(Roma, 02.07.2023). Se i vocabolari non avessero deciso da anni di genuflettersi alla dittatura del politicamente corretto il termine « banlieue » dovrebbe essere tradotto con « ghetto per migranti » e la locuzione « stranieri di seconda generazione » come « emarginati »
Se i vocabolari non avessero deciso da anni di genuflettersi alla dittatura del politicamente corretto il termine «banlieue» dovrebbe essere tradotto con «ghetto per migranti» e la locuzione «stranieri di seconda generazione» come «emarginati». E sono entrambi il frutto avvelenato di un immigrazionismo scriteriato.
Lo dimostra con ogni evidenza quello che sta accadendo in Francia in questi giorni, cioè il collasso disastroso di una cultura dell’accoglienza obbligata e del multiculturalismo a tutti i costi che nel nome dell’integrazione hanno disintegrato la società. Integrazione che non è mai avvenuta perché i figli e i nipoti degli immigrati arrivati nel periodo post coloniale non si sentono cittadini francesi e, pur avendone gli stessi diritti, di fatto non lo sono, chiusi nei loro ghetti che a loro volta hanno contribuito a edificare e blindare (a Marsiglia mettono pure le sentinelle abusive per controllare gli accessi).
L’implosione della dottrina francese sugli immigrati deve essere però di lezione a chi, come l’Italia, si trova in questi anni a gestire da sola enormi flussi migratori. Un ammonimento che, almeno fino a oggi, non è stato raccolto dai vessilliferi italiani dei porti spalancati e dalle vestali del buonismo che vede in ogni sbarco non una tragedia umana della disperazione, ma una «risorsa».
E i primi segnali di cedimento non sono arrivati martedì scorso a Nanterre con la barbara e ingiustificabile uccisione di Nahel da parte delle forze dell’ordine, ma nel lontano 2005 a Clichy-sous-Bois, dove due ragazzi morirono fulminati all’interno di una centralina elettrica nella quale si erano rifugiati per sfuggire alla polizia, dando il là a due settimane di scontri. La rivolta dei minorenni, dunque, è maggiorenne, ma in questi diciott’anni nessun governo francese ha fatto nulla per porvi rimedio e in Italia la questione migratoria, posta regolarmente sul tavolo dal centrodestra, è stata sempre sbertucciata e derubricata dalla sinistra come una bagatella elettorale o, peggio ancora, come una paranoia piccolo borghese.
Ignorando che la pentola a pressione che sta esplodendo oltre confine non è null’altro che il trailer di quello che potrebbe succedere tra qualche anno ai bordi delle nostre città, laddove la povertà e la disperazione – di qualunque nazionalità – si integrano (questa volta sì) in una miscela esplosiva. Per questo il cortocircuito dei talebani del multiculturalismo riguarda tutti noi e, oggi più che mai, c’è bisogno di una gestione della sicurezza e dell’immigrazione chiara, che non abbia paura di abbattere quel muro sinistro di ipocrisia che, come ci spiega la lezione francese, finisce per crollare addosso agli uni e agli altri, senza alcuna discriminazione, dimostrando che è proprio la strada del buonismo che porta ai risultati peggiori, che sfiorano addirittura il cattivismo.
Di Francesco Maria Del Vigo. (Il Giornale)