(Roma, 20 aprile 2025). Quattro ore di negoziato per aprire la strada a colloqui “tecnici” dove dal lato politico si entrerà nel piano materiale della distensione Iran-Usa e nelle prospettive di vedere una convergenza sul nucleare. Il negoziato romano mediato dall’Oman ha prodotto un’accelerazione notevole, tanto che già settimana prossima i colloqui torneranno nel Paese del Golfo, a Mascate, per passare a un confronto pienamente operativo.
Si fa sul serio, dunque. E come ha dichiarato il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi, il confronto tra la sua delegazione, quella Usa guidata dall’inviato speciale Steve Witkoff e il mediatore omanita, coordinato dal ministro degli Esteri Badr Albusaidi, è stata “costruttiva e rivolta al futuro”. Già tra mercoledì e sabato in Oman si parlerà di dettagli tecnici.
Usa-Iran, il negoziato avanti spedito
Adesso si dovranno capire molte cose, assai delicate: in che misura gli Usa concederanno all’Iran la possibilità di mantenere il nucleare per uso civile, in che proporzione le soglie di arricchimento che saranno concesse alla Repubblica Islamica di mantenere saranno simili al 3,67% che era il target messo nero su bianco negli accordi del 2015, in che forma autorità politiche e scientifiche troveranno un canale di dialogo e come si unirà l’attuale fase di negoziato al possibile processo di rimozione delle sanzioni internazionali pendenti o latenti per Teheran.
Su Teheran pende lo spettro dello snapback, il meccanismo di re-imposizione delle sanzioni sospese col Piano d’azione congiunto (Jcpoa) del 2015 e che andrà in scadenza alla fine dell’anno in corso. Alireza Talakoubnejad, giornalista e commentatore iraniano, ha sottolineato in un post su X la “sbalorditiva velocità” del negoziato che l’amministrazione Trump e il governo iraniano di Masoud Pezeshkian stanno conducendo. Ci vollero tre anni e tre lettere di Barack Obama all’ayatollah Ali Khamenei dal 2009 al 2012 per avviare il dialogo sul Jcpoa nello scorso decennio e, nota Talakoubnejad Teheran e Washingon “si incontravano una volta al mese, non una volta alla settimana”.
L’attenzione al rischio di sabotaggio israeliano
Le motivazioni di questa velocità possono essere richiamate sia a dettagli operativi di matrice strettamente tecnica che ad altre variabili diplomatiche e geopolitiche. Sul fronte operativo, Teheran e Washington sanno come si è concluso, positivamente l’accordo del 2015, hanno memoria degli sforzi compiuti per il patto poi ripudiato da Trump del 2018 e dunque conoscono il percorso ottimale e i temi caldi su cui focalizzarsi.
Al contempo, l’offensiva dialogante delle due parti deve prender slancio per non trovarsi in mezzo alle Forche Caudine di un contesto internazionale bollente. Un primo dato di fatto è rappresentato dalla scontata opposizione di Israele, con Benjamin Netanyahu oggi come nel 2015 in prima linea per fermare ogni ipotesi di intesa che accarezza ancora il colpo decisivo contro gli ayatollah. Un secondo fronte, al contempo, è legato al positivo allineamento degli astri politici in Medio Oriente che, tra distensione iraniano-saudita in pieno svolgimento, ritirata del mondo arabo dall’ipotesi del contenimento duro verso Teheran e percepita riduzione della minaccia della potenza sciita alza la desiderabilità dell’accordo. Infine, in prospettiva, andrà valutato il ruolo della Russia, convitato di pietra del negoziato.
La Russia di fronte al triangolo Usa-Iran-Oman sul nucleare
Nel 2015 Mosca spinse per il raggiungimento dell’intesa ed oggi è probabile che alla prova dei fatti il negoziato Usa-Iran-Oman sul nucleare e quello russo-americano avviato attorno all’Ucraina e alla guerra che dal 2022 insanguina l’Europa orientale possano finire per convergere in un’unica trattativa.
Una saldatura geopolitica volta a cercare una definitiva sintonia su vari teatri, a rendere “prevedibili”, parola cara a Vladimir Putin, i rapporti tra le prime due potenze atomiche del pianeta, condizionare verso la stabilità più teatri con un solo negoziato. Una sfida ambiziosa ma che può esser l’unica realistica prospettiva di un confronto tanto ai vertici, che non può limitarsi a esser confinato in una regione geografica, per quanto importante, come l’Europa Orientale.
“La Russia potrebbe svolgere un ruolo chiave in un accordo sul futuro del programma nucleare iraniano, con Mosca indicata non solo come possibile destinazione delle scorte di uranio altamente arricchito dell’Iran, ma anche come possibile arbitro in caso di violazioni dell’accordo”, ha ipotizzato il Guardian. E nel frattempo il sultano dell’Oman Haitham bin Tariq al-Said è atteso a Mosca per un incontro al Cremlino con Putin lunedì. I tasselli del mosaico iniziano gradualmente a comporsi verso un negoziato a tutto campo.
Di Andrea Muratore. (Inside Over)