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Giorgia Meloni in Libano : una visita coraggiosa che deve produrre decisioni concrete

(Roma, 18 ottobre 2024). La missione diplomatica di Giorgia Meloni in Libano si preannuncia come una visita politica importante e tutt’altro che scontata. Le cui ricadute dovranno però essere pesate in termini concreti. Meloni oggi toccherà Aqaba, in Giordania, dove incontrerà Re Abdallah II, importante interlocutore dell’Italia nella regione, per poi giungere a Beirut per incontrare il Primo Ministro libanese, Najib Mikati, e  il Presidente dell’Assemblea nazionale del Paese dei Cedri, Nabih Berri.

La missione di Meloni in Libano

Due tappe e tre incontri per un viaggio sicuramente coraggioso, che porterà la presidente del Consiglio in una città diventata a tutti gli effetti un teatro di guerra. Sarà la prima visita di un leader europeo e del G7 in Libano dall’inizio dell’escalation tra Israele e Hezbollah, culminata nell’invasione del Paese dei Cedri da parte dell’Israel Defense Force, e il primo viaggio di un capo del governo in carica nella storia repubblicana in un teatro bellico non controllato da forze legate ai Paesi della Nato o, in generale, occidentali. In cui, anzi, le truppe italiane inquadrate nel contingente Unifil, che opera a Sud di Beirut insieme con i contingenti di alterazioni, sono state cannoneggiate più volte da Israele, che ha chiesto il ritiro dei caschi blu, ricevendo una risposta negativa e la netta reazione del Governo di Roma.

Ebbene, dopo il confronto politico a distanza, è arrivata l’ora della concretezza. E una prova importante per la diplomazia italiana che, in virtù della proiezione garantita da Unifil, del suo ruolo nel Mediterraneo e dell’interesse alla stabilità regionale, oltre che della sostanziale equidistanza mostrata in un anno di guerra di Gaza, può e deve esprimere un ruolo costruttivo per il futuro del Libano. E dunque per quello del Medio Oriente. Sostenere le fragili istituzioni libanesi, garantire il rispetto della comunità internazionale, fissare linee rosse per Israele: queste devono essere le strategie politiche con cui l’Italia può positivamente mostrare bandiera in Libano.

L’impegno per la stabilità e il futuro di Unifil

In quest’ottica, non è da sottovalutare il fatto che Meloni giunge in Libano da presidente di turno, uscente, del G7, in una fase critica seguita al rischio creato da Israele di incrinare i rapporti con uno dei Paesi dell’Europa occidentale maggiormente propensi a fare da pontiere nella regione. L’Italia può prendersi le proprie responsabilità nel Mediterraneo, in un quadrante geopolitico critico per gli interessi nazionali, tra rotte energetiche e commerciali e l’impegno a operare in contrasto a ogni escalation bellica e minaccia terroristica. Stabilità è la parola d’ordine e, in quest’ottica, per Meloni è innanzitutto importante esserci: incontrare le istituzioni libanesi significa legittimarle, significa dare loro respiro e permettere di contribuire a una almeno temporanea unità, mentre Benjamin Netanyahu soffia sul fuoco del conflitto settario e bombarda, assieme a Hezbollah, i civili del Paese.

Per difendere Unifil, l’impegno di Roma, la comunità internazionale e la sua azione è doveroso ricordare che quel Libano Stato sovrano, indicato come primo attuatore della Risoluzione 1701 delle Nazioni Unite, datata 2006, esiste ed è un attore reale e non vive solo sulla carta. Pena aprire la strada a quella “guerra di tutti contro tutti” che, come ha detto l’ex capo di Stato Maggiore Vincenzo Camporini, potrebbe essere la conseguenza di un collasso della missione e di un disimpegno della comunità internazionale.

Il Consiglio Europeo, un’occasione mancata ?

La visita di Meloni è coraggiosa. E proprio per questo motivo sarebbe stato forse politicamente più pragmatico mettere il Libano e la sua stabilità, assieme al tema del conflitto mediorientale nel suo complesso, al centro della recente sessione del Consiglio Europeo. Meloni ha riunito invece i leader più duri contro l’immigrazione clandestina per dare a questo dossier, elettoralmente pregnante ma politicamente e strategicamente secondario, il ruolo centrale nel summit dei capi di Stato e di governo europei. Sarebbe stato auspicabile un asse con Emmanuel Macron e Pedro Sanchez per mettere la Germania di Olaf Scholz e la presidente tedesca della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, di fronte alle responsabilità della loro eccessiva tolleranza nel sostegno a Israele.

Una manovra che avrebbe avuto più senso, in termini di grande politica, di un asse con Viktor Orban, che governa un’Ungheria lontanissima dal Mediterraneo, sugli hotspot esterni per i migranti. Ma il clima politico europeo, assai diviso su molti dossier, e l’oggettiva difficoltà di molti attori, come la Francia di Macron, nel trovare una linea precisa sul dossier Libano e sui rapporti con Israele contribuiscono a rendere difficile questo processo.

Del resto, Meloni avrà successo se saprà fare scuola. Se darà una linea politica chiara ad altri Paesi per mostrare, esplicitamente, il sostegno a Beirut e alla sua integrità territoriale. La Spagna di Sanchez ha illustrato le sue linee rosse a Israele riconoscendo la Palestina. L’Italia può farlo garantendo l’integrità territoriale libanese: sarebbe un messaggio dirompente, soprattutto perché lanciato da un Paese governato da una coalizione a guida conservatrice, sulla carta dunque ideologicamente vicina al Likud di Benjamin Netanyahu. Il quale spera nella vittoria di un altro conservatore, Donald Trump, alle elezioni presidenziali Usa per avere un sostanziale semaforo verde a un’ulteriore spinta militare in Medio Oriente. Meloni, in sostanza, dovrà dare inizio a un percorso e non fare della sua visita un caso isolato. In quest’ottica, il valore regionale della visita è garantito anche dall’incontro col re giordano, che consentirà a Meloni di avere informazioni di prima mano sulla continua e indelebile crisi di Gaza.

L’esempio di Andreotti e Craxi

L’Italia può agire costruttivamente: in passato, in Libano, ha già dimostrato di poterlo fare. Lo ha ricordato nel 2013 parlando con Avvenire l’ex presidente libanese Amin Gemayel in occasione della morte di Giulio Andreotti, ricordando i tempi in cui il Divo era ministro degli Esteri. Gemayel ricordò l’arrivo di Andreotti in Libano nel 1982, poco dopo la sua elezione a valle di un sanguinoso conflitto scatenato dalla brutale invasione israeliana: “Alla mia elezione, l’aeroporto di Beirut era ancora chiuso al traffico e Andreotti ha dovuto atterrare a Cipro, per raggiungere poi il Libano a bordo di un elicottero militare”. Un contesto che ricorda molto quello attuale.

Gemayel sottolineò poi come Andreotti e il futuro presidente del Consiglio Bettino Craxi seppero vedere lucidamente il ruolo dell’Italia per pacificare Libano e Palestina: “L’Italia, grazie al duo Andreotti-Craxi, si era mossa per creare le premesse alla normalizzazione del nostro Paese non solo favorendo la riconciliazione tra i libanesi, ma lavorando anche al riavvicinamento tra noi e i palestinesi”. Il tutto senza sacrificare i rapporti coi palestinesi. Essere ponte, ieri come oggi, è l’obiettivo italiano. Ponte per la stabilità nel Libano; ponte per una concordia che sembra lontana in Medio Oriente; ponte perché altri Paesi seguano l’esempio.

Certo, Andreotti e Craxi avrebbero pensato meno a barchini, barconi e scafisti alla vigilia di una visita tanto significativa. Ma il tempo di questi statisti è passato e, ad oggi, non tornerà: dunque ci limitiamo a constatare l’esistente e a segnalare il valore di un passaggio che l’Italia compie in anticipo rispetto al resto dell’Occidente. Meloni porta il peso di una grande responsabilità nella sua visita: e dai fatti concreti la giudicheremo.

Di Andrea Muratore. (Inside Over)

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