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Il Nuovo Medio Oriente e la questione palestinese

(Roma, 09 marzo 2021). Secondo la generalità degli osservatori, i cosiddetti accordi di Abramo segnerebbero il definitivo  successo dell’asse israeliano-sunnita, magari in vista di futuri conflitti ; insieme alla cancellazione dall’orizzonte politico della stessa questione palestinese. Ora (a parte il fatto che questo non è un accordo tra religioni ; mancano i cristiani e gli sciiti e Ur sta in Iraq),  l’accordo stesso segna semplicemente la scomparsa formale di uno scenario che da anni non aveva nessun rapporto con la realtà, salvo a essere riesumato di volta in volta per acquietare le nostre, false, coscienze. Mentre, come vedremo tra poco, può aprire la porta a nuove e positive prospettive.

E’ da decenni che recitiamo gli stessi mantra : che la soluzione della questione palestinese sia la chiave per stabilire un rapporto positivo tra occidente e mondo arabo;  che questa soluzione si debba basare sullo schema “due popoli due stati” oltre che sullo scambio pace/territori lungo un confine da definire a partire da quello del 1967; e, infine, che il raggiungimento dei relativi accordi debba essere affidato alle due parti in conflitto.

Ad oggi, nessuno di questi tre scenari si è materializzato. Anche se tutti e in particolare abu Mazen’, hanno fatto finta di non accorgersene. Oggi, la cosa è ufficiale. Perchè Abramo li cancella, peggio gli omette tutti e tre; e senza contenere, a differenza di quanto previsto nel piano Kushner, nessun indennizzo o premio di consolazione per coloro che ci facevano affidamento.

Uno schiaffo. Che però non ha suscitato alcuna reazione. Per molto meno Sadat era stato messo al bando e poi giustiziato. Oggi, nessuna fatwa; e un livello di protesta molto al di sotto del minimo sindacale. L’Autorità palestinese, nel mentre tornava a ristabilire i contatti e la collaborazione in termini di sicurezza con Israele, ha abbozzato una protesta nei confronti degli Emirati; salvo a fare marcia indietro alla prima bacchettata sulle dita.

Si dirà, cinicamente, che l’Anp non conta più nulla e che il suo governo è totalmente discreditato. Rimane però il fatto, questo sì straordinario, che le famose e temibili “masse arabe”non abbiano minimamente reagito. Né in piazza né altrove. Niente propositi di vendetta e pochissime bandiere bruciate.

Un silenzio/assenso ? Magari questo no. Ma sicuramente un silenzio ragionato e direi “revisionista”, in vista di nuovi appuntamenti e in attesa di nuove prospettive.

E non mancano i segnali di mutamento. Deboli e flebili si dirà; ma anche sostanzialmente univoci.

Il primo in ordine di tempo è la generale rappresentazione di Abramo nei suoi contenuti di “costruzione di ponti” e non di “macchina da guerra”; rappresentazione, peraltro, condivisa dalla gente.

Gli accordi di pace con l’Egitto e, poi con la Giordania avevano avuto un impatto politico/strategico notevole; ma non avevano migliorato granchè i rapporti tra i due popoli e la loro conoscenza reciproca.

Diverso, se non opposto, l’impatto di (si fa per dire) Abramo. Nessuna “fine di un conflitto”; gli Emirati non hanno mai combattuto contro l’”entità sionista”. Ma un riflesso economico/tecnologico di vitale importanza. Da una parte un’infinità di soldi da spendere per poter prosperare anche dopo la fine della manna petrolifera; dall’altra tutte le risorse disponibili per il raggiungimento di questo obbiettivo.

E poi c’è la gente.

Eccoli i turisti israeliani, giunti a frotte in un grandissimo paese dei balocchi, dei palazzi delle fate e , diciamolo,i di ogni tipo di, piacere se non di peccato, ivi compreso lo shopping.. Ed ecco, dall’altra parte,  i riccastri arabi che visitano Israele e vedono gente che parla la loro stessa lingua e i loro luoghi santi. Sentendosi, accade anche questo, paladini del riconoscimento e del dialogo tra i due popoli al punto di comprare la società calcistica, luogo del razzismo più estremo per farne un ponte in questa direzione (offerta beninteso accettata).

Dalla causa palestinese, al problema palestinese. Fino al problema del popolo palestinese, già impostato all’interno di Israele, ancora al carissimo amico ma passaggio inevitabile anche nei territori occupati.

Qui Abramo non è stato vissuto come un trauma e tanto meno come una catastrofe. E non è stato un trauma perché non ha spezzato nessun sogno; e non ha rivelato nulla che non fosse già noto.; a partire dal fatto che l’Anp, al Fatah e la stessa Olp sono simboli vuoti senza potere e senza legittimazione popolare.

A questo stadio il popolo palestinese, che viva a Gaza oppure in Cisgiordania (per non parlare degli arabi di Gerusalemme) non ha né la voglia né la capacità di proporre nuove formule politiche in sostituzione delle vecchie; ma nemmeno di aggrapparsi a queste ultime. Cerca semplicemente, in modo individuale e collettivo (in questo non dissimile dagli arabi di Israele) maggiore rispetto, minori controlli, maggiore libertà di movimento, maggiori risorse; in sintesi maggiori diritti individuali perché collettivi e viceversa; a prescindere dal quadro politico-istituzionale in cui è chiamato a vivere.

Come ci ricordava però Pietro Nenni, l’evoluzione positiva del quadro interno ha bisogno di un quadro internazionale meno conflittuale e quindi meno ostile . E questo vale, in particolare, per il Medio Oriente.

Sulla sua situazione complessiva si avrà modo di tornare in una prossima nota. Salvo a sottolineare qui qualche segnale che lascia ben sperare. A prescindere dal risultato delle prossime elezioni israeliane e dalla frattura in atto nel campo della destra.

Già abbiamo ricordato qualche mese fa il “non coinvolgimento “ di Israele nelle feroci polemiche legate alla tragedia  del porto di Beirut, assieme all’apertura di un negoziato con il Libano sulla questione delle frontiere.

(Alberto Benzoni)

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