(Roma, Parigi, 06 giugno 2025). Tra Donald Trump ed Elon Musk non poteva durare, era destino. La rottura di ieri, consumata fragorosamente tra dichiarazioni al vetriolo e guerre di tweet condite da dichiarazioni violente, ha mandato in frantumi la tenuta dell’asse tra i dioscuri del nazional-populismo che tra il 2024 e il 2025 hanno fatto parlare di sé nel mondo.
Alla prova dei fatti l’asse Trump-Musk è durato un anno: dal 14 luglio 2024, giorno successivo all’attentato a Trump a Butler, Pennsylvania, in cui l’uomo più ricco del mondo annunciò l’endorsement a The Donald per le imminenti presidenziali al giugno successivo. Non poteva durare perché diversa era l’impostazione dei due magnati e dei rispettivi progetti.
Trump ha cavalcato e si è servito di Musk, la cui ascesa politica, su InsideOver lo scrivevamo oltre un anno fa, era stata diretta conseguenza dell’appannamento di The Donald dopo i fatti di Capitol Hill del 2021, per portare un ampio e solido elettorato libertario a sommarsi alla base Maga, populista e nazionalista, in vista elezioni. Al contempo, per Musk la campagna di Trump è stata l’occasione per dare libero sfogo alle idee politiche teorizzate seguendo l’esempio del presidente argentino Javier Milei: guerra totale alla spesa pubblica, agli sprechi, al welfare e a tutto ciò che è “socialismo”.
La prova dei fatti è stata la messa in atto del programma: ci si è presto resi conto che col ruolo da consulente e direttore del Doge, il dipartimento per l’efficienza governativa, Musk voleva sfrondare lo Stato americano, conscio di essere, su alcuni campi, egli stesso la supplenza dello Stato: si pensi a SpaceX e al peso dei vettori Falcon e Starship o delle costellazioni Starlink.
Trump, invece, mirava a occuparlo coi suoi fedelissimi. Non a caso Musk ha litigato furiosamente proprio con alcuni di essi: ad esempio, con Peter Navarro, consigliere commerciale di Trump, sui dazi, e col Segretario del Tesoro Scott Bessent sugli accordi commerciali, mentre The Donald la settimana scorsa ha ritirato la nomina di Jared Isaacman, alleato di Musk, a amministratore della Nasa.
Musk si credeva unico e invece…
Del resto, in quanto leader eletto Trump deve rispondere, comprensibilmente, a più pressioni e equilibri sistemici. Musk, imprenditore di successo e di frontiera, ha la fortuna di poter rispondere solo a sé stesso, un fatto che però spesso mal si concilia con l’equilibrismo delle scelte istituzionali da un lato e col peso della retorica dall’altro.
Si può ad esempio capire la lotta di Musk contro segmenti della destra nazionalista Usa per difendere l’esenzione dalle restrizioni sull’immigrazione per i talenti che decidono di arrivare negli Stati Uniti. Lui, di origine sudafricana, è stato il primo a beneficiare delle opportunità americane e, dunque, un certo nativismo non gli appartiene. Ma al contempo Musk ha politicamente segnato un solco decisivo con la Casa Bianca criticando lo One, Big, Beautiful Bill con cui Trump intende applicare a colpi di maglio la sua politica economica. Il presidente ha fatto concessioni ai Repubblicani alla Camera per farlo passare e questo ha ampliato la legge, enorme soprattutto sul fronte della creazione debitoria. Qualcosa di inaccettabile per Musk.
Infine, ma forse soprattutto, era destinata a finire un’illusione che da tempo solo pochi coltivavano: l’idea, cioè, che Musk fosse un consigliere del principe dotato di un ascendente, se non addirittura di un potere esclusivo, sulla Casa Bianca. Per Trump, in fin dei conti, l’imprenditore di origine sudafricana è stato il più fidato, ma non l’unico, dei sostenitori. E da presidente The Donald ha preferito incassare le promesse di investimento del piano Stargate da Sam Altman, Masayoshi Son e Larry Ellison, le novità sui chip di Jensen Huang e Nvidia, le promesse di Tim Cook di Apple e molti altri piani.
Tutto questo mentre Musk veniva derubricato a uno tra pochi, non una figura unica. Come si trasmetterà questa rottura alla base e alla coalizioni sociale che ha portato Trump alla Casa Bianca è ancora tutto da capire. Ma certamente la rottura ha del clamoroso sul piano mediatico ma corona un lungo percorso spesso accidentato. In cui probabilmente è stata più la volontà elettoralista che una reale sinergia a creare il duo che ha fatto parlare di sé l’America e il mondo prima di squagliarsi come neve al sole.
Di Andrea Muratore. (Inside Over)