Vladimir Putin prepara la Russia a un decennio di scontro totale

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(Roma, 02 marzo 2024). In Russia tutto è pronto per le presidenziali più politicamente importanti della storia recente. Il loro esito è scontato, la dipartita prematura di Alekseij Naval’nyj produrrà più disordine per le strade che nelle cabine elettorali, e il fatto che quella di Vladimir Putin sarà una corsa in solitaria poco o nulla toglie alla loro rilevanza.

In Russia, tra il 15 e il 17 marzo, l’elettorato procederà a cementificare e ad eternizzare il mandato di Putin. Nella consapevolezza che l’alternativa al deus ex machina prodotto dalla Lubjanka sarebbe un altro El’cin, oppure un nuovo Gorbačëv, ovvero un ritorno agli anni bui della guerra civile molecolare e del separatismo a mano armata. Nella consapevolezza che il prezzo da pagare per una tale sicurezza, evidenziato da Putin nell’ultimo discorso sullo stato della nazione, è e sarà una grande mobilitazione patriottica di guerrafreddesca memoria.

Ritorno alla Guerra fredda

Il diciannovesimo discorso annuale sullo stato della nazione di Vladimir Putin ha ottenuto l’effetto desiderato: allarmismo in Occidente, mobilitazione in patria. In Occidente è rimbalzato di giornale in giornale, complici i riferimenti alla prospettiva di una guerra atomica. In patria è stato trasmesso in televisione e persino in alcuni cinema.

Putin ha ringraziato, ha invitato alla mobilitazione e ha preparato psicologicamente. Ha ringraziato i russi che hanno supportato la guerra in Ucraina, le industrie che hanno resistito alla pressione sanzionatoria, i miliardari che hanno fatto beneficenza all’economia e alle famiglie dei caduti. E ha messo in guardia il popolo: la sicurezza di cui oggi gode la Russia, priva di attentati terroristici ed economicamente in salute, non è gratuita. C’è un prezzo da pagare: sacrifici nel nome dell’interesse nazionale. E c’è un avversario da sconfiggere: l’Occidente.

La Guerra fredda è tornata e i russi, se non vogliono rivivere un altro 1989-91, questa volta dovranno partecipare attivamente ai combattimenti: chi nelle industrie, chi nei banchetti, chi nelle trincee. Questo è, in sostanza, il sunto del sermone incendiario e intriso di revanscismo con cui Putin ha voluto concludere il suo mandato. Confidente che un altro stia per cominciare.

Preparare i russi alla permacrisi

“L’Occidente non cerca soltanto di impedirci di progredire, ma immagina anche [di trasformare] la Russia in uno spazio morente e declinante“; è con queste parole che il discorso di Putin entra nel vivo e palesa il suo obiettivo di catalizzare un effetto raduno attorno alla bandiera in vista delle incombenti presidenziali e degli anni di (perma)crisi che seguiranno.

I paesi occidentali, sostiene Putin, “vogliono replicare in Russia ciò che hanno fatto in numerosi altri paesi, tra i quali l’Ucraina, ossia seminare zizzania e indebolire dall’interno“. Ma avrebbero sbagliato i calcoli: “la determinazione del popolo multietnico” della Russia ha superato la prova del fuoco e battaglioni molto diversi tra loro, “cristiani, islamici e buddhisti“, hanno combattuto fianco a fianco in Ucraina per dei valori condivisi: la famiglia tradizionale, la fede, l’unità nazionale. Messaggi chiaramente indirizzati alle periferie della Federazione, storicamente insofferenti al governo centrale e più vulnerabili alla strumentalizzazione da parte di terzi, da cui, Putin ne ha contezza, dipende l’integrità territoriale.

La Russia è pronta ad affrontare le acque agitate della competizione tra grandi potenze. Putin lo ha evidenziato mettendo in luce le ultime novità dell’arsenale russo, come il Ch-47M2 Kinžal e lo Zircon, e preannunciando che “nuovi sistemi d’arma” sono in fase di sviluppo. Ma a differenza del passato, di cui Putin è al tempo stesso figlio, prodotto e testimone, Mosca non cadrà nell’errore di “un’altra corsa alle armi” dalle conseguenze sovietiche: i soldi verranno spesi con “giudizio“, in modo tale da “massimizzare il ritorno economico di ogni rublo investito“.

Leggere tra le righe

Il discorso annuale sullo stato della nazione di Putin ha monopolizzato l’attenzione della stampa e della politica nostrane per i motivi sbagliati, ovvero i riferimenti alla prospettiva di una guerra nucleare. Propaganda utile per solleticare le ale più radicali dell’elettorato patriottico e per turbare la tranquillità dei rivali occidentali, come, in effetti, è accaduto. Arma di distrazione di massa.

I passaggi più importanti della lunga omelia di Putin erano e sono altri. Uno fra tutti, quello in cui il presidente russo ha auspicato la creazione “di un nuovo reticolato securitario in Eurasia nel prossimo futuro“, mostrando disponibilità a “discutere di questo argomento con tutti i paesi e le associazioni [di paesi] che potrebbero essere interessate“. In altre parole: un’alleanza militare da contrapporre alla NATO.

Il capo del Cremlino ha inoltre fatto intendere, stavolta piuttosto chiaramente, che l’epoca della Russia alla ricerca di un partenariato a tutti i costi con l’Occidente è finita. Oggi, e ancor di più domani, Mosca punterà sul rafforzamento della cooperazione con gli attori-chiave del Sudamerica, dell’Africa, dell’arabosfera e dell’Asia. Obiettivo: diventare, come in passato, l’ago della bilancia nella battaglia The West vs. The Rest.

Di Emanuel Pietrobon. (Inside Over)