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Chi sono i falchi che sostengono ancora Putin

(Roma, 12 aprile 2022). Attorno la cerchia del presidente russo Vladimir Putin sembrano prevalere sempre di più le posizioni dei cosiddetti “falchi”. Di coloro cioè che premono per una linea dura sull’Ucraina e che già nei mesi scorsi, alla vigilia del conflitto, avrebbero contribuito a orientare le posizioni del Cremlino verso l’intervento armato. Ricostruire però la piramide del potere attorno a Putin appare molto difficile. Perché tra voci di scontri interni e di rimozioni, vere o presunte, si intuisce come il mosaico politico della presidenza russa sia tutt’altro che stabile.

Chi preme per la prosecuzione del conflitto

A grandi linee si possono individuare due correnti di pensiero interne al potere russo. Da un lato chi ha premuto per iniziare la guerra contro l’Ucraina e dall’altro chi invece ha espresso perplessità. Nella prima schiera vanno ricondotti i membri della Guardia Nazionale e dell’Fso, ossia della Guardia Federale. Oltre che di alcuni politici quali, tra tutti, l’ex presidente Dmitry Medvedev. Nella seconda schiera invece si collocano diversi membri dell’Fsb, l’agenzia erede del Kgb, e del Svr, lo spionaggio estero. A guerra in corso le posizioni dei falchi non sarebbero cambiate. E, anzi, premerebbero affinché si passi a una svolta di un conflitto per adesso molto difficile per le truppe di Mosca. La nomina del nuovo generale a capo della missione in Ucraina, Alexander Dvornikov, lo confermerebbe. Quest’ultimo infatti è un veterano della guerra in Siria, una persona scelta per mettere ordine in una linea di comando altamente deficitaria in terra ucraina.

Così come ricostruito dal Corriere, chi ha spinto per l’avvio della guerra adesso spinge per la sua prosecuzione. Medvedev, fedelissimo di Putin, sarebbe su questa linea. Oggi ricopre l’incarico di vice presidente del Consiglio di sicurezza della federazione russa. Ma il suo curriculum ben descrive il rapporto anche personale con il presidente russo. Nominato premier nel 2007, l’anno dopo è lui a salire al Cremlino per sostituire lo stesso Putin, il quale aveva deciso di non forzare la costituzione e non concorrere quindi per un terzo mandato. Una volta ultimata la staffetta, nel 2012 Putin è tornato a ricoprire l’incarico di presidente e Medvedev è ritornato alla “Casa Bianca”, intesa quale edificio di Mosca sede di lavoro del primo ministro. Lì è rimasto fino al gennaio 2020, ma la sua sostituzione non è dipesa da screzi interni al Cremlino, bensì da un avvicendamento pensato da Putin per agevolare il percorso verso le riforme costituzionali.

Medvedev, nel corso della riunione del consiglio di sicurezza del 21 febbraio 2022, è stato tra i principali sostenitori di una linea dura. Rievocando anche il precedente del 2008, quando (con lui alla presidenza) la Russia ha risposto militarmente in Georgia alle pretese di Tbilisi di riprendersi l’Ossezia del Sud. Medvedev non è ovviamente l’unico falco. Ci sarebbe, tra i politici di lungo corso, anche il presidente della Duma Viacheslav Volodin. Anche per lui “andare fino in fondo” è la parola d’ordine. Niente indietreggiamenti e niente segnali di debolezza, specie agli occhi di un occidente che, nella visione dei falchi del Cremlino, non aspetterebbe altro.

Poi ovviamente c’è il presidente ceceno Ramzan Kadyrov. Già il 30 marzo la sua idea appariva ben manifesta: quando a Istanbul il capo negoziatore russo Vladimir Mendinsky aveva annunciato un parziale ritiro da Kiev, Kadyrov in un video ha parlato di “errore” e di necessità, al contrario, di “completare il lavoro”. Concetto ribadito in un nuovo discorso trasmesso nella giornata di lunedì.

Il leader ceceno può vantare, agli occhi di Putin, non solo un certo peso politico ma anche un ruolo determinante nella (quasi) presa di Mariupol. Sono stati i combattenti ceceni a dare manforte alle truppe di Mosca per l’ingresso nei quartieri centrali della città portuale oggi simbolo del conflitto. C’è infine un altro che di combattenti e militari messi a disposizione di Putin è indubbiamente un grande esperto, ossia Evgenij Prigozhin. Si tratta del cosiddetto “cuoco di Putin”, avendo fatto fortuna nel mondo degli affari nel settore della ristorazione. Da anni si celerebbe lui dietro la società privata di contractors della Wagner, presente in tutti gli scenari di interesse russo. Anche Prigozhin sarebbe d’accordo con l’idea di non porre in essere alcuna cessazione delle ostilità.

Il caso di Vladislav Surkov

Dalla cerchia dei falchi sarebbe uscito invece Vladislav Surkov. Si tratta di un altro fedelissimo di Putin. É colui che ha dato vita alla strategia della cosiddetta “democrazia sovrana”, ossia una democrazia guidata e diretta dal Cremlino per evitare l’instabilità in un contesto molto delicato quale quello russo. Da molti è descritto come il vero stratega politico di Putin. Di sicuro del dossier ucraino Surkov è ben informato. C’è anche (e soprattutto) lui dietro la strategia del 2014 di appoggiare i separatisti del Donbass. Successivamente ha rappresentato la Russia nel Formato Normandia. Lui oggi sarebbe tra i falchi. Perché nel 2020 si sarebbe dimesso dai suoi ruoli in contrasto con un cambiamento di atteggiamento di Mosca proprio sull’Ucraina, giudicato troppo “morbido” dopo l’allora paventata possibile ripresa del negoziato. Basti pensare che da Kiev erano arrivati messaggi di esultanza dopo la notizia delle sue dimissioni.

Eppure da quel momento Surkov avrebbe soltanto lambito il potere russo, senza esserne più vero protagonista. Nelle scorse ore è arrivata addirittura la notizia di un suo possibile arresto: “Sarebbe accusato di aver sottratto soldi destinati al Donbass dopo il 2014”, ha dichiarato l’ex parlamentare russo Ilya Ponomarev. Non ci sono però al momento conferme (ma nemmeno smentite). Fatto sta che Surkov, fautore di una linea dura, oggi non è nella cerchia dei falchi. Difficile dire se tutto questo è figlio dell’attuale situazione in Ucraina oppure se si tratti di “semplice” resa dei conti interna al Cremlino.

Di Mauro Indelicato. (Inside Over)

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