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Sudan: scontri intorno al palazzo presidenziale, si teme tentativo di golpe a Khartum

(Roma, Parigi, 15.04.2023). Si allargano di ora in ora gli scontri in corso a Khartum e in altri punti nevralgici del Sudan, dove da giorni era altissima la tensione tra l’esercito, sotto il controllo del capo del governo di transizione Abdel Fattah al Burhan, e i paramilitari delle Forze di supporto rapido (Rsf), che fanno capo al suo vice Mohamed Hamdan “Hemeti” Dagalo. Secondo le Rsf, questa mattina sarebbe partita un’imponente offensiva delle forze regolari nella base di Soba, a sud di Khartum, di cui gli uomini di Dagalo avevano preso il controllo negli ultimi giorni. Un attacco definito “brutale”, condotto “con tutti i tipi di armi pesanti e leggere”, in un post su Twitter nel quale s’invita il popolo sudanese a “unirsi in un momento cruciale” e la comunità internazionale a “condannare questo comportamento codardo”. Gli scontri si sono allargati tuttavia rapidamente ad altre basi militari nel Paese e anche al centro di Khartum, in particolare nella zona del palazzo presidenziale. Circostanza, quest’ultima, che sta alimentando il sospetto e il timore che in corso vi sia un vero e proprio tentativo di golpe da parte delle forze di Dagalo, considerato uomo molto vicino alla Russia e appoggiato dal gruppo Wagner. Alcuni video che circolano in rete in queste ore mostrano gruppi di paramilitari, presumibilmente appartenenti alle Rsf, all’interno dell’aeroporto di Khartum.

A quattro anni dalla deposizione del presidente Omar al Bashir, nell’aprile del 2019, in Sudan il processo politico concordato dalla maggior parte delle forze in campo per istituire un governo a guida civile appare ancora faticoso. Il nuovo round di colloqui si è arenato su alcuni elementi relativi alla gestione della sicurezza nel Paese, ad oggi in mano all’esercito ma nel quale dovrebbero essere integrate anche le Forze di supporto rapido del comandante Dagalo, vicepresidente del Consiglio sovrano sudanese e numero due nel governo del generale Abdel Fattah al Burhan. Formate anche da ex membri delle milizie « janjaweed », i famigerati « demoni a cavallo » accusati di efferati crimini nel Darfur e della cruenta repressione dei manifestanti sudanesi, le Rsf sono in disaccordo con al Burhan su chi debba dirigere la futura architettura dell’esercito.

In base alla tempistica dettata nei precedenti accordi le parti avrebbero dovuto annunciare l’11 aprile un nuovo primo ministro ed altri membri del futuro governo civile, e prima ancora firmare un’intesa finale per la transizione fra l’1 e il 6 aprile. Secondo quanto riferito dal sito web « Al-Intibaha », martedì 11 aprile un comitato congiunto dell’esercito e delle Rsf, istituito per discutere delle questioni controverse, avrebbe sospeso i colloqui per un giorno per ulteriori consultazioni, mentre le stesse Rsf avrebbero inviato almeno 14 veicoli blindati a Khartum affermando di farlo « in previsione di qualsiasi emergenza ». Secondo una fonte del gruppo paramilitare, i veicoli erano in precedenza di stanza a Zurq, località situata al confine con la Libia, e si stavano dirigendo verso Khartum, “come parte dei piani di Rsf per dispiegare le proprie forze in città”. Sui social sono inoltre circolate allarmate notizie sullo schieramento di truppe delle Rsf nella capitale e nella città settentrionale di Merowe, con movimenti di militari vicino all’aeroporto cittadino, dove gli eserciti sudanese ed egiziano hanno loro dispositivi aerei. Richiamate all’ordine dall’esercito, le forze di Dagalo sono state accerchiate dalle truppe delle Forze armate, che hanno chiesto loro di evacuare ricevendo tuttavia un rifiuto. Le Rsf hanno rilasciato una dichiarazione in cui affermano che la loro presenza nello Stato settentrionale di Merowe rientra nella loro missione per combattere il traffico di esseri umani, il contrabbando di migranti illegali e la droga.

Tramite il suo portavoce, Nabil Abdallah, l’esercito del Sudan ha lanciato un monito contro lo schieramento nelle città di Khartum e Merowe di truppe delle Forze di supporto rapido (Rsf). “Questo dispiegamento e riposizionamento delle forze viola i compiti e il sistema di lavoro delle Forze di supporto rapido e viola chiaramente la legge e le direttive dei comitati di sicurezza centrale e statale. La sua continuazione causerà inevitabilmente ulteriori divisioni e tensioni che potrebbero portare al crollo della sicurezza nel Paese”, ha avvertito Abdallah, sottolineando che le Rsf hanno dispiegato truppe senza l’approvazione o il coordinamento con l’esercito, al quale è affidata la gestione della sicurezza nazionale. Il portavoce ha quindi ribadito l’impegno delle Forze armate nei confronti dell’accordo quadro per un governo civile e di quanto concordato nell’ambito del processo politico di transizione, e ha chiesto alle forze politiche sudanesi di prendere le distanze dal contenzioso esistente sull’integrazione delle Rsf nell’esercito.

Le tensioni hanno suscitato preoccupazione anche negli Stati Uniti, che tramite il segretario di Stato Antony Blinken sono intervenuti invitando al dialogo. « Ho parlato con il presidente del Consiglio sovrano, il generale Abdel Fatah al Burhan, per evidenziare il sostegno degli Stati Uniti alle aspirazioni democratiche sudanesi e sollecitare la rapida formazione di un governo di transizione a guida civile », ha affermato Blinken in un tweet pubblicato al termine di un colloquio telefonico con il generale Al Burhan. Il Consiglio sovrano di Khartum ha rilasciato una dichiarazione in cui afferma che al Burhan ha informato Blinken sui progressi del processo politico e sulle difficoltà incontrate dal Paese. « Blinken ha assicurato che gli Stati Uniti sostengono il processo politico del Sudan e ha promesso di aiutare a superare gli ostacoli che frenano il progresso del Paese », si legge nel comunicato. L’appello di Blinken fa seguito alle recenti discussioni avute da Molly Phee, assistente segretaria di Stato per gli Affari africani, con lo stesso al Burhan, oltre che con Dagalo e con Khalid Omer Youssif, portavoce delle forze civili, per spingerli ad accelerare la formazione del governo civile.

Nel quadro della crisi si inserisce anche l’episodio di minacce di morte rivolte al capo della missione Onu in Sudan (Unitams) ed inviato del segretario generale delle Nazioni Unite, Volker Perthes. Le Nazioni Unite si sono dette « profondamente preoccupate » per un video di un uomo – appartenente ad un partito islamista contrario agli accordi – che chiede pubblicamente l’uccisione di Volker, accusandolo di interferire nella politica del Paese. In una nota, l’Onu ha sollecitato le autorità sudanesi a indagare sull’accaduto. La registrazione che sta circolando sui social media mostra un anziano sudanese che abusa verbalmente del funzionario delle Nazioni Unite e poi chiede una fatwa – un’autorizzazione religiosa – per ucciderlo. L’incidente è avvenuto durante un incontro tenuto dai partiti islamisti legati all’ex presidente Omar Al Bashir, deposto nel 2019. L’anno scorso migliaia di manifestanti islamisti hanno chiesto al diplomatico tedesco di lasciare il Sudan, accusando lui e le Nazioni Unite di intromettersi nella politica del Paese. In una dichiarazione, gli organizzatori hanno affermato che i commenti dell’uomo non rappresentano le loro opinioni. Il raggiungimento di un accordo sulla transizione civile, sempre più complicato, è nelle speranze dei leader sudanesi il passaggio obbligato anche per sbloccare gli aiuti – ora congelati dall’Unione europea e dagli Stati Uniti – per sostenere l’economia del Paese, in difficoltà.

(Agenzia Nova)

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