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La Cina allunga la sua ombra sull’Afghanistan

(Roma, 28 luglio 2021). La Cina s’impegna a sostenere il ruolo dei talebani nella “ricostruzione” dell’Afghanistan, ma nel contempo chiede al movimento islamista di tagliare i ponti con i militanti uiguri responsabili di attacchi nella provincia autonoma dello Xinjiang. È quanto emerge dall’incontro che il ministro degli Esteri della Repubblica popolare, Wang Yi, ha avuto oggi a Tianjin con il capo negoziatore e co-fondatore dei talebani Abdul Ghani Baradar. Si è trattato della prima occasione di confronto tra le parti dopo l’ampia offensiva avviata dai talebani in Afghanistan in vista del completamento del ritiro delle forze Usa e Nato, che verrà ultimato entro il prossimo 31 agosto. I talebani hanno conquistato nelle ultime settimane diversi distretti chiave nelle province di Badakhshan e Kandahar e sostengono di avere sotto il proprio controllo gran parte delle frontiere del Paese, inclusa quella con la provincia cinese dello Xinjiang. Wang ha dichiarato oggi che il ritiro delle truppe degli Stati Uniti e della Nato dall’Afghanistan rappresenta “il fallimento delle politiche degli Usa” e ha espresso il sostegno della Cina a un ruolo centrale dei talebani nel futuro del Paese.

“I talebani sono una forza politica e militare cruciale in Afghanistan, giocheranno un ruolo importante nel processo di pace, di riconciliazione e di ricostruzione”, ha affermato il capo della diplomazia di Pechino, ripreso da un comunicato del ministero degli Esteri. Wang ha tuttavia anche sottolineato la necessità che i talebani taglino i rapporti con il Movimento islamico del Turkestan orientale (Etim), ovvero con gli insorti della comunità musulmana uigura che abita in maggioranza la provincia dello Xinjiang. “L’Etim è un’organizzazione terroristica internazionale riconosciuta dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e costituisce una minaccia diretta alla sicurezza nazionale e all’integrità territoriale della Cina. Combattere l’Etim è comune responsabilità della comunità internazionale e spero che i talebani in Afghanistan taglino i rapporti con gruppi terroristici di questo tipo. I talebani possono contribuire all’effettiva sconfitta di questi gruppi e giocare un ruolo attivo nella stabilità e nello sviluppo regionale”, ha dichiarato nell’occasione il ministro degli Esteri cinese.

Su Twitter è intervenuto invece il portavoce dei talebani, Mohammad Naeem, che ha evidenziato come gli incontri tra la delegazione cinese e quella del movimento islamista afgano si siano concentrati su “questioni politiche, economiche e di sicurezza” di comune interesse e del processo di pace in Afghanistan. I talebani, ha aggiunto Naeem, hanno assicurato alla Cina che il territorio afgano non sarà usato per minacciare la sicurezza di altri Paesi, e la Cina ha promesso di non interferire negli affari interni dell’Afghanistan se non per aiutare a costruire la pace e risolvere problemi. Approfittando dell’ormai prossimo ritiro delle forze degli Stati Uniti, la Cina sta stringendo sempre più la sua presa sull’Afghanistan. Il messaggio inviato da Tianjin deve esser giunto forte e chiaro a Washington, anche perché l’incontro è avvenuto nello stesso luogo in cui solo poche ore fa Wang ha accolto la vice segretaria di Stato Usa, Wendy Sherman, e mentre il segretario di Stato Antony Blinken è impegnato in una importante visita ufficiale in India, altro Paese profondamente preoccupato dagli sviluppi in Afghanistan.

Non solo. Il colloquio odierno giunge a pochi giorni di distanza da quello che nel fine settimana il ministro degli Esteri cinese ha avuto con l’omologo del Pakistan, Shah Mahmood Qureshi, un Paese chiave per la strategia di penetrazione della Repubblica popolare in Afghanistan in ragione della sua storica influenza sui talebani e della sua capillare conoscenza di quel teatro. Inoltre, la Cina ha avuto un contatto con un altro Paese interessato direttamente dal dossier afgano: il Tagikistan. Il ministro della Difesa della Repubblica popolare, Wei Fenghe, è stato ricevuto a Dushanbe dal presidente tagico Emomali Rahmon e dall’omologo Sherali Mirzo. Va ricordato, peraltro, che a sua volta il governo tagico aveva ricevuto poche settimane fa una delegazione dei talebani.

Ufficialmente la posizione della Cina sul dossier afgano è quella esplicitata al “South China Morning Post” da una fonte governativa al termine del colloquio tra Wang e Bardar: “La crisi va risolta all’interno dell’Afghanistan e non deve minacciare la sicurezza della Cina”. È una posizione ovvia in ragione degli importanti interessi economici e degli investimenti che Pechino ha già nel settore minerario afgano, e che si riflette nella disponibilità annunciata lo scorso giugno da Wang a ospitare colloqui di pace tra le parti per risolvere il conflitto. Tuttavia, l’obiettivo non annunciato della Cina è di guadagnare influenza in un Paese che da sempre, per la sua posizione geografica, è al centro dell’interesse delle grandi potenze. Potendo già contare sulla stretta alleanza con il Pakistan, su un Nepal con al potere il Partito comunista e su un Myanmar tornato “amico” dopo il colpo di Stato militare dello scorso primo febbraio, Pechino sa di poter “accerchiare” l’unica potenza in grado di costituire un ostacolo alla sua egemonia in Asia, ovvero l’India. I talebani sono uno strumento essenziale per il perseguimento di questa strategia. In quest’ottica, assumono ancora più rilevanza gli incontri che il segretario di Stato Usa, Antony Blinken, avrà oggi in India con il primo ministro Narendra Modi e con l’omologo Subrahmanyam Jaishankar: come anticipato nei giorni scorsi da fonti governative di Nuova Delhi, il governo indiano chiederà agli Stati Uniti che cosa intendono fare per assicurare la tenuta dell’Afghanistan e per puntellare l’architettura regionale di contenimento dell’espansionismo cinese.

Redazione. (Nova News)

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