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USA 2020: dall’Afghanistan alla Siria, quali saranno le mosse di Joe Biden ?

(Roma 13 novembre 2020). Se Trump era il presidente quasi isolazionista, deciso a “riportare a casa i ragazzi” impegnati nei fronti di mezzo mondo, sarebbe sbagliato pensare a una svolta netta in arrivo dopo l’insediamento di Joe Biden. Il nuovo leader americano non imporrà agli Stati scadenze urgenti legate ad obiettivi elettorali, come ha provato il suo predecessore, ma è da escludere che voglia invertire del tutto la strategia militare degli Stati Uniti nei teatri dove le Forze armate americane sono già schierate.

Afghanistan

Già da numero due di Barack Obama, Joe Biden aveva lasciato trapelare, sia pure in modo poco esplicito, il suo dissenso sulla politica di intervento in Afghanistan. L’idea di ricostruire lo Stato è sembrata fuori portata sin dal primo momento all’allora vicepresidente: molto più sensato, diceva già una decina di anni fa, concentrarsi su Al Qaeda invece che pensare a schiacciare i Talebani. La stampa Usa lo aveva persino definito, con un titolo di Newsweek, “una scomoda voce della verità”. A Biden una sconfitta dei Talebani sul terreno appariva già allora impossibile. I fatti gli hanno dato ragione. E in queste ore proprio gli “studenti coranici” hanno fatto sapere, attraverso il portavoce Mohammad Naeem, che si aspettano da parte americana il rispetto dell’accordo firmato da Zalmay Khalilzad a Doha. Questo si accorda con l’impegno preso dal candidato democratico in campagna elettorale: lasciare una presenza armata ridotta in chiave antiterrorismo, in Afghanistan come in Iraq, e concentrare gli sforzi militari su una possibile sfida con Mosca o Pechino.

Iraq

Anche nella terra dei due fiumi, secondo le dichiarazioni precedenti al voto, Biden vuole lasciare un piccolo contingente: da 1500 a 2000 militari, con il compito fondamentale di tenere sotto controllo la possibile ripresa dell’Isis. Oggi in Iraq i soldati americani sono appena 3000. Ma l’Iraq per il neopresidente è un tema spinoso: contrario alla prima guerra del Golfo, favorevole nel 2002 al secondo intervento Usa, in passato si era persino espresso per una divisione del Paese in tre parti, soluzione che secondo diversi analisti avrebbe complicato ancora la situazione in Medio Oriente. In campagna elettorale, attaccato sul tema da Bernie Sanders, Biden si è detto pentito di aver votato per l’impresa di George W Bush: in quell’occasione, ha sostenuto, aveva capito che il voto avrebbe facilitato la missione di ispettori internazionali incaricati di verificare se Saddam Hussein era alla ricerca di armi nucleari.

Siria

Secondo le ricostruzioni del New York Times, come vicepresidente Biden non è stato fra i più attivi nel sostenere la necessità per gli Usa di aiutare l’opposizione ad Assad. Anzi, al Congresso aveva duramente contestato le posizioni dell’allora candidato repubblicano alla presidenza Mitt Romney, sottolineando che per gli Stati Uniti sarebbe stato un errore disastroso “intervenire in un’altra guerra mediorientale, che avrebbe bisogno di decine se non centinaia di migliaia di soldati americani sul terreno”. Biden andò oltre, sostenendo che in Siria “non esisteva una componente moderata” e che i Paesi alleati degli Usa stavano di fatto avviando una guerra fra sunniti e sciiti: un giudizio che gli fu rimproverato aspramente ma che oggi appare come una visione lucida e persino lungimirante. Questo però non vuol dire che il nuovo presidente ordinerà un ritiro completo delle truppe Usa schierate adesso a difendere i curdi: una presenza limitata serve quanto meno a garantire che l’Isis non rialzi la testa.

Giampaolo Cadalanu. (La Repubblica)

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