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Ashraf Ghani lascia Kabul. Afghanistan ai Talebani

(Roma, 15 agosto 2021). La capitale dell’Afghanistan è accerchiata dai Talebani, che stanno negoziando al palazzo presidenziale i termini della presa e della resa del governo. Formiche.net segue con aggiornamenti l’evoluzione dei fatti sul terreno

Aggiornamento delle 13:11. Il presidente afghano Ashraf Ghani si sarebbe dimesso. L’ex ministro degli Interni Ali Ahmad Jalali dovrebbe assumere l’amministrazione di transizione in Afghanistan. Il leader talebano Mullah Abdul Ghani Baradar diventerà il nuovo presidente afghano. Sarebbe arrivando a Kabul da Doha.

La campagna militare rapidissima del gruppo ribelle jihadista afghano sembra arrivata al culmine: i Talebani stanno marciando sulla capitale Kabul, già accerchiata dalla serie di conquiste ottenute nel giro delle ultime due settimane. Il gruppo creato dal Mullah Omar ha sotto controllo tutte le strade che portano alla città dove vivono oltre quattro milioni di persone, oltre a tutti coloro che in questi giorni sono arrivati sfuggendo all’avanzata degli insorti su altre aree del paese. Intanto sono iniziati i rimpatri del personale diplomatico, dei giornalisti e dei cittadini afghani più esposti a rappresaglie.

Nella mattina di oggi, domenica 15 agosto, i portavoce talebani hanno annunciato di aver preso di Jalalabad e Mazar-i-Sharif senza combattere. Ossia, davanti alla resa dell’esercito, sono cadute le ultime due grandi città che ancora non avevano occupato. Prima erano cadute Kunduz, Herat, Kandahar, con una sequenza rapidissima che è stato l’elemento sorpresa dell’avanzata. Avanzata d’altra parte attesa dai comandi internazionali – compresi quelli occidentali che stavano lasciando il paese e che hanno in parte fatto marcia indietro per assistere il rimpatrio dei concittadini.

L’impegno occidentale nel Paese è durato venti anni, in cui, dopo i fatti del 9/11 prima gli Stati Uniti e poi la Nato hanno combattuto una guerra contro al Qaeda. Colpevole dell’attentato più devastante della storia, sulla base del quale Washington invocò la difesa collettiva della Nato, al Qaeda aveva in Afghanistan un santuario protetto dai Talebani (il cui leader, il Mullah Omar, era considerato dai qaedista il “comandante dei fedeli”). Il Paese non tornerà a essere il luogo di raccolta dei jihadisti creati da Osama Bin Laden, ma tuttavia (come spiegato su queste colonne dall’esperto Abdul Sayyed) è possibile che l’attuale leadership del gruppo continui a vivere in Afghanistan senza creare troppi problemi.

Se l’avanzata era attesa come detto, e se la resa rapidissima delle forze armate afghane addestrate per due decenni dagli occidentali è stato l’elemento più sorprendente, l’incognita riguarda sia il come saranno le connessioni con al Qaeda che come sarà condotta l’avanzata su Kabul. Questioni connesse che riguardano un aspetto: i Talebani adesso, rispetto a venti anni fa, puntano a ottenere un qualche riconoscimento, anche a livello internazionale, e per questo potrebbero evitare bagni di sangue pubblici.

In un comunicato diffuso questa mattina era stato il gruppo stesso a sottolineare che i miliziani non intendevano prendere Kabul con la forza. I combattenti sono nei principali checkpoint per ora fermi e pronti all’azione. “Noi crediamo che un giorno i mujaheddin avranno la vittoria e che la legge islamica non arriverà solo in Afghanistan, ma in tutto il mondo. Non abbiamo fretta. Crediamo che un giorno arriverà. La Jihad arriverà non finire fino all’ultimo giorno”, ha detto uno dei comandanti alla CNN.

Chiedono le dimissioni del presidente Ashraf Ghani, che ha negoziato la resa attraverso incontri al Palazzo presidenziale e con le strutture Nato per decidere cosa fare. Ghani voleva una mediazione, negoziati, ma d’altronde che forza poteva avere al tavolo negoziale un presidente alla guida di un paese di cui non ha più controllo territoriale? Soprattutto se davanti a lui, a quel tavolo, c’erano i rappresentanti diplomatici del gruppo che ha in mano l’intero territorio afghano. Attorno al palazzo di Ghani, intanto, le guardie hanno tolto le uniformi e indossato abiti civili per paura di venire individuati dai miliziani come nemici.

Di Emanuele Rossi. (Formiche)

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