraina il 9 maggio prossimo, in concomitanza con le celebrazioni per la vittoria nella Seconda guerra mondiale. Questa decisione non solleva lo spettro di un conflitto nucleare tra la Russia e la Nato, ma si tratta di una mossa che consentirebbe a Mosca di effettuare la piena mobilitazione delle sue forze armate con la prospettiva di poter riuscire a concludere il conflitto in tempi brevi, stante le palesi difficoltà incontrate dall’esercito russo in questi più di due mesi di combattimenti.

Sino a qualche giorno fa si riteneva che il presidente Putin potesse utilizzare quella particolare giornata per fini propagandistici, annunciando il termine della “operazione militare speciale”, ma recentemente la narrazione del Cremlino è cambiata, arrivando a parlare di “guerra totale”, ovvero della formalizzazione del conflitto contro l’Ucraina.

Una formale dichiarazione di guerra potrebbe potenzialmente rafforzare il sostegno pubblico all’invasione e prepararla per un conflitto che potrebbe essere di lungo periodo, in quanto Mosca sa che il sostegno militare occidentale a Kiev sta dando filo da torcere ai gruppi tattici di battaglioni (Btg) russi e alla sua aviazione.

Secondo la legge russa, inoltre, questa soluzione consentirebbe anche di arruolare nuovi coscritti, che orientativamente andrebbero a rimpolpare tutto il meccanismo della logistica nelle retrovie e soprattutto si occuperebbero del controllo dei territori occupati, liberando così i reparti di punta, composti da professionisti, da questo compito gravoso.

Le perdite russe, secondo i rapporto dell’intelligence occidentale, si aggirerebbero tra i 10 e i 15 mila uomini: un numero non esorbitante ma se consideriamo un rapporto morti/feriti di circa 1 a 3, significa che tra i 30 e i 45mila uomini sono “fuori combattimento” rappresentando quindi quasi la metà (ma sicuramente un terzo) delle truppe impiegate in prima linea.

Altre opzioni per il 9 maggio, che però esulano la “guerra totale” del Cremlino, includono l’annessione dei territori separatisti di Luhansk e Donetsk nell’Ucraina orientale, oltre a cercare di imbastire un’offensiva imponente verso Odessa (considerabile ancora come uno degli obiettivi russi) o dichiarare il pieno controllo sulla città portuale di Mariupol che permetterebbe di certificare il possesso della fascia costiera che va dalla Crimea alla Federazione, ovvero il primo obiettivo strategico che Mosca ha conseguito in questo conflitto.

Da questo punto di vista gli Stati Uniti hanno rapporti di intelligence “altamente credibili” secondo cui la Russia cercherà di annettere Luhansk e Donetsk verso la metà di maggio, come affermato lunedì dall’ambasciatore degli Stati Uniti all’Osce Michael Carpenter, e si pensa che la Russia stia progettando anche di dichiarare (e annettere) una “repubblica popolare” nella città di Kherson che, come abbiamo già visto, rappresenta uno snodo cruciale per l’occupazione russa dell’Ucraina.

La “guerra totale” russa, con dichiarazione ufficiale annessa, servirebbe anche per avere un contesto giuridico formale in campo internazionale e avere la liceità, in caso di vittoria schiacciante, di richiedere a Kiev una “resa senza condizioni” quindi la fine dello stato ucraino così come lo conosciamo.

Quello che possiamo affermare con certezza è che questa decisione, al di là delle intenzioni del Cremlino, significherà un prolungamento temporale del conflitto in quanto avrà come risultato il maggiore impegno da parte occidentale per il sostegno delle forze armate ucraine. La guerra, pertanto, come già previsto dall’intelligence statunitense, potrebbe protrarsi sino a tutto il 2023, ma plausibilmente trasformandosi gradualmente in un conflitto a bassa intensità per via del conseguente dissanguamento delle risorse belliche ed economiche della Russia, che, nonostante la mobilitazione generale, che diamo quasi per certa, avrebbe serie difficoltà a mantenere alto il livello delle operazioni belliche stante le sanzioni internazionali sempre più coercitive a cui è sottoposta.

C’è chi ritiene che la dichiarazione di guerra sia esclusivamente funzionale ad aumentare ulteriormente il livello della propaganda di Mosca per distrarre l’opinione pubblica interna dai tattici e strategici sul campo di battaglia: anche qui c’è un fondo di verità vista la narrazione dei media russi sulla possibilità di un conflitto atomico, ma molto probabilmente con una sola mossa il Cremlino cercherà di ottenere tutti (o quasi) gli obiettivi elencati sino a ora, con l’unica forte incertezza riguardante l’annessione delle repubbliche separatiste del Donbass.

Alcuni pensano anche che la formalizzazione del conflitto permetta a Mosca di chiedere il sostegno diretto dei suoi alleati nel conflitto: riteniamo che questa possibilità sia remota (se pur non impossibile), in quanto anche quei Paesi già sottoposti a sanzioni, come la Bielorussia o l’Iran, si guarderebbero bene dall’inviare truppe in via ufficiale per evitare un ulteriore e più castrante regime sanzionatorio.

Recentemente il Cremlino ha smentito la possibilità di una dichiarazione di guerra formale comportante un’ulteriore escalation del conflitto. Il portavoce della presidenza russa, Dmitry Peskov, ha infatti ribattuto alle accuse occidentali affermando che non ci sia alcun fondo di verità. Quello che però ci preme sottolineare è che Peskov possa aver fatto ancora una volta disinformazione, memori di quanto asserito da Mosca nei giorni precedenti il conflitto. Del resto solo un repentino miglioramento delle operazioni belliche in Ucraina potrebbero allontanare l’ipotesi di una mobilitazione in massa, e da quanto vediamo la situazione sembra non trovare uno sbocco risolutivo in questo senso. Bisogna però considerare anche la possibilità che la minaccia della “guerra totale” da parte della Russia, sia stata solamente una mossa per saggiare la reazione occidentale e di Kiev: il non innalzamento del livello di mobilitazione della Nato potrebbe paradossalmente spingere Mosca verso un impegno più massiccio delle sue forze armate per cercare di chiudere il conflitto nel più breve tempo possibile.

Anche lo spettro del conflitto atomico, come detto in apertura, non ha nulla a che fare con la “guerra totale”: in primo luogo perché il livello di approntamento delle forze nucleari strategiche non è cambiato dall’inizio del conflitto come evidenziato dalla ricognizione satellitare, che in uno dei suoi ultimi passaggi sulla base navale di Murmansk, casa dei sottomarini lanciamissili balistici della Flotta Russa, ha osservato che la maggior parte dei battelli è regolarmente ormeggiata; in secondo luogo perché il passaggio all’uso del nucleare, anche tattico come da nuova dottrina di impiego russa, è un’opzione che non avrebbe né vincitori né vinti (stante l’escalation che ne deriverebbe), e certamente sia Putin sia il suo entourage non intendono passare alla storia come coloro che hanno causato l’annientamento della civiltà nell’emisfero settentrionale terrestre.

Di Paolo Mauri. (Inside Over)

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