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Libano : le proteste dopo due mesi di lockdown si fanno più violente, scontri a Tripoli, prese d’assalto le banche

Dopo due mesi di tregua a causa del lockdown da Coronavirus, sono riprese le proteste anti-governative, iniziate a ottobre del 2019. Ma sono ripartite con maggiore veemenza e violenza di prima, presentando al mondo un esempio di come l’epidemia possa esacerbare tensioni sociali esistenti. I manifestanti hanno preso di mira le banche dopo che il valore della lira libanese è crollato del 50% negli ultimi sei mesi. A rendere la situazione ancora più esplosiva è stata l’azione repressiva dell’esercito, che ha portato al ferimento di decine di manifestanti e anche all’uccisione di un giovane di 26 anni, sulla cui morte il governo ha espresso rammarico e ha detto di aver avviato un’indagine.
Le tensioni mostrano come l’insediamento a gennaio del premier Diab (sostenuto anche dagli sciiti di Hezbollah) al posto del dimissionario Hariri non abbia di fatto portato a miglioramenti: il Paese vive una drammatica crisi economica – la più grave post guerra civile (1976-1990) – che ha causato a partire dallo scorso 17 ottobre proteste e occupazioni di piazze. I manifestanti – superando divisioni settarie, sociali e religiose – chiedono essenzialmente tre cose: la rimozione dell’intera classe politica corrotta e clientelare; un governo tecnico che risani le finanze e che prepari il terreno per le elezioni. Durante il lockdown, la lira libanese ha continuato a perdere valore facendo balzare in alto i prezzi dei beni e dei generi alimentari e portando molte famiglie alla fame. Non a caso tra le città che hanno visto maggiori scontri c’è Tripoli, la seconda più popolosa e povera del Paese. La crisi naturalmente non sta colpendo tutti in egual misura. Lo scorso fine settimana il premier Hassan Diab ha annunciato che a gennaio e febbraio 2020, circa 5,7 miliardi sono stati trasferiti dalle banche, formalmente a corto di liquidità: una prova che le élite del Paese riescono ad aggirare i controlli. Inoltre, gli aiuti predisposti dal governo stentano ad arrivare, andando a colpire la fascia di popolazione più a rischio. Secondo l’International Rescue Committee, l’87% dei profughi nel Paese è a corto di cibo. (TV/Agenzie)

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