(Roma, Parigi, 23.01.2023). Non solo manifestanti ma anche giornalisti. La Repubblica islamica continua ad arrestare reporter che hanno scritto sulle dimostrazioni anti governative esplose in Iran più di quattro mesi fa. Tra sabato e domenica, tre giornaliste sono state imprigionate. Una di loro, Melika Hashemi, dell’agenzia Shahr, è stata detenuta non appena arrivata al tribunale del famigerato carcere Evin di Teheran, conosciuto come la prigione dei dissidenti politici, dove era stata convocata per «alcune spiegazioni». A finire in carcere ad Evin anche la giornalista Saideh Shafiei, mentre la reporter Mehrnoush Zarei Hanzaki è stata portata in prigione dopo essere stata prelevata direttamente nella propria abitazione, come già era successo ad altri giornalisti arrestati da quando in settembre sono esplose in varie città iraniane grandi manifestazioni anti governative dopo la morte di Mahsa Amini, la 22enne di origine curda che ha perso la vita dopo essere stata messa in custodia dalla polizia morale perché non portava il velo in modo corretto.
Secondo il quotidiano riformista Etemad, sono in tutto almeno 79 i giornalisti iraniani finiti in carcere da allora. Molti di loro sono stati rilasciati successivamente su cauzione ma 33 si trovano ancora dietro le sbarre e già in ottobre oltre 300 reporter iraniani avevano firmato una lettera aperta che criticava il governo per avere «arrestato i (loro) colleghi e averli privati dei loro diritti», compreso l’accesso ai legali. Le autorità della Repubblica islamica hanno iniziato ad arrestare i giornalisti a pochi giorni dall’inizio delle manifestazioni anti governative dove decine di migliaia di dimostranti sono stati incarcerati. Sono oltre 19.500 le persone messe in custodia durante le proteste secondo i dati dell’agenzia degli attivisti iraniani dei diritti umani Hrana, che denuncia anche la morte di 525 persone durante violenti scontri con le forze dell’ordine. Tra i dimostranti incarcerati, molti hanno ricevuto dure pene detentive ma anche la condanna all’impiccagione che è già stata eseguita per quattro di loro, mentre oggi la Corte Suprema dell’Iran ha accolto il ricorso contro la pena di morte a cui era stato condannato Mohammad Ghobadlou, 22enne accusato di avere partecipato all’uccisione di un agente di polizia durante le proteste. Il giovane, affetto da disturbi bipolari dall’adolescenza, secondo Amnesty International, è stato torturato in carcere e la confessione che ha portato alla sua condanna è stata estorta. La Corte Suprema ha accolto anche il ricorso di un altro condannato a morte, il 19enne Mohammad Boroughan, che doveva essere impiccato insieme a Ghobadlou per essere stato ritenuto colpevole di avere aggredito e ferito un agente di polizia e di aver incendiato l’ufficio del governatore a Pakdasht, vicino a Teheran. La severa reazione della Repubblica islamica alle manifestazioni è stata regolarmente criticata dal mondo occidentale in questi mesi scatenando l’ira degli ayatollah che si sono scagliati contro Europa e Usa accusandoli di interferire negli affari interni dell’Iran. Teheran ha duramente contestato l’emendamento recentemente approvato dal Parlamento europeo che chiede l’inserimento delle Guardie della Rivoluzione nella lista delle organizzazioni ritenute terroriste dall’Unione europea a causa della repressione delle proteste e oggi il vice presidente della Commissione parlamentare per gli Affari Interni Mohammad Hassan Asfari ha fatto sapere che l’Iran sta valutando «in modo urgente» di chiudere lo stretto di Hormuz alle navi commerciali europee come ritorsione per la decisione approvata da Strasburgo sui pasdaran.