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La NATO tiene alta la guardia: bombardieri, caccia e ricognitori in volo in Europa

(Roma, 07 aprile 2022). I cieli europei forse non sono mai stati così affollati di velivoli militari dai tempi della Guerra Fredda. I voli degli aerei da ricognizione elettronica dei Paesi della NATO coprono, a cadenza quotidiana, tutto lo spazio aereo dell’Alleanza a ridosso dei suoi confini orientali ma non solo: l’attività navale russa nel Mediterraneo ha attivato il dispositivo di sorveglianza in un fronte che, rispetto a quello orientale, è da considerarsi tranquillo.

Cominciamo la nostra analisi proprio da quest’ultimo. Nella seconda decade del mese scorso siamo venuti a conoscenza che un sottomarino russo a propulsione nucleare da attacco (SSN) classe Shchuka-B (Akula in codice NATO), è comparso nel Mare Nostrum. Una visita inusuale di questi tempi ma non così rara come si potrebbe pensare. Gli Shchuka-B sono una serie di SSN schierati per la prima volta dalla Marina Sovietica nel 1986. Dispongono di quattro tubi lanciasiluri da 533 millimetri e quattro grandi tubi da 650 e potrebbero imbarcare fino a quaranta siluri filoguidati, mine o missili antisom SS-N-15 Starfish e SS-N-16 Stallion. Questi battelli potrebbero anche trasportare fino a dodici missili da crociera Granat in grado di colpire bersagli a terra con un raggio d’azione di circa tremila chilometri. Gli Shchuka-B non trasportano missili balistici o altri vettori a carica nucleare.

La Russia ha una presenza navale stabile nel Mediterraneo, sfruttando il porto siriano di Tartus dove sono di stanza alcune unità di diverso tipo: tra di esse si annoverano almeno due SSK (sottomarini diesel/elettrici hunter killer) della classe Kilo, corvette classe Buyan-M, fregate tipo Admiral Grigorovich e Gorshkov, navi di supporto e spia, mentre altre navi militari, come i due incrociatori della classe Slava (il Varyag e il Marshall Ustinov) e i cacciatorpediniere classe Udaloy, sono giunte nel Mediterraneo da altri settori nelle settimane precedenti il conflitto. In particolare l’incrociatore Varyag insieme al cacciatorpediniere Admiral Tributs appartengono alla Flotta russa del Pacifico e sono giunti nelle nostre acque intorno al 2 febbraio, mentre l’incrociatore Marshall Ustinov, di stanza a Severomorsk nella Flotta del Nord, ha doppiato lo Stretto di Gibilterra, tallonato dai pattugliatori marittimi della NATO (tra cui anche i nostri P-72 dell’Aeronautica Militare) qualche giorno dopo.

La presenza navale russa nel Mediterraneo non è mai stata così corposa, per tonnellaggio, dai tempi della Guerra Fredda e questo si spiega anche, ma non solo, in considerazione delle manovre aeronavali della NATO effettuate negli ultimi mesi che hanno coinvolto, a marzo, anche tre portaerei: la francese Charles de Gaulle, la statunitense Truman e l’italiana Cavour che hanno operato congiuntamente nel Mare Ionio e nel Mediterraneo Orientale.

Il naviglio russo però è stato ridispiegato anche per aumentare la pressione sul fianco meridionale dell’Alleanza in una dimostrazione di forza che ha anche coinvolto alcuni assetti aerei strategici (e non) che hanno potuto sfruttare la pista della base siriana di Hmeimim, recentemente allungata proprio per accogliere i velivoli di più lungo raggio come i bombardieri Tu-22M3, Tu-95MS e i pattugliatori marittimi Tu-142. Proprio a Hmeimim, nei giorni immediatamente precedenti il conflitto, abbiamo visto schierare per un breve periodo i Tu-22 armati di missili da crociera antinave e, in una prima assoluta per il fronte mediterraneo, i caccia MiG-31K armati di missili balistici ipersonici KH-47M2 Kinzhal. Al momento non abbiamo notato un aumento delle missioni di pattugliamento dell’U.S. Navy coi P-8A di Sigonella ma, contrariamente alla consuetudine, stanno operando nel Mediterraneo Orientale con il transponder spento.

Qualche giorno fa abbiamo però assistito a un’anomalia: un SSK russo classe Kilo è stato notato in emersione nelle acque a est di Creta. Quasi subito è stato raggiunto da una nave appoggio della classe Amur e da una corvetta classe Buyan-M a indicare che, molto probabilmente, il battello è andato incontro a un qualche tipo di importante avaria. Al due aprile l’incrociatore Varyag insieme al caccia Admiral Tributs incrociavano nello Ionio orientale mentre la Marshall Ustinov insieme al caccia Admiral Kulikov e alla fregata Admiral Kasatanov (classe Gorshkov) a sud di Creta.

Dal punto di vista prettamente aeronautico l’Alleanza, come già detto, ha attivato il suo dispositivo di ricognizione elettronica da mesi, che è stato rinforzato, già dal periodo prebellico, da pattugliamenti di caccia nello spazio aereo orientale della NATO (Romania, Polonia, Ungheria, Slovacchia) che effettuano missioni CAP (Combat Air Patrol). Tra i velivoli utilizzati, che si vanno ad affiancare a quelli della normale Air Policing dell’Alleanza che viene regolarmente effettuata sui Baltici e sulla Romania, ci sono F-16 e anche F-35A statunitensi, che a volte vengono “beccati” col transponder acceso. Queste missioni, effettuate quotidianamente, vedono il naturale supporto delle aerocisterne dell’Alleanza in modo da garantire la copertura continuativa del CAP.

Anche i bombardieri strategici statunitensi giunti nel Regno Unito, alla base aerea di Fairford, stanno avendo il loro ruolo: i B-52H effettuano missioni, anche a lungo raggio, nei cieli europei sino a quelli mediorientali per dimostrare la prontezza operativa dell’Alleanza e la sua capacità di deterrenza. Negli ultimi giorni i Buff (questo è nomignolo affibbiato ai B-52 dai piloti) hanno sorvolato quasi tutta l’Europa, Italia compresa, durante voli di pattugliamento che si sono concentrati maggiormente sul “fronte est”, ovvero nei cieli polacchi, del Baltico o rumeni.

L’attività maggiore, come detto, è quella degli aerei da ricognizione elettronica e scoperta radar. In questo la NATO è coadiuvata anche dai velivoli svedesi, che vengono utilizzati sul Mar Baltico dove la Russia ha un’importante exclave a Kaliningrad, che si può considerare quasi come un’enorme base militare. Gli assetti impiegati, tra cui si annoverano RC-135, droni RQ-4, E-3A e anche i vecchi U-2, servono sia a monitorare l’attività militare russa, sia a intercettare i segnali delle forze di Mosca. Quest’attività, che si definisce SIGINT (Signal Intelligence) è altamente preziosa per carpire i segreti dei sistemi dell’avversario, e, quando c’è un conflitto in atto, è naturale che essa aumenti esponenzialmente. Non va nemmeno dimenticato che i dati di intelligence raccolti da assetti aerei (e satellitari) statunitensi e britannici vengono forniti all’Ucraina per aiutare Kiev a difendersi dall’attacco russo, non avendo alcuno strumento proprio a disposizione per queste operazioni che, in guerra, sono vitali.

Di Paolo Mauri. (Inside Over)

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