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Yemen: la strategia distruttiva della Fratellanza musulmana

(Roma 17 gennaio 2021). Recenti attacchi contro alcune postazioni della coalizione militare di Stati guidati dall’Arabia Saudita nel governatorato yemenita di Shabwah farebbero parte di un più ampio tentativo, volto a fermare l’implementazione degli accordi di Riad da parte della Fratellanza musulmana, secondo quanto riferito da fonti politiche rimaste anonime a The Arab Weekly.

In particolare, alcune postazioni della coalizione a guida saudita, come quelle nella località di Al-Alam, sarebbero state colpite con colpi di mortaio in seguito ad una “campagna di incitamento” condotta dalla Fratellanza musulmana che ha anche visto la mobilitazione di combattenti armati. Parallelamente agli attacchi contro Al-Aram, episodi analoghi sarebbero avvenuti anche contro gli accampamenti della coalizione a Balhaf e ad Abyan.

Tali violenze si sarebbero verificate in concomitanza alla pubblicazione di una campagna mediatica contro le forze della coalizione, a cui ha partecipato anche il politico yemenita legato alla Fratellanza musulmana, Muhammad bin Adiu. Quest’ultimo è stato uno tra i governatori legati a tale fazione politica che hanno perso il proprio incarico in seguito all’implementazione degli Accordi di Riad, che ha previsto la loro rimozione dai governatorati di Shabwa, Abyan e Hadramout.

Gli accordi di Riad, risalenti al 5 novembre 2019, sono stati conclusi dal governo legittimo del presidente Rabbo Mansour Hadi e dai gruppi separatisti del Sud, rappresentati dal Consiglio di Transizione Meridionale (STC), grazie alla mediazione dall’Arabia Saudita, per porre fine ai combattimenti tra i firmatari che avevano interessato lo Yemen meridionale dal precedente 7 agosto 2019. Oltre alla fine delle ostilità, con l’intesa di Riad era stata stabilita la formazione di un nuovo governo yemenita avente come presidente Hadi, avvenuta lo scorso 18 dicembre, con la nomina di un esecutivo che appresenta le aree a Sud e a Nord del Paese in modo equo, con lo stesso numero di membri per ogni regione, inclusi cinque rappresentanti dello STC. Oltre all’aspetto politico, gli accordi di Riad prevedono anche una parte militare e di sicurezza, in base alla quale le regioni a Sud dovrebbero mettere le proprie forze armate a servizio del nuovo governo, guidato da Hadi. In ottemperanza a tali impegni, le Brigate dei Giganti, fedeli ad Hadi, avrebbero già preso in consegna postazioni nel Sud dello Yemen, in ex-aree di combattimento. In base alle rivelazioni ottenute da The Arab Weekly, sarebbe proprio quest’ultima parte dell’accordo ad essere messa a rischio dai recenti movimenti della Fratellanza Musulmana.

In particolare, oltre agli attacchi contro la coalizione e alla campagna mediatica, gruppi legati alla Fratellanza musulmana e al blocco appoggiato dal Qatar starebbero organizzando incontri armati nella regione di Qarn Al-Kallasi, nei pressi di Shaqra, per sfidare le forze della coalizione e chiedere il loro abbandono del territorio yemenita. In base ad altre rivelazioni ottenute da The Arab Weekly, forze affiliate alla fratellanza musulmana e finanziate dal Qatar starebbero conducendo attività militari sospette a Nord di Aden, attuale sede delle istituzioni yemenite, mobilitando uomini. La Fratellanza musulmana starebbe cercando di formare la cosiddetta milizia Tor Al Bahah Axis, formata da nove brigate militari e che in passato si è scontrata con le forze dello STC. Secondo alcuni osservatori, l’aumento delle attività militari sia a Shabwa, sia a Tor Al Bahah sarebbe collegato alle attività militari dei ribelli sciiti Houthi avvenute dopo la formazione del nuovo esecutivo. Parallelamente, fonti di sicurezza hanno poi rivelato che anche cellule terroristiche starebbero conducendo attività volte a destabilizzare la sicurezza pubblica, ostruire le attività del governo e a provare che Aden non è una città sicura.

La disputa tra il presidente yemenita, sostenuto dall’Arabia Saudita, e lo STC, appoggiato dagli Emirati Arabi Uniti, che nel contesto più generale della guerra in Yemen fanno entrambi parte del fronte anti-Houthi, è stata considerata uno tra i fattori che avevano frenato gli sforzi delle Nazioni Unite per negoziare un cessate il fuoco a livello nazionale e la loro riconciliazione è stata accolta con favore da più attori internazionali.

In Yemen, è in corso una guerra civile, descritta dall’Onu come la peggior crisi umanitaria al mondo, da quando i ribelli sciiti Houthi hanno iniziato a combattere per il controllo sulle regioni meridionali del Paese. Il 21 settembre 2014, sostenuti dal precedente regime del defunto presidente Ali Abdullah Saleh, gli Houthi avevano effettuato un colpo di Stato che aveva consentito loro di prendere il controllo delle istituzioni statali nella capitale Sana’a. Il presidente legittimo Hadi era stato inizialmente messo ai domiciliari presso la propria abitazione nella capitale e, dopo settimane, era riuscito a fuggire, recandosi dapprima ad Aden, attuale sede provvisoria del governo, e poi in Arabia Saudita, dove risiede tutt’ora. Hadi è sostenuto da una coalizione di Stati guidata dall’Arabia Saudita, intervenuta nel conflitto in Yemen il 26 marzo 2015, ed è stato riconosciuto anche dalla comunità internazionale come legittimo leader del Paese. La coalizione a suo sostegno comprende l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti, il Sudan, il Bahrain, il Kuwait, il Qatar, l’Egitto, il Marocco, la Giordania e il Senegal. I ribelli sciiti Houthi sono sostenuti, invece, dall’Iran e dalle milizie libanesi filo-iraniane di Hezbollah.

Questi ultimi, dallo scorso 10 gennaio, sono stati classificati dagli USA come “organizzazione terroristica estera” e come “Specially Designated Global Terrorist”. Alla luce di ciò, sempre secondo le fonti di The Arab Weekly, l’asse turco-qatariota in Yemen avrebbe subito un momento di confusione, in quanto alcuni suoi membri avrebbero dichiarato di non vedere negli Houthi un nemico reale.

Camilla Canestri. (Sicurezza Internazionale)

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