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La Turchia sta per invadere la Siria ? Cosa sappiamo

(Roma, 11 dicembre 2022). Il conflitto in Ucraina sta rimodellando copiosamente il rapporto tra Stati Uniti e Turchia all’interno della casa Nato. Tuttavia, l’attentato a Istanbul del novembre scorso ha rimescolato ancora una volta le carte della strategia di Erdogan oltre i confini della Turchia. La sua risposta ai fatti di Istiklal Caddesi è stata, infatti, immediata. Dopo aver accusato Washington di essere complice dell’attentato, Ankara ha effettuato una serie di raid aerei contro obiettivi militari curdi in Iraq e nel nord della Siria che, oggi, appaiono come il preludio di un’invasione da manuale. Sarebbe la quinta incursione in sei anni e il nome dell’operazione- “spada ad artiglio”- appare quanto mai messianico.

Cosa sappiamo delle mosse di Erdogan

La minacciata incursione della Turchia nel nord della Siria sta mettendo alla prova gli sforzi degli Stati Uniti per trovare un equilibrio tra un importante partner antiterrorismo in Medio Oriente e un fondamentale alleato geopolitico nella guerra in Ucraina. Al centro della disputa tra Ankara e Washington resta il sostegno degli Stati Uniti alle Forze democratiche siriane (Sdf), la milizia a maggioranza curda con cui Washington ha collaborato per combattere lo Stato islamico che Ankara vede come un’estensione del Pkk e delle sue attività sommerse.

Erdogan ha affermato che gli attacchi sono stati “solo l’inizio” e che le forze armate turche “rovesceranno i terroristi via terra nel momento più opportuno”. Il presidente turco ha promesso un’incursione nel nord della Siria da maggio. In precedenza aveva affermato che un’invasione eventuale avrebbe avuto lo scopo di creare una “zona sicura” profonda 30 km che sarebbe stata svuotata dai combattenti alleati del Pkk. Tuttavia, il continuo posporre l’iniziativa aveva fatto presumere che Erdogan stesse in realtà aspettando il via libera dal presidente russo Vladimir Putin, il cui Paese ha una grande presenza militare in Siria. Quel semaforo verde, tuttavia, stenta ancora ad arrivare: la Russia vuole molto di più: ovvero che il governo turco di Ankara coinvolga il regime di Assad e si impegni a porre fine alla guerra. E per fare questo poche settimane non sono sufficienti.

Cosa vogliono USA e Russia

Ecco però che sulla questione siriana emerge il paradosso: Stati Uniti e Russia costrette a “collaborare” per placare l’ira funesta di Erdogan, che nei prossimi sei mesi avrà bisogno di mostrare i muscoli più che mai. Nelle scorse ore in Turchia, tra l’altro, è giunto Alexander Lavrentyev, l’inviato speciale della Russia per la Siria. La sua missione passa per convincere Erdogan che nulla di più potrà nella sua offensiva anticurda a suon di raid aerei. Il sultano, nonostante ciò, appare ben determinato a ripulire dai miliziani curdi le cittadine di Manbij, Tal Rifat e Kobane, sede dei bracci più virulenti dello Ypg. Per farlo, il presidente è disposto a rispolverare il clima degli anni Novanta e l’accordo firmato ad Adana nel 1998, che consentirebbe di varcare il confine entro 10 chilometri per motivi di sicurezza.

Se l’atteggiamento di Putin appare quantomeno coerente con l’impronta russa in Siria, ora è la Casa Bianca ad essere in grande difficoltà, poichè con i curdi Washington non solo ha un grande debito “morale” ma soprattutto la coscienza sporca. Dalla fine di novembre, infatti, gli Stati Uniti dispiegano pesanti rinforzi nel nord della Siria dall’Iraq: questi coincidono con gli sforzi di Washington per impedire alla Turchia di lanciare l’offensiva di terra contro le Sdf e dare manforte ai curdi nel caso in cui fosse superato il punto di non ritorno.

Un rinforzo Usa nell’area: perché ?

L’Osservatorio siriano per i diritti umani (Sohr) con sede nel Regno Unito ha riferito il 26 novembre che ingenti rinforzi di truppe e attrezzature militari statunitensi si sono fatti strada nel nord e nell’est della Siria, provenienti dalla regione del Kurdistan iracheno attraverso il passo di confine (illegale) di Al-Waleed. Questi rinforzi sono costituiti da circa 100 camion, che hanno attraversato la città di Qamishli e si sono diretti verso le basi statunitensi a Tal Baidar e Qasrak, a sud di Hasakah. Si tratterebbe del sesto convoglio militare statunitense ad entrare nel nord e nell’est della Siria dal mese di novembre, in coincidenza con l’escalation terrestre e aerea turca in quelle aree. Nei giorni precedenti i rinforzi sono stati visti anche entrare in aree sotto il controllo della milizia delle Forze democratiche siriane, sotto la supervisione delle truppe della coalizione. Un po’ troppi i movimenti per giustificarli con la consueta rotazione delle forze militari statunitensi tra le sue basi in Iraq e Siria.

Il regolamento dei conti nella NATO

Separare la vicenda turco-siriana da quanto sta accadendo in Ucraina è pressoché impossibile. La Turchia prova da mesi a fare da pivot nel conflitto e Erdogan è uno dei pochi leader della Nato a mantenere ancora i contatti con Putin. Ma mentre prova ad atteggiarsi a mediatore, i suoi detrattori lo vorrebbero fuori dai giochi, ritraendolo come un giocatore inaffidabile che sfrutta la posizione della Turchia all’interno della Nato per ottenere concessioni su obiettivi di politica estera che Washington non avallerebbe. E sapere che Washington, in questo momento, ha un bisogno disperato di appeasement nell’Alleanza atlantica, è la più grande forza di Ankara. Non bisogna dimenticare, infatti, che negli ultimi mesi Erdogan non ha solo compiuto tentativi di mediazione ma ha minacciato velatamente di invadere la vicina Grecia, mentre è bloccata in una serie di dispute marittime con Atene, e sta facendo il bello e il cattivo tempo sull’ingresso di Svezia e Finlandia nell’Alleanza.

Al di là degli obiettivi interni di sicurezza, soprattutto in vista delle elezioni del giugno 2023, ciò che la Turchia sta facendo ora mina fondamentalmente la capacità di contrastare l’Isis che si immagina ormai estirpata o confinata alla periferia della geopolitica mondiale: infatti, nel frattempo, in segno di protesta contro l’escalation turca, le Sdf hanno sospeso le operazioni anti-ISIS con la coalizione statunitense e hanno sottolineato a Washington di avere il “dovere morale” di proteggere i curdi.

Dall’esplosione del conflitto siriano, ad oggi, le cose sono fortemente mutate. L’importanza della Turchia per gli Stati Uniti sta subendo un rilancio man mano che la politica americana si è allontana dal Medio Oriente per concentrarsi sull’Eurasia e sull’Ucraina. Erdogan, scaltro, a questo proposito agita lo spauracchio dell’allontanamento dall’Occidente. “E’ arduo per la Turchia pensare a un futuro insieme a Paesi che segretamente sostengono il terrorismo…le recenti crisi hanno messo a nudo la fragilità dell’Europa. Siamo un Paese che ha scelto di camminare al fianco dell’Europa dopo la seconda guerra mondiale. Nonostante gli sforzi fatti non dimenticheremo mai che siamo stati lasciati soli nella lotta a gruppi terroristici che minacciano la nostra integrità. Migliaia di carichi di munizioni e armi sono stati mandati a gruppi terroristici nel nord della Siria da Paesi che fanno parte della Nato”, ha dichiarato all’apertura del forum della Tv di stato Trt.

E nell’ottica di questo mutamento, non irritarlo è diventata la nuova strategia occidentale a lungo termine. Almeno fino a quando resterà sul trono.

Di Francesca Salvatore. (Inside Over)

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