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L’allarme sul 2023. La «guerra del gas» può colpire ancora più forte

L’Agenzia internazionale dell’energia lancia l’allarme per l’Europa. Il rischio sulla disponibilità di gas non è riferito a questo inverno, ma al prossimo anno, e serve a ricordare come quello che viviamo in questi giorni sia solo una parte delle conseguenze di quanto accade tra Occidente e Mosca e che impatta sul mercato internazionale dell’energia.

Il 2023, secondo gli analisti, potrebbe essere peggiore dell’anno in corso per almeno tre ragioni: l’eventuale interruzione totale del flusso di gas dai giacimenti russi verso l’Europa, la possibilità che il clima non sia mite come quest’anno costringendo quindi a utilizzare più gas e l’ipotetico aumento delle importazioni di gas naturale liquefatto dalla Cina rispetto al volume del 2022. Elemento, quest’ultimo, limitato finora dall’onda lunga della crisi del coronavirus e dai metodi utilizzati in Cina per frenare i contagi bloccando spesso interi settori industriali.

Lo studio di questi tre fattori ha indotto la IEA a produrre un report in cui si avverte l’Europa di non commettere l’errore di credere che i dati positivi sullo stoccaggio di gas di quest’anno siano indice di un pericolo scampato. Al contrario, proprio la disattenzione data da quello che viene chiamato “appagamento” potrebbe condurre a una crisi dai risvolti addirittura peggiori di quelli paventati per l’inverno del 2022. E vista la lentezza con cui si muove l’Ue in questo campo, è opportuno anche comprendere i rischi che si corrono.

Il dato sottolineato dall’Agenzia per l’energia ribadisce un tema che molto spesso viene sottovalutato nell’analisi degli effetti geopolitici scaturiti dalla guerra in Ucraina. Quanto avviene nei rapporti triangolari tra Europa, Russia e Stati Uniti rischia infatti di avere un impatto sul breve, medio e lungo termine in cui l’Unione europea, e in particolare gli Stati più vulnerabili e dipendenti da fonti esterne, potrebbero subire colpi molto duri anche nel prossimo futuro.

La transizione da una condizione di quasi-dipendenza dalla Russia a una in cui il mercato appare molto più diversificato non è, infatti, priva di conseguenze se non c’è un parallelo adeguamento complessivo del continente a quella che è una situazione in piena evoluzione. Ma l’Europa si trova di fronte a una profonda rivoluzione dei propri equilibri interni ed esterni che rischiano di non essere compresi appieno al punto che non è un caso che alcuni studiosi ed economisti abbiano addirittura paventato il rischio di una deindustrializzazione del continente se non si trovano soluzione alla dipendenza da fonti esterne e dai rincari dell’energia dovuti alla speculazione.

Quello a cui stiamo assistendo ora, e che appunto induce, come spiega l’Agenzia, a una forma di pericoloso ottimismo, sembra pertanto essere più l’effetto della situazione precedente che l’effetto del cambiamento in corso. L’Europa è riuscita a riempire i propri siti di stoccaggio del gas non solo grazie a una stagione estremamente mite e appunto a un mercato asiatico non fortemente desideroso di Gnl, ma anche grazie a un “oro blu” giunto dalla Russia – e pagato, paradossalmente, a peso d’oro dalla stessa Ue – che dal prossimo anno potrebbe essere completamente interrotto. Finora è stato ridotto in maniera significativa, ma quel gas arrivato nei mesi precedenti ha comunque permesso ai Paesi del Vecchio Continente di poter sodisfare il proprio fabbisogno energetico e sostenere le proprie economie implementando i siti di stoccaggio. Questo dato è già cambiato nel corso dell’anno. Proprio in queste ore, Agenzia Nova ha riportato le parole del vicepresidente della Commissione Europea, Valdis Dombrovskis che, alla Conferenza economica della Banca di Lettonia, ha annunciato che Norvegia e Stati Uniti sono già attualmente i maggiori fornitori di Gnl per l’Europa e di essere “riusciti a cambiare totalmente la struttura delle nostre forniture”.

Tutto questo, secondo l’Agenzia internazionale dell’energia, potrebbe in ogni caso non bastare. E lo spiega in maniera molto netta il rapporto stilato. L’ipotesi presa dagli analisti che hanno scritto il report (Never Too Early to Prepare for Next Winter: Europe’s Gas Balance for 2023-2024) è che ci possa essere una combinazione di cessazione del flusso di gas russo attraverso gli oleodotti e aumento delle importazioni di Gnl in Cina fino al livello del 2021. In questo caso, scrive la IEA, “l’Europa potrebbe trovarsi di fronte a un divario tra domanda e offerta di 30 miliardi di metri cubi durante il periodo estivo-chiave per il riempimento dello stoccaggio di gas nel 2023″. Proprio per questo motivo, gli organismi internazionali già prevedono che il cambiamento – che non è solo transizione energetica ma anche transizione geopolitica – non possa terminare con questa condizione.

Questo va inserito anche nel contesto di quello che può accadere anche in caso di fine dell’invasione russa dell’Ucraina: scenario che fino a questo momento non viene particolarmente analizzato dai media, ma che prima o poi occorrerà approfondire sia studiando l’ipotesi di una sconfitta russa sia quella di un accordo tra le parti. In questa fase, il ripristino delle relazioni economiche con Mosca appare un’ipotesi del tutto remota, tanto più se Vladimir Putin dovesse rimanere al potere. Le sanzioni, in ogni caso, non sembrano destinate a interrompersi da un momento all’altro alla fine delle ostilità. Ma quello che sembra abbastanza certo è che il trauma della guerra e la ricostruzione del blocco occidentale a guida Usa lascia supporre che nessuno vorrà tornare alla condizione precedente in cui la Russia era pienamente integrata nel mercato energetico europeo e considerata come principale fornitore. Per questo, quanto succede sul fronte del gas non va letto nell’immediato futuro, ma con le lenti più ampie: l’allarme sull’inverno 2023-2024 è, in questo senso, un segnale che non va sottovalutato.

(Il Giornale/Inside Over)

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