I talebani e il traffico di droga: ecco i rischi del narco-stato

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(Roma, 26 agosto 2021). La Cina ha intenzione di instaurare un dialogo con i talebani. A differenza degli Stati Uniti e delle potenze occidentali, titubanti sul fatto se dare o meno legittimità agli ambigui interlocutori, il gigante asiatico ha subito fatto capire di voler entrare a gamba tesa nelle vicende afghane. Basti pensare che, prima della caduta di Kabul, alla fine di luglio, in quel di Tianjin il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, ha incontrato il capo dell’ufficio politico del gruppo islamico in Qatar, Abdul Ghani Bardar.

L’intenzione del Dragone è apparsa evidente fin da quel momento: creare una relazione con i talebani così da ottenere un vantaggio strategico in Afghanistan, tanto dal punto di vista economico che da quello commerciale, e, al tempo stesso, garantirsi un adeguato livello di sicurezza contro la possibile recrudescenza del terrorismo islamico. La Cina deve tuttavia fare i conti con una minaccia che, nel lungo periodo, potrebbe destabilizzare i suoi confini occidentali e, in generale, riaccendere il famigerato Triangolo d’oro della droga.

Stiamo parlando dello spettro del traffico illegale di droga che potrebbe travolgere Kabul ed espandersi nella regione circostante. Da sempre, infatti, questo traffico è fiorente nell’area compresa tra Vietnam, Laos e Cambogia, lungo i confini meridionali della Cina. Data la geografia del territorio, formato da giungla e fitta vegetazione, è pressoché impossibile per il governo cinese controllare l’intera zona di frontiera. Per avere un’idea dell’entità del traffico di stupefacenti, basti pensare che, nel 2018, Pechino ha sequestrato 37,5 tonnellate fra droga e sostanze per produrla. Nonostante l’intervento delle autorità, molte sostanze sono comunque riuscite ad entrare nel Paese per poi essere commerciate da gang criminali in tutto il resto del mondo. Adesso, accanto al Triangolo d’oro, il caos afghano potrebbe complicare la situazione.

Il traffico di droga che minaccia Pechino

Come ha sottolineato il South China Morning Post, le tasse sui coltivatori di oppio in Afghanistan hanno rappresentato un’enorme fonte di reddito per i talebani. Questi ultimi, almeno in linea teorica, si sono impegnati a debellare il traffico di eroina. La Cina è tuttavia preoccupata per il contrabbando di sostanze stupefacenti, un contrabbando che, bypassando l’occhio delle autorità, tanto talebane che cinesi, potrebbe porre al Dragone sfide delicate ai fini della propria sicurezza nazionale.

Per mitigare i rischi, Pechino potrebbe offrire agli agricoltori in Afghanistan l’opportunità di impegnarsi in colture alternative ai papaveri da oppio. Anche perché, come detto, la continua dipendenza di questo Paese dal commercio illegale di droga ha da sempre preoccupato il governo cinese, ancor più in un momento storico del genere. Ricordiamo, infatti, che il traffico di droga a base di papavero e metanfetamine rappresenta la più grande singola fonte di reddito degli studenti coranici (che potrebbe restar tale anche a fronte di eventuali sanzioni internazionali contro il gruppo).

Negli anni passati, una delle principali rotte d’ingresso dell’eroina dall’Afghanistan alla Cina coinvolgeva il Pakistan e la provincia occidentale cinese dello Xinjiang. Le agenzie anti narcotici cinesi sono già schizzate sull’attenti per impedire l’ingresso delle droghe afghane oltre la Muraglia. Ma la battaglia potrebbe essere più complicata del previsto.

La piaga dell’Afghanistan

I dati rilasciati dall’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine parlano da soli. A giugno, l’Afghanistan rappresentava l’80% delle forniture globali di oppio ed eroina. Una percentuale folle, che ha consentito al Paese, solo nel 2019, di generare tra gli 1,2 e i 2,1 miliardi di dollari di entrate derivanti dal consumo di tali sostanze, dalla loro produzione e dalle esportazioni.

Due mesi fa, ha aggiunto in un’analisi il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, il commercio di droga ha consentito ai talebani di raccogliere 460 milioni di dollari dalle tasse imposte ai coltivatori di oppio. Poco importa se il gruppo islamico, una volta saliti al potere, hanno giurato che l’Afghanistan non si sarebbe trasformato in un narco-stato; molti esperti ritengono che gli eredi del mullah Omar faticheranno tantissimo a mantenere la promessa, se non altro per via del traffico illegale di droga che potrebbe prendere il sopravvento in seguito alla perdita di aiuti internazionali e l’avvento di ipotetiche sanzioni economiche. E la Cina non ha alcuna intenzione di dover fronteggiare una simile minaccia.

Federico Giuliani. (Inside Over)