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Iran: le aperture di Biden dividono falchi e colombe a Teheran

Ali Khamenei, Guida suprema della Repubblica islamica: « Prima levate le sanzioni, poi fermeremo il programma nucleare ». Il ministro degli Esteri Zarif: « Gli Usa facciano presto, se non vogliono un duro alla presidenza ».

Il cambio di amministrazione a Washington, con l’arrivo di Joe Biden, ha sconvolto profondamente altri equilibri, a Kabul come a Teheran. Sull’Afghanistan le prospettive della nuova Casa Bianca sono ancora poco chiare, con il presidente tentato dall’idea del ritiro mentre gli alleati e i generali sono convinti della necessità di conservare ancora una presenza significativa, e dunque si può ipotizzare correzioni di rotta forti ma graduali. Sulla politica iraniana invece si può parlare di inversione di rotta: Biden vuole tornare all’accordo Jcpoa denunciato in modo brusco e unilaterale da Donald Trump, e ha già fatto filtrare indiscrezioni robuste in questo senso.

Gli effetti si vedono da subito: i “falchi” della Repubblica islamica, che le scelte di Trump avevano di fatto favorito, sono costretti a rincorrere. Lo si capisce dal tweet registrato stamattina sull’account dell’ayatollah Ali Khamenei: la Guida suprema mette le mani avanti, annunciando che ogni rallentamento sul programma nucleare sarà subordinato alla cancellazione delle sanzioni contro l’Iran. Khamenei accusa le controparti nell’accordo Jcpoa di inadempienza, senza preoccuparsi di fare una distinzione netta fra Stati Uniti e Paesi europei. In altre parole, è un refrain nazionalista: noi contro tutti, la Repubblica islamica contro l’Occidente. Una visione che nei fatti costituisce garanzia di sopravvivenza interna per il regime, anche quando le difficoltà dell’economia si fanno sentire.

Dall’altro lato, sono altrettanto significativi i segnali che arrivano dalle “colombe”. I moderati della Repubblica islamica, a partire dal presidente Hassan Rohani per finire con il pragmatico ministro degli Esteri Javad Zarif, non possono che vedere un’opportunità nelle aperture di Washington. Se la politica trumpiana del muro contro muro li aveva messi in un angolo, l’approccio di Biden può riportarli al centro del gioco nella politica interna iraniana. Zarif ha subito segnalato che il tempo passa veloce: se gli Usa non fanno passi concreti per tornare all’accordo, alleggerendo le sanzioni entro il capodanno persiano, il 21 febbraio, l’Iran dovrà mettere in pratica decisioni già votate in Parlamento, accelerando quindi l’arricchimento dell’uranio e in genere adottando posizioni più dure.

In più, la Repubblica islamica tornerà al voto il prossimo giugno, per eleggere un nuovo presidente. Va da sé, fa capire Zarif in un’intervista alla Reuters, che l’arrivo di un fondamentalista nella poltrona di Rohani avrebbe l’effetto di allontanare ancora ogni prospettiva di distensione. Come è ovvio, più ancora che le deadline conta la volontà politica. Per ora la Casa Bianca sembra intenzionata a ridimensionare ma non cancellare le sanzioni, mantenendo in piedi il blocco al commercio del petrolio ma alleggerendo i limiti agli aiuti umanitari e magari sostenendo la necessità di un intervento del Fmi a sostegno dell’Iran. Un mezzo passo avanti, che con tutta probabilità non basterà ai moderati iraniani per vincere le resistenze dei “duri”. Ma Washington ha anche tolto il suo appoggio alla coalizione sunnita che combatte nello Yemen contro i ribelli filo-iraniani Houthi: anche questo è un gesto di distensione verso Teheran. E come le deadline possono essere superate, così le concessioni possono essere ampliate, se lo scopo è quello di far calare la tensione e se la volontà di pace prevale.

Giampaolo Cadalanu. (La Repubblica)

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