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Il triangolo del fuoco

(Roma, 28 ottobre 2021). Quella tra Israele e Iran è una guerra ombra che non ha zone franche. Il mare, dal Golfo Persico al Mediterraneo orientale passando per Mare arabico e Rosso, è solo uno dei domini in cui si contendono le due forze. Ma il conflitto si proietta su diversi fronti, dal territorio iraniano a quello israeliano, dal dominio cyber a quello di spie. E abbraccia nel suo gioco mortale tutto il Medio Oriente.

Uno dei teatri di questa guerra ombra, non dichiarata ma senza esclusione di colpi, è la Siria. Terra martoriata che stenta a conoscere la parola “pace”. All’inizio di questa settimana, gli organi ufficiali di Damasco hanno parlato di un attacco israeliano nella zona di Quneitra. La versione è stata confermata anche dall’Osservatorio siriano per i diritti umani, il gruppo con base in Inghilterra legato alle frange ribelli. Da Israele non arrivano conferme né smentite. Una tradizione ormai consolidata dall’inizio del conflitto siriano, in cui i raid delle Israel Defense Forces (Idf) non hanno mai ricevuto conferme se non in via del tutto eccezionale. Ma è il segnale che dai comandi dello Stato ebraico l’allerta nei confronti delle mosse iraniane in Siria non sia mai cessata.

Un problema anche per gli Stati Uniti, che negli ultimi giorni hanno lanciato l’allarme. Una fonte dell’amministrazione Usa ha rivelato all’emittente Cbs che il Pentagono è certo che vi sia proprio Teheran dietro l’attacco che mercoledì scorso ha investito la base di Al Tanf, nella parte meridionale della Siria. Centcom, il comando centrale Usa, ha parlato di un attacco “deliberato e coordinato” condotto con cinque droni: un raid che non ha causato vittime, ma che ha dimostrato che questi mezzi senza pilota possono arrivare fino all’avamposto dove sono ancora dislocati 200 soldati delle forze armate statunitensi.

Un segnale che se vale per Washington, tanto più è importante per Gerusalemme. L’Iran, che si è detto pronto a tornare sul tavolo dei negoziati per trovare un accordo sul programma nucleare, è un avversario temibile che le Idf non hanno mai rimosso. Gli alleati sciiti al confine con il territorio israeliano sono uno dei principali problemi strategici dei suoi comandi. E questa spada di Damocle che pende sullo Stato ebraico è una delle armi più efficaci in mano alla Repubblica islamica, insieme alle capacità tecnologiche e militari manifestate in questi anni di conflitto. Tra queste, particolare rilevanza hanno proprio di droni: armi che stanno assumendo un ruolo sempre maggiore nel panorama bellico mondiale e che sono diventati fondamentali anche in tutti i conflitti che coinvolgono il Medio Oriente.

L’attacco ad Al Tanf (così come il raid israeliano a Quneitra) conferma che quell’area tra Siria e Israele è ancora al centro dello scontro. Israele non vuole soltanto che le forze iraniane siano lontane dai suoi confini, ma vuole anche evitare che le basi in territorio libanese e siriano e le milizie irachene legate a Teheran possano colpire il Paese da punti ancora più distanti proprio attraverso i droni. Il Times of Israel ha scritto a tal proposito che le Idf hanno avviato un programma di potenziamento di tutte le difese aeree, in particolare quelle settentrionali, per far fronte alla minaccia dei droni di fabbricazione iraniana. Secondo il quotidiano israeliano, il punto di non ritorno è stato il devastante attacco agli impianti Aramco in Arabia Saudita nel 2019: quell’episodio, in cui droni e missili investirono gli impianti petroliferi sauditi devastando uno dei principali centri del Paese, fu chiaro che la minaccia dal cielo era ben diversa da quella dei razzi della Striscia di Gaza. “È stato un attacco sofisticato che è riuscito a eludere sia le difese statunitensi che saudite. Chiunque dica che non può succedere a noi non è un professionista”, ha detto al media israeliano il maggiore Aharon Haliva.

La guerra intanto continua e lo fa, come detto su diversi domini. In quello aereo è un duello che vede droni e missili iraniani contrastare aerei e scudi antimissile israeliani. Mentre sul fronte cyber, la questione si fa ben più complessa e in questi casi gli autori degli attacchi sono ancora più difficili da scovare: un campo in cui le accuse restano tali e in cui la matrice può essere solo individuabile, ma mai accertata. Le unità delle Idf e del Mossad si muovono continuamente per colpire i centri nevralgici del programma missilistico e nucleare iraniano. Teheran sa rispondere, ma le sue capacità sembrano ancora orientate su come riuscire a non essere colpiti. Difficile capire quando l’attacco sia reale o presunto o quando sia solo frutto di propaganda per evitare di mettere in mostra le proprie lacune. Ma la lunga scia di esplosioni nelle centrali nucleari del Paese così come l’omicidio “da remoto” di Moshen Fakhrizadeh sono prove eloquenti che i nemici di Teheran sanno come condurre attacchi mirati: chirurgici e letali. L’ultimo, in ordine di tempo, sembra essere quello che ha paralizzato la rete di distributori di carburante in tutto il territorio iraniano. La televisione di Stato ha riferito che per il Consiglio supremo di Sicurezza nazionale si è trattato di un attacco informatico. Dello stesso avviso anche il presidente iraniano, Ebrahim Raisi. La guerra continua.

Di Lorenzo Vita. (Inside Over)

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