USA: Biden ha scelto il nuovo capo della Cia, è William Burns

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Joe Biden sceglie William Burns per la guida della Cia. Diplomatico di carriera e responsabile della delegazione americana nelle trattative segrete con l’Iran, la figura di Burns segna uno strappo rispetto ai quattro anni dell’amministrazione Trump e ai suoi ripetuti tentativi di politicizzare la Central Intelligence Agency. La nomina si inserisce nell’ambito dei timori bipartisan sulla politicizzazione dell’apparato di intelligence.  A un veterano della diplomazia come il 64enne Bill Burns vengono attribuite soprattutto qualità di mediatore dotato di non piccolo fiuto politico, tanto che a lungo se ne era parlato come possibile segretario di Stato (scelta poi caduta su Anthony Blinken, che pure è considerato uno dei ‘padri’ dell’intesa sul nucleare degli ayatollah). « E’ un diplomatico d’eccellenza, che dispone di una esperienza decennale sullo scenario globale », ha dichiarato lo stesso Biden, secondo il quale Burns « condivide la mia convinzione di fondo, che un servizio segreto debba essere apolitico ». In effetti, Burns – con una laurea alla La Salle Universiity di Philadelphia e un dottorato ad Oxford – vanta ben 33 anni nel servizio diplomatico degli Stati Uniti. E’ entrato nel Foreign service nel 1982, è stato consigliere speciale (e confidente) di praticamente tutti i segretari di Stato americani dell’ultimo scorcio di storia, da Warren Christopher a Madeleine Albright, passando da Colin Powell, Condoleezza Rice, Hillary Clinton e John Kerry. Una carriera in costante ascesa: è stato vicesegretario di Stato sotto Obama (dunque con Biden vicepresidente), prima di allora ambasciatore americano in Russia e in Giordania, per ritirarsi dal servizio pubblico nel 2014, quando ha scelto di assumere l’incarico di presidente della fondazione Carnegie per la pace internazionale, un autorevole think-tank di politica estera con sede a Washington.  Con Blinken ed il consigliere alla Sicurezza nazionale in pectore, Jake Sullivan, Burns non è solo legato dalla comune esperienza al tavolo delle trattative a Ginevra con gli iraniani, ma c’è la comune appartenenza alla cerchia più stretta di Biden, anche se la sua esperienza appare straordinariamente vasta. Prima di fare da vice a Hillary Clinton, Burns aveva servito sia sotto presidenti repubblicani che democratici, di volta in volta come sottosegretario con la delega sugli affari orientali, come assistente speciale al dipartimento di Stato, come consigliere ministeriale per affari politici all’ambasciata di Mosca, come direttore dello staff addetto al ‘policy planning’, e anche in veste di direttore ‘senior’ per gli affari del Sud-est asiatico presso il National Security Council. Oltre ad avere ricevuto più o meno tutte le onorificenze che si possano ottenere in ambito diplomatico (tra cui il « Memorial Award for Conflict Resolution and Peacemaking » e la nomina a « Diplomatico dell’anno » nel 2013 da parte della rivista Foreign Policy) ed oltre ad essere finito nella lista della rivista Time dei « 50 leader americano più promettenti sotto i 40 anni », è considerato estremamente duttile e versatile: come riportano orgogliosamente tutte le sue biografie, Burns parla fluentemente il russo, l’arabo e il francese. Tanto basta per far dire ai commentatori che evidentemente il fronte russo e quello iraniano rimarranno i dossier più scottanti che la Cia ha in mano, ed il primo tema è proprio quello dell’accordo sul nucleare, dal quale l’amministrazione Trump era uscita unilateralmente nel 2018, nonostante la forte resistenza dei firmatari europei dell’intesa. Biden ha già fatto capire che intende riaprire il tavolo: il problema è capire prima quale siano le intenzioni iraniane, ed a questo serve l’agenzia. Per quanto riguarda i difficilissimi rapporti con Putin, l’esperienza come ambasciatore a Mosca rappresenta un asso nel manico della ‘nuova’ Cia.  Qualcuno ha dubbi sul fatto che la sua gestione della Cia sia del tutto apolitica: le sue idee le ha chiarito nel libro « The Black Channel: a Memoir of American Diplomacy and the Case for Its Renewal », del 2019, nel quale non solo ricorda i suoi « giorni in prima linea », comprese le prime avventurose fasi dei negoziati con gli emissari di Teheran, ma nel quale soprattutto esprime la ferma convinzione che gli Usa debbano tornare ad un approccio multilaterale. Ossia, chiede il « rinnovamento » per non dire una « ricostituzione » della diplomazia americana, un protagonismo in linea con il pensiero di Biden, Blinken & Sullivan, che non sia l' »America First » trumpiano ma un ritorno sulla scena globale come forza di mediazione. (Rai News)