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Mali : il potere senza limiti di Assimi Goïta e la sfida del triangolo sovranista del Sahel

(Roma, Parigi, 09 luglio 2025). In un gesto destinato a segnare un punto di non ritorno nella storia politica dell’Africa occidentale, il generale Assimi Goïta, leader della giunta militare al potere in Mali, si è visto conferire un mandato presidenziale quinquennale, rinnovabile «tante volte quanto necessario» e senza alcun obbligo di elezioni. Una decisione storica, approvata all’unanimità dal Consiglio Nazionale di Transizione (CNT), che sancisce ufficialmente l’ingresso del Mali in una nuova era: quella della governance sovranista, sganciata dai condizionamenti occidentali e dalle scadenze elettorali percepite come strumenti di ingerenza.

Dietro questo atto di rottura si cela una dinamica geopolitica complessa, che affonda le radici in decenni di instabilità alimentata da interventi esterni, promesse tradite e “esportazioni di democrazia” pilotate da Parigi, Bruxelles e Washington. Per Goïta e i suoi sostenitori, il tempo delle illusioni è finito. Dopo anni in cui il Mali è stato dilaniato dal terrorismo jihadista – spesso tollerato o addirittura alimentato dalle stesse potenze che si presentavano come garanti di sicurezza – emerge l’idea che solo un potere forte, stabile e duraturo possa restituire ordine e speranza al popolo maliano.

La frattura con l’Occidente

L’annuncio ha scatenato la consueta levata di scudi da parte delle ONG occidentali e dei difensori dei diritti umani, sempre pronti a condannare ogni regime che sfugga al controllo delle grandi capitali. Ma a Bamako la percezione è radicalmente diversa. La riforma istituzionale nasce infatti dalle Assises Nationales de la Refondation, una vasta consultazione popolare organizzata all’indomani del collasso dello Stato maliano, ignorata dai media internazionali e derisa dalle cancellerie europee.

In parallelo, Goïta ha sciolto i partiti politici tradizionali, considerati per lo più strumenti di penetrazione degli interessi stranieri. Il Mali segue così la strada tracciata dai Governi “fratelli” del Burkina Faso e del Niger all’interno dell’Alleanza degli Stati del Sahel (AES): una comunità di intenti che rifiuta i modelli democratici di facciata e punta a costruire un asse di resistenza panafricana.

La Russia al posto della Francia

Sul piano militare, il cambio di paradigma è altrettanto netto. Alla storica tutela francese, giudicata inefficace e arrogante, si è sostituita una cooperazione strategica con Mosca. Attraverso il dispiegamento delle truppe dell’Africa Corps – l’evoluzione delle operazioni Wagner nel continente – il Mali ha intensificato la lotta contro i gruppi jihadisti. Se l’Occidente denuncia violazioni dei diritti umani e massacri indiscriminati, a Bamako queste accuse vengono lette come una campagna di delegittimazione orchestrata da chi non ha mai voluto realmente sconfiggere il terrorismo.

Per il Governo maliano, le operazioni congiunte con la Russia rappresentano una risposta necessaria a un decennio di caos e sangue. In questa narrazione, Goïta si presenta come il restauratore dell’ordine, pronto a usare ogni mezzo per garantire la sicurezza in un Paese devastato da oltre un decennio di conflitti.

Il Mali non è solo in questa avventura. Abdourahamane Tiani in Niger e Ibrahim Traoré in Burkina Faso rappresentano oggi le altre due punte di un triangolo sahariano che sogna di liberarsi dal peso coloniale e di affermare un modello di sovranità africana. Le élite occidentali li definiscono “putschisti” e “autocrati”. Ma per una parte crescente delle popolazioni locali, sono figure di riscatto, simboli di un’Africa che non vuole più subire la rapina delle proprie risorse e l’umiliazione delle ingerenze straniere.

Questa nuova generazione di leader sahariani ha ben chiaro che le democrazie importate non hanno prodotto stabilità, ma solo governi deboli e corrotti, pronti a svendere il territorio nazionale per ricevere in cambio prebende e pacche sulle spalle.

Un Sahel insubordinato e in piedi

La decisione di Assimi Goïta segna un punto di rottura che potrebbe avere ripercussioni ben oltre i confini del Mali. È il segnale di un Sahel che, pur tra mille contraddizioni e fragilità, vuole rialzarsi. Un Sahel che guarda a Mosca, a Pechino e ad altre potenze emergenti per costruire nuove alleanze, ritenendo ormai esaurito il rapporto di subordinazione con l’Occidente.

Riuscirà questo esperimento a generare stabilità? O si tradurrà in una nuova forma di autoritarismo, utile solo a consolidare élite militari? La risposta non è ancora scritta. Ma una cosa è certa: la voce di Assimi Goïta si unisce oggi a quella di Tiani e Traoré, componendo un coro che, dal deserto del Sahara, grida all’Africa e al mondo: “Siamo qui, insubordinati, radicati, in piedi.”

Di Giuseppe Gagliano. (Inside Over)

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