(Roma-08 giugno 2020). Decine di cittadini siriani sono scesi per le strade della provincia di Suweida, nel Sud-Ovest della Siria, per protestare contro il peggioramento delle condizioni economiche e la corruzione del regime.
Le manifestazioni hanno avuto luogo il 7 giugno, giornata in cui è stato registrato un nuovo minimo storico per la valuta locale, la lira siriana, rispetto al dollaro statunitense, toccando il valore di 2500 lire. Si è trattato del primo fenomeno di mobilitazione nella provincia a maggioranza drusa, dove la popolazione si è ribellata al regime guidato dal presidente Bashar al-Assad. «Vai via ora Bashar» e «La gente vuole la caduta del regime» sono stati gli slogan principali, sebbene durante guerra civile la popolazione di tale area si fosse mostrata fedele al governo di Assad. Episodi simili si sono verificati anche presso Tafas e Daraa, un’area nota per essere stata la culla della rivoluzione in Siria.
Secondo la popolazione scesa in piazza, è il regime ad essere il responsabile della situazione attuale e del deterioramento dell’economia del Paese, caratterizzata da un aumento dei prezzi dei beni di prima necessità e delle materie prime. Oltre alla svalutazione della moneta locale, l’economia di Damasco dovrà presto far fronte all’attuazione del cosiddetto Caesar Act. Quest’ultima è una legislazione elaborata da Washington, che sanziona il regime siriano, incluso il presidente Assad, per i crimini di guerra commessi contro la popolazione siriana. Il disegno di legge non è stato ancora approvato, ma alcune clausole sono state incluse nel National Defense Authorization Act per l’anno fiscale 2020. Tale legge colpisce industrie siriane, dal settore militare alle infrastrutture e all’energia, così come privati ed entità iraniane e russe che forniscono finanziamenti o altro tipo di assistenza al presidente siriano.
Parallelamente, il regime è altresì colpito dall’Unione Europea, le cui sanzioni interessano perlopiù il commercio ed il trasporto, impedendo l’arrivo di aiuti umanitari essenziali. Non da ultimo, i medicinali scarseggiano e molte farmacie sono state costrette a chiudere, vista altresì la diminuzione del potere d’acquisto. Già nella giornata del 6 giugno, sono stati diversi i negozi e rivenditori di diverso tipo costretti a chiudere non solo a Suweida e Daraa, ma anche a Damsco e Homs. Nella Siria Nord-occidentale, poi, presso Idlib, la popolazione ha lamentato un aumento dei prezzi dei beni di prima necessità tra cui il pane, causato altresì dalla diminuzione delle quantità di carburante e le maggiori spese di forni e rivenditori. Come riferito dalla portavoce del World Food Programme, Jessica Lawson, se i prezzi dei prodotti alimentari importati continueranno ad aumentare, a causa della svalutazione della moneta locale, la popolazione siriana potrebbe assistere ad un aumento dei tassi di povertà, fame e insicurezza alimentare.
Già il 14 ed il 15 maggio, la popolazione di diverse aree del governatorato di Daraa era scesa per le strade in segno di protesta contro il continuo rafforzamento dell’esercito del regime nella regione, chiedendo l’espulsione sia delle forze di Assad sia di quelle filo-iraniane dalla Siria meridionale. A detta dei manifestanti e di alcuni attivisti, ciò che stava accadendo a Daraa rappresentava l’apice di due anni di tentativi da parte del regime e di Teheran di soggiogare la provincia, attraverso omicidi, sparizioni forzate e arresti di personalità civili e militari, che hanno consentito ad Assad e a Mosca di riprendere il controllo della Siria meridionale senza operazioni militari.
L’area di Daraa è nota per essere stata la culla della rivoluzione in Siria, che ha avuto inizio il 15 marzo 2011 ed è tuttora in corso. In particolare, è qui che alcuni giovani ribelli avevano scritto su un muro uno dei primi slogan anti-regime, tra cui «È il tuo turno, dottore», con riferimento al presidente siriano, Assad. Risale al mese di luglio 2017 l’accordo per il cessate il fuoco a Daraa, Quneitra e Suweida, in cui parteciparono anche Stati Uniti, Russia e Giordania. Combattenti e famiglie locali hanno poi evacuato l’area nel mese di luglio 2018, dopo settimane di violenti bombardamenti, seguiti da un accordo di resa con il regime siriano e la Russia.
Nel frattempo, il Paese continua a risentire delle conseguenze del perdurante conflitto, giunto nel suo decimo anno, e che vede contrapporsi i gruppi di opposizione, appoggiati dalla Turchia, ed il governo siriano, coadiuvato dalla Russia. Le ultime offensive si sono concentrate nell’ultima roccaforte posta ancora sotto il controllo dei ribelli, Idlib, e sono state parzialmente interrotte con un accordo raggiunto da Mosca e Ankara, il 5 marzo, volto a favorire il ritorno dei rifugiati e sfollati. Tuttavia, il patto è stato già sporadicamente violato e la popolazione teme che presto l’area sarà nuovamente testimone di intensi scontri e bombardamenti. (Piera Laurenza – sicurezzainternazionale).