(Roma, 02.05.2023). Il presidente russo è indagato dalla Corte Penale Internazionale per crimini di guerra commessi in Ucraina. Il mandato d’arresto è valido in 123 Paesi, ma la sua applicazione si scontra con l’ostilità del Cremlino a collaborare con l’Aja
Il mandato d’arresto emesso dalla Corte Penale Internazionale il 17 marzo scorso contro Vladimir Putin segna uno spartiacque: per la prima volta nella storia contemporanea il leader di una superpotenza nucleare è indagato per crimini di guerra. Il Tribunale dell’Aja è riuscito a formulare un’accusa pubblica contro il presidente della Federazione russa, nonostante i numerosi ostacoli all’azione giuridica della Cpi.
La mancata ratifica dello Statuto di Roma da parte dell’Ucraina sembrava infatti un impedimento. Invece Kiev, ricorrendo al principio di complementarità sancito dal preambolo dello Statuto di Roma, ha raccolto già a partire dal 2013 le prove contro la leadership russa – preoccupata per la reputazione internazionale di Putin –, per poi fornirle al procuratore capo Karim Khan, nominato nel 2021 alla guida dell’ufficio che si occupa delle indagini.
Di cosa è accusato Vladimir Putin
Nel documento pubblicato un mese e mezzo fa, Putin e la commissaria per i diritti dei minori Maria Lvova-Belova sono sospettati di essere i responsabili della deportazione e del trasferimento illegale in Russia di 20mila bambini residenti nei territori occupati dell’Ucraina, due crimini di guerra distinti secondo la Convenzione di Ginevra.
« I trasferimenti forzati, in massa o individuali, come pure le deportazioni di persone protette, fuori del territorio occupato e a destinazione del territorio della Potenza occupante o di quello di qualsiasi altro Stato, occupato o no, sono vietati, qualunque ne sia il motivo”, recita l’articolo 49 della suddetta convenzione che inchioda Putin e Lvova-Belova. Ad aggravare la loro situazione legale ci sono inoltre diversi filmati dove entrambi compaiono in compagnia di alcuni minori provenienti da Mariupol, Kherson e da altre zone occupate da Mosca.
Un fatto senza precedenti, come detto, nonostante rimanga tuttora impunito il crimine d’aggressione, incorporato soltanto nel 2018 allo Statuto di Roma e per il quale l’Occidente starebbe pensando a un tribunale speciale, con lo scopo esplicito di scavalcare l’immunità di cui godono i capi di Stato in carica. Ma quali conseguenze avrà quest’incriminazione eccellente? Sul piano pratico quasi nessuna.
Un arresto quasi impossibile
L’esecutivo russo ha ritirato la ratifica del trattato nel 2016 in risposta a un report sull’annessione della Crimea, scongiurando anche future inchieste sull’intervento militare in Siria. Affinché un individuo venga sottoposto a un processo lo Statuto di Roma prevede che lo Stato di cui la persona indagata è cittadino sia uno “Stato parte”, ossia membro effettivo della Corte Penale Internazionale. L’Aja, che tra le sue toghe vanta anche l’italiano Rosario Salvatore Aitala, non ammette la possibilità di giudicare un imputato in contumacia cioè in sua assenza. Per assicurare Putin alla giustizia internazionale bisognerebbe perciò accordarsi separatamente con il Cremlino per consegnarlo in custodia.
Un piccolo dettaglio: Vladimir Vladimirovich Putin è l’uomo al comando della Federazione russa, il “boss” del Cremlino. Nessuno, al di là del Danubio, detiene un potere superiore al suo. Quindi a decidere del suo destino sarebbe solo lui, perlomeno fintanto che sarà presidente. Quando il dittatore jugoslavo Slobodan Milosevic venne catturato nel 2001 le modalità dell’arresto furono concordate con il governo serbo, che in un secondo momento lo estradò peraltro scontrandosi con i giudici contrari alla sua estradizione. Allora in che modo si potrebbe, almeno ipoteticamente, arrestare Vladimir Putin ?
Dal 17 marzo, ogni volta che il leader russo vorrà viaggiare all’estero per presenziare un vertice internazionale o un bilaterale, dovrà tenere a mente che in qualsiasi Stato che accetta la giurisdizione della Corte Penale Internazionale sarà ricercato. Insomma, ora che è diventato un « paria internazionale » rischierebbe l’arresto.
In quali Stati Putin è ricercato
L’International Criminal Court (Icc), fondata nel 2002, conta al suo interno 123 nazioni, il 63% della comunità internazionale ossia quasi i due terzi degli Stati membri dell’Onu. Ne fanno parte l’Italia e gli altri 26 Paesi dell’Ue, ma non la Turchia, né Israele, India o Cina, che nel frattempo hanno votato a favore di una risoluzione delle Nazioni Unite in cui viene riconosciuta « l’aggressione della Russia in Ucraina e Georgia ». Gli Stati Uniti hanno lasciato l’organizzazione prima ancora che entrasse in vigore il trattato istitutivo nel 1998, introducendo l’Hague Invasion Act nel 2002, un provvedimento che conferiva al presidente Usa la controversa facoltà di ordinare il rilascio immediato dei cittadini americani detenuti dal Tribunale dell’Aja. Washington si è impegnata alacremente a screditare e criminalizzare l’arbitrarietà e l’esistenza stessa di questa Corte.
Nel 2020 Donald Trump ha emanato un ordine esecutivo contro la Cpi, ritenuta una « minaccia alla sicurezza nazionale americana ». La Casa Bianca ha abrogato quell’ordine esecutivo un anno dopo e da quando si è insediato Joe Biden la cooperazione con l’Aja non è mai stata così concreta e costruttiva. Il Congresso ha modificato le norme dell’Hague Invasion Act, ma il Pentagono si è rifiutato di collaborare con la Cpi perché, entrandoci, gli Stati Uniti potrebbero inavvertitamente mandare a processo soldati, generali e perfino politici accusati di crimini di guerra.
Incalzato sul mandato d’arresto contro Vladimir Putin, il segretario di Stato Antony Blinken ha invitato l’Europa a ottemperare l’obbligo di arrestare il 70enne pietroburghese. E se, per assurdo, Putin andasse negli Stati Uniti? “Non voglio parlarne, non penso che abbia in programma un viaggio qui”, ha svicolato il numero uno della diplomazia statunitense, rivelando un profondo e atavico imbarazzo verso la Corte Penale Internazionale. L’unico Stato europeo membro della Cpi ad aver pubblicamente dichiarato di non voler arrestare Putin è l’Ungheria di Viktor Orbán, ma va rilevato che prima di atterrare a Budapest il capo del Cremlino dovrebbe comunque attraversare lo spazio aereo dell’Unione europea, dove il transito ai velivoli russi è interdetto dal 2022.
Il caso del Sudafrica
C’è poi il Sudafrica, partner Brics che si trova tra l’incudine e il martello: Pretoria fa parte della Cpi, ma in passato ha provato a uscirne. Il “casus belli” fu l’ingresso nel Paese del dittatore sudanese Omar al-Bashir nel 2015. All’epoca il Sudafrica consentì ad al-Bashir, imputato per genocidio, crimini di guerra e crimini contro l’umanità, di intervenire a una riunione dell’Unione africana e il presidente Jacob Zuma avviò l’iter per ritirarsi dall’Aja in polemica con la magistratura sudafricana. Nel 2017 la Corte Suprema ha dichiarato incostituzionale l’uscita unilaterale dallo Statuto di Roma, a meno che non venga formalizzata con una legge approvata dal parlamento.
Di recente il tema dell’adesione del Sudafrica alla Corte Penale Internazionale è tornato di urgente attualità poiché ad agosto la provincia di Gauteng sarà la sede del 15esimo incontro annuale dei Brics. La presenza di Vladimir Putin non è stata confermata. Il suo portavoce Dmitry Peskov ha rivelato alla stampa che l’eventuale partecipazione del presidente verrà comunicata qualche giorno prima del summit. Durante una conferenza stampa tenuta nella capitale amministrativa sudafricana, il presidente Cyriil Ramaphosa ha annunciato l’intenzione del suo esecutivo di tornare sui suoi passi, abbandonando la Cpi. Ma dopo neanche 24 ore, Pretoria ha smentito sé stessa: “La Presidenza desidera chiarire che il Sudafrica rimane firmatario dello Statuto di Roma”, c’è scritto in una nota diramata dall’ufficio di Ramaphosa.
Il disagio è palpabile: se Putin volasse a Gauteng la prossima estate, il Sudafrica sarebbe obbligato ad arrestarlo. « Non abbiamo altra scelta che arrestare Putin. Se viene qui, dovremo farlo », ha detto anonimamente un rappresentante del governo sudafricano, che secondo il Sunday Times avrebbe già costituito un comitato speciale volto a studiare le opzioni per la cattura. Sempre a detta del quotidiano di Johannesburg, Pretoria avrebbe offerto un compromesso all’alleato euroasiatico: partecipare in videocollegamento. Ma da Mosca diffidano: “Arrestare Putin sarebbe una dichiarazione di guerra alla Russia”, avverte il vulcanico Dmitry Medvedev, principale esponente della propaganda bellicista russa, il quale ha proposto un bombardamento nei Paesi Bassi contro la Corte dell’Aja. Sarà veramente così ?
Di Gianluca Lo Nostro. (Il Giornale)