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Il nucleare turco: Erdogan «inaugura» la centrale (con l’aiuto russo)

(Roma, 27.04.2023). La centrale nucleare di Akkuyu, in Turchia, procede in una marcia a tappe forzate verso l’attivazione. Nel sito della provincia meridionale di Mersin è arrivato il primo carico di combustibile, compiendo dunque un significativo passo verso la futura produzione di energia elettrica.

Un momento essenziale per il presidente Recep Tayyip Erdogan (apparso in collegamento video nonostante il malore delle scorse ore), ma anche per il suo omologo russo, Vladimir Putin, anch’esso collegato in video come presidente del Paese che ha contribuito alla costruzione dell’impianto attraverso l’agenzia Rosatom.

La centrale, che sarà probabilmente attiva dal 2025, rappresenta per Erdogan un ulteriore segnale nel suo intento di velocizzare il processo di indipendenza del Paese anche nel settore dell’energia. L’inaugurazione di oggi della centrale nucleare è quindi prima di tutto un segnale politico e propagandistico in vista delle prossime elezioni, volendo essere la cartina di tornasole di quel desiderio di rinascita della potenza turca che passa – soprattutto in periodo difficile come quello che vive il Paese – anche dalla capacità di ridurre le spese per l’energia aumentando la produzione interna.

Per Ankara un cambiamento non facile, dal momento che fino a oggi importa quasi tutta l’energia utile a soddisfare il proprio fabbisogno. È il motivo per il quale Erdogan, oltre ad accelerare sulla centrale nucleare di Akkuyu, sta anche confermando in ogni occasione il programma di estrazione di gas dal Mar Nero. Con il desiderio mai troppo celato di poter sfruttare anche le risorse dei mari intorno a Cipro e in quell’Egeo da sempre contestato nella sua attuale suddivisione.

Non si tratta di un percorso facile né istantaneo. L’investimento per la centrale di Akkuyu, ad esempio, è costato circa 20 miliardi di dollari, va incontro a una serie di dubbi sul piano ambientale, strategico e anche economico e nonostante questo la centrale riuscirà – nella migliore delle ipotesi – a soddisfare un decimo del fabbisogno elettrico della Turchia. Inoltre, analisti critici verso l’opera sottolineano almeno due dati: la forte presenza russa nel progetto e nel futuro della centrale, data non solo dall’investimento economico ma anche dal fatto che la Turchia non ha un passato nucleare e una classe di tecnici esperta; il denaro che Ankara dovrà versare a Rosatom nei prossimi anni per chilowattora e che secondo alcuni sarà molto superiore al prezzo medio globale.

Sul piano strategico, inoltre, non sfugge l’importanza del progetto per Erdogan anche in chiave di rapporti bilaterali con la Russia. Un sistema di relazioni che inevitabilmente contraddice in parte la fedeltà alla Nato ma che serve anche a ricordare come sia il “sultano” che lo “Zar” continuino ad avere un’idea di rapporti molto diversa da quella che si configura tra Occidente e Mosca. A questo proposito, il segnale politico del leader turco con Akkuyu non è solo quello di volere mostrare una Turchia “indipendente” (relativamente, dato il forte coinvolgimento e peso russo nel piano), ma anche dimostrare la capacità di mantenere gli impegni con un partner scomodo ma fondamentale nella geopolitica di Ankara.

Questo tipo di segnali può essere utile in maniera più ridotta ma non meno significativa anche alla Russia. Putin, isolato dall’Occidente dopo l’invasione dell’Ucraina, può confermare la sua libertà di manovra in contesti al di fuori di quello eminentemente europeo o euro-americano e farlo attraverso uno dei pilastri della sua agenda strategica: l’energia. Bloccato sul fronte del gas e del petrolio verso l’Unione europea e sotto sanzioni in diversi settori, il presidente russo può inviare un messaggio verso il mondo attraverso una delle sue armi più importanti, l’atomo, già mostrata con l’Ungheria attraverso il rinnovo dell’accordo per la centrale di Paks. Confermando i piani per Akkuyu, importante al punto da meritare il suo intervento video per l’arrivo del primo combustibile, Putin può così dimostrare non solo di non essere completamente isolato, ma di essere in grado di mantenere in piedi progetti internazionali attirando, come spiegato dal capo del think tank russo New Turkey Research Center Yuriy Mavaşev a Bbc Turchia, anche potenziali clienti in altre parti del mondo, a partire dal continente africano.

Di Lorenzo Vita. (Inside Over)

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