La Turchia mira a ricostruire l’industria bellica della Libia

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(Roma 27 novembre 2020). Spedizioni aeree e investimenti nell’industria bellica dell’ex Jamahiriya di Muammar Gheddafi in territorio libico: così la Turchia del presidente Recep Tayyip Erdogan potrebbe aggirare l’embargo sulle armi in Libia imposto dalle Nazioni Unite e attuato dalla missione aeronavale europea “Irini”. Almeno tre Airbus A400 turchi (TUAF219, TUAF220 e TUAF221) sono atterrati ieri sulla pista di Al Watiya, base aerea dislocata circa 130 chilometri a ovest di Tripoli e controllata dalle forze alleate al Governo di accordo nazionale (Gna) di Tripoli. Non è dato sapere cose ci fosse a bordo, ma non è un segreto che cargo simili abbiano recentemente trasportato armi e mercenari in Libia, nonostante l’embargo Onu. Non è tutto. Secondo il sito web d’informazione libico “Libya Akhbar”, la Turchia e il Gna del premier Fayez al Sarraj avrebbero trovato un’alternativa all’invio di armi: fabbricandole direttamente dall’interno dei territori libici. E’ in quest’ottica che si inserirebbe la visita del ministro della Difesa di Tripoli, Salah al Din al Namroush (personaggio considerato molto vicino alla Turchia), e del capo di stato maggiore del Gna, generale Mohamed al Haddad, alle industrie militari nella zona di Sabi’a.

I media libici vicini al generale Khalifa Haftar, l’uomo forte della Cirenaica e comandante dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna), evidenziano che il possibile ripristino dell’industria militare libica arriverebbe dopo l’ispezione all’inizio di questa settimana di una nave turca diretta in Tripolitania da parte di una fregata tedesca appartenente alla missione “Irini”. L’abbordaggio del cargo turco Roseline-A diretto a Misurata da parte della fregata tedesca Hamburg ha suscitato le vibranti proteste della Turchia e dello stesso presidente Erdogan. “L’intervento sulla nostra nave mercantile in rotta verso la Libia non era autorizzato ed è illegale. In quanto Repubblica di Turchia, utilizzeremo tutti i nostri diritti sulla base del diritto internazionale. Queste iniziative e azioni illegali non potranno mai scoraggiare il nostro Paese dalla sua posizione decisiva a sostegno del diritto internazionale”, ha detto il capo dello Stato turco. Da parte sua, il Servizio europeo per l’azione esterna (Seae) ha spiegato che l’operazione Irini è incaricata dall’Unione europea di contribuire all’attuazione dell’embargo sulle armi nei confronti della Libia in conformità con le risoluzioni 2292, del 2016, e 2526, del 2020, del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Risoluzioni che, ha ribadito il Seae, “sono vincolanti per tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite, compresa la Turchia”.

Secondo Murtza Karanfil, presidente del consiglio Turchia-Libia presso l’ente turco per le Relazioni economiche con l’estero (Deik), gli investitori turchi dovrebbero poter investire circa 120 miliardi di dollari in Libia. Attraverso l’agenzia governativa « Anadolu », Karanfil ha recentemente lanciato un appello per la ricostruzione post-conflitto, con opportunità significative in tutti i settori. Uno di questi potrebbe essere proprio l’industria della difesa del defunto rais libico Gheddafi. Vale la pena ricordare che il famoso memorandum d’intesa sulla cooperazione militare e di sicurezza tra Turchia e Libia prevede, tra le altre cose, la creazione di “un esercito moderno e professionale” nel Paese nordafricano. Un business dove la Turchia potrebbe beneficiare dell’aiuto dei ricchi alleati di Doha. Proprio ieri, la Turchia e il Qatar hanno siglato ben dieci accordi di cooperazione in vari settori, in occasione della visita ufficiale dell’emiro di Doha, Tamim bin Hamad Al Thani, nella capitale turca Ankara. Oltre a un accordo che prevede la cessione di una quota del 10 per cento della Borsa di Istanbul all’Autorità qatariota per gli investimenti (Qia), fondo sovrano di Doha, le parti hanno siglato anche un’intesa per la vendita al Qatar di quote di uno dei centri commerciali più importanti di Istanbul, “Istinye Park”.

Turchia e Qatar hanno, inoltre, firmato un’intesa per la cessione a Doha di quote della compagnia del porto di Antalya, e un memorandum per attività congiunte di promozione fra il ministero del Commercio di Ankara e l’Amministrazione della zona franca del Qatar. Altre intese firmate fra le parti riguardano la gestione delle acque, il miglioramento della cooperazione economica e monetaria, e i servizi familiari e sociali. Ankara e Doha hanno inoltre firmato una dichiarazione d’intenti per un programma di scambio fra i diplomatici di entrambi i Paesi. La dichiarazione conclusiva del vertice è stata firmata anche dal ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, e dall’omologo qatariota, Mohammed bin Abdulrahman Al Thani. Secondo dati dell’ambasciata della Turchia a Doha, il volume dei commerci fra i due paesi è cresciuto nel 2020 del 6 per cento, fino a raggiungere quota 1,6 miliardi di dollari. Gli investimenti del Qatar in Turchia, per altro verso, hanno raggiunto i 22 miliardi di dollari. Le compagnie turche operanti in vari settori in Qatar sono circa 553, mentre il valore di progetti completati da imprese di costruzione nell’emirato ha raggiunto i 18,5 miliardi di dollari. Al contrario, sono 179 le imprese qatariote operanti in Turchia.

(Agenzia Nova)