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Le mani della Russia sull’Afghanistan

(Roma, Parigi, 24 giugno 2022). Per pura coincidenza il terremoto che ha devastato le province di Khost e Paktika, mietendo 1000 vittime, scuote l’Afghanistan a poche ore dalla promessa del Cremlino di sbloccare grano a beneficio di Kabul.  Coincidenza perché Madre Natura non si muove seguendo le regole della geopolitica, eppure le parole di Putin sugli aiuti alimentari spingono ancora di più il debole Emirato nell’orbita di Mosca. Dal 2001, infatti, anno dell’attacco statunitense, il governo russo ha tessuto (e tesse) una rete diplomatica e commerciale sia con i governi filo-alleati, sia con i talebani che dall’agosto scorso sono tornati al potere.

Cosa tutt’altro che strana, considerato che sin dal ritiro sovietico del 1989 l’Urss prima e la Federazione Russa poi hanno mantenuto attiva una presenza militare lungo il confine uzbeko-tagiko-afghano. Uzbekistan e Tajikista sono, d’altronde, ventre molle di Mosca nell’Asia centrale, dunque  la sorveglianza di confine si è resa necessaria per limitare l’infiltrazione di trafficanti di oppio, di trafficanti di esseri umani e di terroristi verso la Federazione. C’è di più. L’aiuto economico e politico di Putin rappresenta uno schiaffo alla politica della Nato: le missioni ISAF e Resolute Support non sono mai andate a genio al Cremlino, convinto della loro scarsa utilità. Ed il ritiro siglato inseguito agli accordi di Doha ha rappresentato per Putin e per il suo entourage un successo in termini di prestigio e di influenza nell’area.

“Vladimir Vladimirovich [Putin] ha approvato, in linea di principio, l’assegnazione, se necessario, di una certa quantità di grano soggetta al raccolto previsto in Russia, che si spera buono. (La quantità) Sarà determinata dal governo russo in base alla situazione specifica più avanti” riporta, il 14 giugno scorso, l’Agenzia Tass, citando il diplomatico Zamir Kabulov, uomo di Putin nell’Asia centrale. È a Kabulov che si deve, in parte, la costante presenza russa in Afghanistan dal 1989 ad oggi. Ambasciatore sovietico in Iran poi addetto all’ambasciata sovietica di Kabul sino al 1987, Kabulov è un profondo conoscitore del contesto politico afghano. Fu lui, nel 1995, a trattare con successo il rilascio dell’equipaggio russo catturato dai talebani, confrontandosi direttamente con il Mullah Omar, fondatore e leader del primo Emirato Islamico afgano.

Preparazione e competenza che gli permetteranno di ricoprire, dal ’96 al ’98, l’incarico di “senior political adviser” dell’ONU per l’Afghanistan.  La credibilità del diplomatico russo presso i talebani si è altresì accresciuta nel corso delle operazioni Nato, sulle quali Kabulov è sempre stato piuttosto critico, accusando l’Alleanza Atlantica di aver compreso ben poco delle tradizioni e della cultura afgane. E fu proprio lui a commentare, nel 2019, che l’azione NATO nel Paese degli Aquiloni era stata un completo fallimento.

La notizia dei potenziali aiuti alimentari a Kabul arriva in concomitanza con la notizia che la Russia sia pronta a riconoscere il governo talebano ad interim e che sia in programma un incontro moscovita con il ministro afgano per il commercio. A rendere nota la cosa su Channel One Russia è proprio Kabulov poiché, a suo avviso, i talebani sarebbero disposti a cooperare con la Russia in linea con le regole internazionali. Ed il terremoto che ha sconvolto il confine afgano-pakistano, distruggendo interi abitati ed uccidendo mille persone contribuirà ad avvicinare Mosca a Kabul.

Come noto, infatti, l’Emirato Islamico dell’Afghanistan è soggetto a sanzioni da parte della Comunità internazionale tanto da spingere il governo talebano a specificare, pubblicamente, che il loro paese ha bisogno di “human Aid” e non di “development Aid”. In altre parole, gli “studenti coranici” chiedono un ammorbidimento delle sanzioni, al fine di ricevere denaro e risorse per fronteggiare un’emergenza che, aggiungendosi alla già grave crisi alimentare, rischia di spingere l’Afghanistan nel baratro. Anche la Russia è colpita da sanzioni, tuttavia l’apertura verso Kabul e la disponibilità a riconoscerne il governo (nel pieno delle tensioni scaturite dalla guerra in Ucraina) la pone, agli occhi dei paesi meno sviluppati, su un livello superiore rispetto a Stati Uniti ed Unione Europea.

In sostanza, la Russia torna a ricoprire quel ruolo che, sino agli Anni Ottanta, fu dell’Unione Sovietica: faro economico e politico della fetta di mondo tagliata fuori dall’industrializzazione e dal benessere. Il veloce, precipitoso abbandono dell’Afghanistan meno di un anno fa, lo scioglimento come neve al sole dell’Esercito Nazionale Afghano addestrato dagli occidentali, la palese, forte influenza di Washington sulla politica del Vecchio Continente, sono fattori che hanno contribuito alla perdita di credibilità dell’Unione Europea e della NATO (europea) agli occhi delle nazioni in via di sviluppo.

Il terremoto a Khost e Paktika aggraverà certamente la già dura condizione di milioni di afghani, ma ben peggiore degli effetti del sisma sul morale della popolazione è vedere i propri leader chiedere di aggirare le sanzioni per avere aiuti. L’Occidente che per venti anni li aveva educati ad una modernità poi spazzata via nel giro di un’estate, ha imposto loro sanzioni che ne aggravano le condizioni di vita. E la Russia è lì, a fare capolino con Putin e con Kabulov, pronta a diventa l’ “eroe” di 38 milioni di persone senza cibo, senza riscaldamento, senza soldi e forse senza più alcuna speranza.

(Inside Over)

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