Tensione sempre più forte nel nord di Israele

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(Roma, 13 giugno 2024). Il fronte nord sembra adesso quello più critico. Da diversi i giorni i colpi di artiglieria, sia dal versante israeliano del confine che da quello libanese, si sono fatti più intensi e stanno coinvolgendo sempre più località. Anche nelle ultime ore, l’Idf da una parte ed Hezbollah dall’altra hanno intensificato la propria attività e hanno aumentato le proprie azioni a ridosso delle linee di frontiera.

E adesso, all’orizzonte, appaiono due scenari: o un’escalation vera e propria, e dunque una guerra aperta tra le due forze nella regione storica della Galilea, oppure una prosecuzione sine die delle reciproche provocazioni senza però un conflitto diretto tra le parti.

La guerra degli incendi

Nelle ultime settimane, il confronto tra le forze israeliane e i miliziani di Hezbollah, è stato combattuto anche a suon di incendi. Le campagne delle regioni settentrionali di Israele si presentano già con il più tipico degli aspetti estivi. Le temperature sono alte da giorni, le piogge sono sempre meno frequenti e dunque i terreni appaiono secchi. Condizioni ideali questi per lo sviluppo di fiamme difficilmente controllabili.

Tra il 2 e il 3 giugno scorsi, una salva di razzi lanciati dal sud del Libano ha colpito zone rurali del distretto settentrionali, l’unità amministrativa dello Stato ebraico che traccia il confine con il Paese dei cedri. In un primo momento, sembrava trattarsi di una mera dimostrazione di forza di Hezbollah, volta a far vedere alla controparte israeliana l’ampia disponibilità di ordigni da usare contro il campo nemico.

Tuttavia, poche ore dopo il lancio di missili, così come anche di droni, le autorità di Tel Aviv hanno constatato che quella dei miliziani libanesi altro non era che una mirata strategia per causare il più alto numero possibile di incendi. In terreni secchi e aridi, l’esplosione di un ordigno può dare origine a roghi in grado di svilupparsi in vasti ettari di terreno.

Nel giro di poche ore, i vigili del fuoco israeliani hanno dovuto affrontare una situazione molto delicata. Le fiamme hanno lambito località quali Kiryat Shmona e diversi kibbutz vicini il confine libanese. Molti civili sono stati evacuati e per giorni le forze di soccorso sono rimaste in allerta per possibili nuovi incendi nella regione.

Le fiamme non hanno avuto come scopo unicamente quello di tenere sotto scacco l’Idf e la popolazione. Così come segnalato da diversi ufficiali israeliani ai media locali, gli incendi hanno distrutto magazzini e attrezzature e hanno cambiato il volto a diversi chilometri quadrati di campagna. Un elemento quest’ultimo che ha allarmato e non poco l’esercito israeliano: in caso di guerra aperta infatti, agire su un territorio significativamente modificato rappresenta un grave problema. Vuol dire rischiare di operare senza avere più precedenti punti di riferimento e di perdere il vantaggio dettato dalla propria precisa conoscenza del territorio.

L’uccisione di Abu Talib

La strategia degli incendi è stata portata avanti peraltro nei giorni immediatamente successivi ad altri attacchi. Entrambe le parti si sono accusate a vicenda di aver dato avvio alla nuova tornata di provocazioni, ma questa volta sia l’Idf che Hezbollah sembrano aver alzato il tiro. I miliziani libanesi ad esempio, hanno attuato raid che, tra le altre cose, hanno preso di mira e hanno recato danni a diverse basi dell’Idf e a molte batterie di Iron Dome.

A quel punto, le forze israeliane hanno deciso di rispondere duramente. Nella tarda serata di martedì 11 giugno, un raid dell’aviazione dello Stato ebraico ha colpito uno dei più importanti quartier generali di Hezbollah nel sud del Libano. Nell’attacco sono stati uccisi diversi esponenti del movimento sciita e, tra questi, a spiccare è senza dubbio il nome di Abu Talib.

Si tratta di uno dei principali comandanti operativi di Hezbollah, così come confermato dagli stessi miliziani in un comunicato. Nella nota, in particolare, si legge la conferma della scomparsa di Abu Talib, giudicato come martire, e viene sottolineata l’importanza della sua perdita. Secondo i media israeliani, il comandante ucciso rappresenta la vittima più importante di Hezbollah dall’inizio delle tensioni.

Cosa accadrà adesso ?

Molti analisti israeliani si sono spinti oltre: l’uccisione di Abu Talib potrebbe impedire a Hezbollah, nel breve e medio periodo, la pianificazione di una guerra su larga scala nel nord di Israele. Dunque, il raid mirato di martedì potrebbe aver significato la fine di ogni possibile progetto di escalation.

Questo però non scongiurerebbe del tutto l’ipotesi di un conflitto. Hezbollah ha infatti a sua volta risposto duramente all’attacco contro Abu Talib, lanciando centinaia di razzi contro Israele sia nel pomeriggio di mercoledì che nella mattinata di giovedì. In particolare, proprio in questo giovedì la milizia libanese ha rivendicato il lancio in simultanea di 150 razzi e 30 droni. A riferirlo è stato una fonte del gruppo ad Al Jazeera e, se i numeri fossero veri, si tratterebbe del più importante attacco contro il territorio israeliano dal 7 ottobre scorso.

La tensione è quindi lampante. L’impressione è che entrambe le parti si studiano a vicenda già da mesi, da quando cioè sono iniziati gli scambi di colpi tra i due lati del confine. Sia l’Idf che Hezbollah vogliono dimostrare di essere in grado di colpire e di far male all’avversario. Un modo per scoraggiare un intervento aperto, ma anche un drammatico modo di rendere più prossimo lo spettro di una guerra su vasta scala.

Di Mauro Indelicato. (Inside Over)