La tragica fine dei soldati migliori di Putin in Ucraina

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(Roma, 16.01.2023). La 200ª Separate Motor Rifle Brigade dell’esercito russo, di norma assegnata alla ben nota rete di basi che compongono la penisola fortezza di Kola, è stata decimata nel corso del conflitto ucraino. A riportarlo è stato un inviato del Washington Post che dopo aver avuto accesso ad alcune informazioni dell’intelligence ucraino, ha dedicato ai fatti un lungo articolo di approfondimento.

Ma per quale ragione il Cremlino ha inviato in prima linea i suoi “uomini migliori”, assegnati alla difesa delle basi che custodiscono i famigerati sottomarini nucleari che terrorizzano la NATO insieme ai missili intercontinentali stipati nei bunker, per poi lasciarli a farsi decimare nella regione di Kharkhiv? Potrebbe essersi trattato di un semplice errore strategico. Oppure, come sostengono diversi analisti inclini alla narrazione di una Russia già sconfitta, seppur non ancora scesa a patti, potrebbe essere una mossa avventata che dovrebbe davvero indurci a credere come ci si trovi a un passo dall’epilogo di quello che doveva essere un colpo di mano e invece potrebbe finire col rivelarsi una grande operazione speciale fallita su ogni fronte.

Gli “alfieri” di Putin dalle basi nucleari alla prima linea

Considerata élite dell’élite, la 200ª Separate Motor Rifle Brigade è sempre rimasta a presidio dell’arsenale artico di Mosca che ha intimorito l’Europa per tutta la durata della Guerra fredda. Inviata con la prima ondata di assaltatori che nell’operazione lanciata il 24 febbraio scorso portò alla conquista di Kharkhiv, secondo le informazioni fornite da funzionari dell’intelligence occidentale in stretto contatto con gli omologhi di Kiev, a maggio era già stata messa a dura prova. Impegnata, poi, nel tentativo di riorganizzarsi con il suo comandante D. Yuryevich Kurilo (gravemente ferito) e avendo subito gravose perdite nell’organico tra morti, feriti, prigionieri, dispersi e renitenti.

Inviati all’alba dell’invasione in un settore particolarmente difeso della regione di Kharkhiv, i difensori d’élite della fortezza di Kola, equipaggiati con mezzi all’avanguardia come i carri armati T-80BVM, piattaforme lanciarazzi mobili e le versioni più recenti dei veicoli corazzati per il trasporto della fanteria meccanizzata, avevano subito pesanti perdite di uomini ed equipaggiamento fin dall’inizio. Ma si sarebbero “riorganizzati” prima dell’estate e della controffensiva ucraina che avrebbe segnato la totale perdita del rango d’élite di quella 200ª brigata, rinfoltita da coscritti poco addestrati che esibivano armi ed equipaggiamenti non più all’avanguardia.

Secondo quanto riportato dalle fonti, che comprendono anche personale russo rimasto sotto anonimato (ma qui si tratta di concedere o meno la propria fiducia, ndr), la spiacevole sorte della 200ª Separate Motor Rifle Brigade di Pechenga rappresenterebbe su scala ridotta il fallimento della forza d’invasione inviata dal presidente russo Putin in Ucraina. Una formazione militare “sopravvalutata” che ha dovuto rinunciare ai suoi obiettivi sul campo per ritrovarsi decimata, “significativamente demoralizzata” e gradualmente rimpiazzata da “coscritti inesperti” e marinai smobilitati dalla Flotta del Nord – neanche stessimo leggendo le ultime pagine di Niente di nuovo sul fronte occidentale di Remarque; quando i rinforzi attinti tra le nuove leve, costringevano i veterani a combattere spalla a spalla con ragazzi sempre più giovani e impreparati. Tutto ciò quando dei 1.600 uomini all’attivo durante le prime battute delle operazioni, ne erano rimasti 892 divisi in due gruppi tattici, come si evince dai documenti russi fotografati alla fine di maggio ed evidentemente sottratti “sul campo”.

Il resoconto del Post riassume un attacco – potremmo anche definirlo poco cavalleresco – che ha in seguito inflitto un ulteriore e duro colpo alla Brigata, sferrato dalle formazioni ucraine schierate nel settore dove i superstiti della 200ª si erano attestati e trincerati. Dimostrando come la Brigata sia stata decimata e lasciata a se stessa nello sbando provocato dalla ritirata. Già a settembre dell’unità iniziale di “alfieri” di Putin era rimasto poco e niente. Questo almeno secondo i funzionari ucraini e le forze speciali dell’esercito di Kiev impegnati nella riconquista di Kharkiv, i quali avrebbero constatato come la 200ª abbia perso sul campo “circa il 70% del suo equipaggiamento, inclusi 32 carri armati e 100 veicoli” distrutti o catturati; oltre ad aver intercettato diverse comunicazioni che suggerivano l’epilogo di un’unità militare ridotta allo stremo tra mancanza di carburante, negligenza e frequenti casi di insubordinazione.

La sconfitta “particolare” come esempio generalizzato ?

La lunga analisi del triste destino della 200ª Separate Motor Rifle Brigade, costituita nel primo giorno di dicembre del lontano 1997, e insignita dell’Ordine di Kutuzov, è impietosa, non mostrando alcun tratto d’onore da parte dei giovani soldati che sarebbero rimasti addirittura “sorpresi” dall’idea di dover abbandonare le loro posizioni a Kola, dove proteggevano segmenti essenziali della triade nucleare che garantiscono la capacità di deterrenza a Mosca, per andare in guerra. Ma si concentra a tratteggiare il fallimento dei piani dello Zar, per dimostrare il “generale” attraverso il “particolare”, narrando la dissoluzione di una delle unità più “efficaci e performanti” di una forza armata sconfinata – almeno sulla carta e negli arsenali – che è stata decimata in appena sette mesi di combattimenti.

La necessità di sottolineare quelle che i funzionari d’intelligence occidentali riportano come “disfunzioni sistemiche” non fa altro che rinvigorire le tesi che vedono già da tempi non sospetti fondamentalmente errati i calcoli presentanti dagli strateghi del Cremlino all’ormai provato Vladimir Putin. Lo zar potrebbe aver seriamente “sopravvalutato” le capacità delle proprie forze armate – nel particolare come nel generale – al preludio di “un’operazione militare speciale” che doveva risolversi in appena “una settimana” con un’azione di decapitazione fulminea travestita da denazificazione, e invece sta per contare un anno dall’inizio delle ostilità. Al resto hanno pensato le intelligence occidentali che sembravano non veder l’ora di constatare e palesare l’inconsistenza dell’Orso russo; almeno quando è costretto a schierarsi “boots on the ground”.

Di Davide Bartoccini. (Inside Over)