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Israele nel nuovo Medio Oriente

(Roma 16 Ottobre 2020). Churchill artefice e guida della vittoria dell’Inghilterra nella seconda guerra mondiale fu sonoramente sconfitto dai laburisti nelle elezioni del 1945. Alla base del loro successo la convinzione che, con la fine del conflitto, diventasse prioritario l’obbiettivo di cambiare il sistema con la costruzione del welfare e con ol ruolo centrale dello stato. Nessuna ingratitudine, dunque. Ma un radicale mutamento dell’orizzonte.

Ora, Netanyahu non è certo un Churchill; ma i successi raggiunti che ha raggiunto sul piano internazionale,  sono stati molto maggiori e addirittura clamorosi. Sino ad apparire, qui e oggi, definitivi.

Nel 1947 Israele si salvò, grazie alla sua forza propria e alle armi cecoslovacche, dall’attacco dei paesi arabi, in modo tale da rendere caduco un piano di spartizione che assegnava agli arabi buona parte della Galilea e stabiliva lo status speciale di Gerusalemme.

Da allora in poi tante altre guerre,  tutte vinte ma senza diminuire il numero e la minaccia dei nemici ( cui si sarebbe aggiunto, dalla guerra dei sei giorni in poi, quella terroristica e quella dell’Iran).

Sul piano internazionale poi, l’appoggio allo stato; ma, spesso, non alla sua politica. E una proposta di soluzione del problema, incardinata da oltre 50 anni nella risoluzione del Consiglio di sicurezza cui si è poi aggiunta la formula dei “due popoli due stati”. Con l’aggiunta, non marginale, dell’irrompere della Causa palestinese e della rafforzamento del fronte del rifiuto di cui Sadat subirà prima la scomunica e poi l’assassinio.

Dopo, però, l’evoluzione favorevole dei rapporti di forza coinciderà, paradossalmente, con una maggiore percezione della minaccia. Non foss’altro perché i palestinesi  dopo i disastri del 2000  e del 2001 vengono considerati incapaci di fare la pace perché esistenzialmente nemici. Ed è sulla narrazione di un nemico ad un tempo minaccioso e  irrilevante che la destra israeliana costruisce, nel corso del nuovo secolo, tutte le sue fortune.

Ora, dopo l’accordo con gli Emirati, si è creato uno scenario totalmente nuovo. O, meglio, è stata resa evidente a tutti una situazione che esisteva anche prima ma che molti, per ragioni del tutto strumentali, facevamo finta di non vedere.

Il primo dato è quello della moltiplicazione degli amici. Israele è forse l’unico stato al mondo a godere dell’appoggio totale degli Stati uniti  coltivando, nel contempo, ottimi rapporti politici con la Russia ed economici con la Cina. Cui si aggiungono ora quelli con i paesi arabi a prescindere dalla loro  adesione formale all’intesa.

Il secondo è che la pressione esterna sullo stato ebraico a sostegno del progetto due popoli/ due stati è completamente cessata. E con essa l’omaggio, sempre più ipocrita, alla Causa palestinese. Anche qui, se vogliamo, si prende atto di un dato già pienamente esistente: è da tempo che il progetto è considerato sostanzialmente irrealizzabile, fino a non godere più nei sondaggi il consenso delle parti. Ma anche qui, il riconoscimento pubblico del dato sposta i termini del problema. Così i palestinesi sfumata la prospettiva di di uno stato indipendente- e scartata  l’ipotesi dell’emigrazione o di nuove Intifade- dovranno muoversi fatalmente nella prospettiva del riconoscimento pieno dei loro diritti individuali e collettivi all’interno di uno stato che non appartenga solo agli ebrei ma a tutti. Così, di riflesso, gli ebrei dovranno fatalmente misurarsi sul che fare con gli otto milioni di abitanti che vivono nello spazio tra il Giordano e il mare (e tra l’Egitto e Israele). Ci vorrà del tempo ma l’unica strada percorribile è quella.

Ancora più significativa la prospettiva che si apre in base alle reazioni dei nemi i dell’accordo. Anche qui, come accade spesso in quell’area del mondo, le parole dicono una cosa e gli atti un’altra.

Così l’Iran denuncia l’accordo; ma nel contempo apre i suoi siti alle ispezioni dell’Aiea certificando così di avere fermato il processo che dovrebbe portare alla sua la sua entrata nel club nucleare. E’ un segnale per Israele di cui i massimi responsabili della sicurezza hanno pubblicamente preso atto , declassando quindi gli ayatollah da nemici minacciosi in nemici semplici. E anche per gli Stati uniti: se dovesse vincere Biden, la riapertura del dossier iraniano potrebbe tranquillamente prescindere dalla sua dimensione nucleare per concentrarsi, da subito, sul “do ut des”del suo pieno reinserimento nell’ordine internazionale al prezzo della sua rinuncia a retoriche rivoluzionarie ed ambizioni egemoniche.

Da Hamas ed Hezbollah la stessa reazione: le parole al minimo sindacale; i fatti nella direzione opposta. Veniamo così a sapere che l’Anp, sotto l’egida di Erdogan ( tra l’altro del tutto opposto all’idea di aprire un nuovo terreno di scontro con lo stato ebraico, al prezzo di perdere  come difensore del Libano quella copertura americana di cui ha sinora goduto)  ha raggiunto unì’intesa con Hamas, in vista, tra l’altro, di nuove elezioni. Formalmente, il consolidamento, del fronte del rifiuto; nella sostanza , l’offerta di una tregua a tempo indeterminato , a Gaza e altrove. Dal canto suo Hezbollah ha bloccato sì la formazione del governo libanese; ma solo per tenersi stretta la sua roba in attesa delle elezioni americane. Nei fatti il via libera, anzi il consenso esplicito al negoziato con Israele per garantire al Libano una redistribuzione delle acque territoriali e la conseguente possibilità di accedere a nuove fonti energetiche. Negoziato che avrà si d’ora l’effetto collaterale di fare uscire il Libano dalla lista dei cattivi e di porre fine allo status speciale di cui gode Nasrallah come baluardo militare del paese.

Da parte dei palestinesi  nessuna reazione nei fatti. Segno dell’impotenza e del discredito dell’Anp. Certo: ma anche segno della dolorosa maturazione del popolo, con la crescente consapevolezza della necessità di nuove vie per migliorare la propria esistenza e vedere iconoscuti i suoi diritti.

E qui queste riflessioni si concludono là da dove erano partite. In Israele. Per la prima volta nella sua storia un paese, all’inizio pieno di nemici e alla ricerca di sostenitori, è ora appoggiato e garantito da una infinità di amici potenti e non ha più nessuno in grado  di  minacciarlo. Le condizione ideale per concentrarsi su sé stesso, costruendo nuovi equilibri all’interno del suo popolo e aprendo una fase nuova nei confronti con la comunità araba, all’interno e fuori dai suoi confini.

Ci vorrà molto tempo. Si dovranno superare mille difficoltà. Ma la via è aperta.

Alberto Benzoni

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