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Se la fine dell’impasse in Libano passa per i cristiani

(Roma, Parigi, 24 aprile 2021). Mentre in Libano la crisi economico-finanziaria e politica continua a tenere in ostaggio il Paese, il premier incaricato Saad Hariri si è recato in visita da Papa Francesco. L’incontro con il Pontefice in un momento così delicato per il Paese dei cedri, da otto mesi senza un governo dopo le dimissioni di Hassan Diab e l’esplosione del porto di Beirut, è indicativo del peso che la Chiesa ha sulle sorti del Libano. E di cui Hariri è ben consapevole, come dimostrano tanto la visita in Vaticano quanto la vicinanza al Patriarca maronita Bechara al-Rai.

Il viaggio del Papa in Libano

Durante l’incontro con Hariri, il Pontefice ha promesso di visitare il Libano una volta formatosi il nuovo governo, sottolineando la sua vicinanza al popolo libanese che, come riportato dal direttore della Sala Stampa della Santa Sede Matteo Bruni, vive un tempo di grande difficoltà ed incertezza. Il Papa ha anche ricordato che è responsabilità di tutte le forze politiche impegnarsi a beneficio della nazione per risolvere il prima possibile l’attuale stallo politico, condizione indispensabile per affrontare i problemi economici e finanziari del Paese.

La mancanza di un governo ha infatti portato ad un nuovo stallo nelle trattative con il Fondo Monetario internazionale (Fmi) e gli stessi aiuti raccolti dalla comunità internazionale saranno erogati solo dopo la formazione dell’esecutivo e l’avvio di nuove riforme. Il Papa ha anche auspicato che il Libano torni ad incarnare “la fortezza dei cedri, la diversità che da debolezza diventa forza nel grande popolo riconciliato, con la sua vocazione ad essere terra di incontro, convivenza e pluralismo”.

Il Libano è da sempre considerato il simbolo della convivenza tra religioni: la sua popolazione è formata in larga parte da cristiani e musulmani (sia sciiti che sunniti), ma anche da altre minoranze che hanno sempre trovato rappresentanza nel sistema politico libanese. La divisione del potere è infatti regolata dagli Accordi di Taif, secondo cui la carica di presidente deve essere affidata a un cristiano-maronita, quella di primo ministro a un sunnita e quella di presidente della Camera a uno sciita. Questa stessa ripartizione del potere ha però favorito una divisione della società su linee settarie e un processo di assegnazione delle risorse in base alle appartenenze confessionali, intaccando la stabilità del Paese.

Anche lo stallo attuale è frutto della divisione su base confessionale dei poteri. Hariri ha promesso di creare un governo tecnico formato da 18 membri, ma il suo progetto è ostacolato dal presidente Michel Aoun, leader cristiano maronita alleato con il partito sciita Hezbollah. Aoun vuole un esecutivo di 18 ministri, sei di quali devono essere di sua nomina, così da poter controllare un terzo del governo.

Il piano del patriarca Rai

Ma il presidente non è l’unico esponente del mondo maronita ad interessarsi al futuro politico del Libano. Negli ultimi mesi il patriarca Bechara al-Rai si è fatto portavoce delle istanze dei manifestanti e ha invitato più volte i leader politici a trovare un punto di incontro per superare l’impasse attuale. Il patriarca in diverse occasioni ha attaccato indirettamente Hezbollah, chiedendo il disarmo delle milizie e ricordando che lo Stato è e deve essere uno solo. In Libano, quindi, non c’è posto per governi paralleli eterodiretti.

La presa di posizione di Rai contro Hezbollah porta con sé anche un ribaltamento dei ruoli: il gruppo sciita è stato a lungo un oppositore del potere costituito, di cui i maroniti sono invece parte integrante, ma dopo l’ultima crisi politica Hezbollah è diventato un difensore dello status quo.

Ma non tutte le istanze avanzate dalle piazze trovano d’accordo il patriarca. Una delle richieste era la fine del sistema settario e la formazione di uno Stato laico, ma tale prospettiva non trova il favore di Rai, ben consapevole delle conseguenze che allo stato attuale un simile cambiamento potrebbe avere per la componente maronita. La divisione dei poteri, come detto, si basa sugli Accordi di Taif siglati nel 1989 sulla base di un censimento del 1932 che già all’epoca non rispecchiava i reali equilibri demografici del Paese e che assegnava ai cristiani il 51% della popolazione. Attualmente, pur senza nuovi censimenti, è indubbio che la maggioranza del Libano sia di fede musulmana, un dato che Hezbollah potrebbe sfruttare a suo favore.

Nel cercare di preservare il potere dei maroniti e di mettere fine allo stallo politico, Rai si sta ponendo come mediatore tra le parti in campo, dialogando spesso privatamente sia con Aoun che con Hariri. Il suo modello di riferimento è Elias Hoyek, il patriarca maronita che convinse la Francia a creare il “Grande Libano” a maggioranza cristiana quale entità separata dalla Siria e che ebbe un ruolo determinante nella futura indipendenza del Paese dei cedri.

“Il Grande Libano non ha fallito”, ha dichiarato Rai in un’intervista al canale Alhurra. “Ma i politici sì”. Per il patriarca la classe politica attuale deve cambiare perché il Paese possa riprendersi, ma una riforma radicale dello Stato non è nei progetti di Rai.

Futura D’Aprile. (Inside Over)

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