Adela, una spia russa a Napoli infiltrata nel comando NATO

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(Roma,  26 agosto 2022). Una giovane donna sorridente in abito da sera, che alzava il calice al quartier generale della Nato a Napoli è la protagonista della più clamorosa operazione di intelligence realizzata da Mosca nel nostro Paese, come svela un’inchiesta condotta per dieci mesi da Repubblica, Bellingcat, Der Spiegel e The Insider

La cena di gala nel quartier generale della Nato di Napoli vedeva radunati ai tavoli tutti gli ufficiali più importanti, accompagnati da consorti e ospiti di riguardo. Prima di cominciare, il comandante ha chiesto il silenzio e ha scandito: “Brindiamo all’Alleanza Atlantica!”. Non poteva immaginare che ad alzare il calice insieme a lui ci fosse anche una spia dei servizi segreti russi, una giovane donna sorridente in abito da sera: la protagonista della più clamorosa operazione di intelligence realizzata da Mosca nel nostro Paese.

Un’inchiesta condotta per dieci mesi da Repubblica con il sito investigativo Bellingcat, il settimanale Der Spiegel e The Insider ha ricostruito la missione segreta condotta per quasi dieci anni da una donna misteriosa, con un’identità tanto complessa quanto falsa: Maria Adela Kuhfeldt Rivera, nata in Perù da padre tedesco. Una trentenne cosmopolita e spigliata che parla sei lingue e ha avviato un’azienda per produrre gioielli, poi si è inserita nei circoli mondani di Napoli e infine è riuscita a infiltrarsi tra il personale della base Nato e della VI Flotta statunitense: il vertice operativo del potere militare occidentale in Europa. Una moderna Mata Hari, che si è fatta notare per i modi seduttivi e ha lasciato una scia di cuori infranti prima di sparire nel nulla.

Le coperture dei killer

La traccia principale che la collega ai servizi segreti di Mosca è il passaporto russo usato per entrare in Italia: appartiene alla stessa serie speciale utilizzata dagli 007 del Gru, l’intelligence militare agli ordini del Cremlino, quelli che hanno tentato di avvelenare con il gas Novichok Sergey Skripal e il produttore di armi bulgaro Emilian Gebrev. Complessivamente, ha utilizzato tre passaporti russi – uno nazionale e due per espatrio – tutti con numeri simili a quelli usati per le coperture degli agenti di Mosca. Il 14 settembre 2018 Bellingcat e The Insider hanno smascherato la squadra di killer, pubblicando i loro documenti. E l’indomani Maria Adela è partita all’improvviso da Napoli con un volo per Mosca, senza più riapparire.

Il suo nome d’altronde era un’invenzione. Come si è era già scoperto dall’altro lato dell’Oceano. Nell’agosto 2005 un avvocato di Lima ha chiesto il riconoscimento della cittadinanza peruviana per Maria Adela Kuhfeldt Rivera, producendo un certificato di nascita siglato a Callao il 1° settembre 1978 e un attestato di battesimo della parrocchia di Cristo Liberador. Peccato che all’epoca quella chiesa non esistesse: fu costruita soltanto nove anni dopo. L’errore porta le autorità peruviane a respingere la domanda e aprire un’indagine penale. A Mosca non se ne preoccupano: forse pensano che nessuno andrà a controllare in Sud America e decidono di mandare avanti l’operazione. Nel 2006 viene emesso il passaporto russo, che la presenta come una tecnica dell’università statale con un indirizzo moscovita di residenza dove – come abbiamo verificato – nessuno la ricorda.

L’infiltrazione in Europa 

Molti degli agenti del Gru individuati nell’ultimo periodo hanno identità simili: come Sergey Vladimirovich Cherkasov, brasiliano di padre tedesco arrestato in Olanda lo scorso giugno, che per anni si era mosso indisturbato tra Irlanda e Stati Uniti. Anche Maria Adela inizia il suo percorso lentamente. Stando alle foto pubblicate sui social, tra il 2009 e il 2011 si sposta tra Roma e Malta. “L’ho conosciuta a Malta alla sua festa di compleanno nel 2010 – ricorda Marcelle D’Argy Smith, giornalista di lungo corso ed ex direttrice dell’edizione britannica di Cosmopolitan – . Diceva di frequentare un corso di gemmologia a Parigi ma che spesso veniva dal fidanzato nell’isola”. L’11 ottobre 2011 compie una lunga trasferta in treno da Parigi a Mosca attraverso la Bielorussia: il viaggio richiede due giorni e mezzo e lo ripeterà più volte negli anni successivi. Fino al 2012 infatti abita soprattutto nella capitale francese, dove registra una società di gioielleria con il marchio Serein.

Una cascata di gioielli

La fase di ambientazione è chiusa. Dall’inizio del 2013, Maria Adela comincia la metamorfosi. In Italia abita in un condominio di Ostia e risiede in una modesta palazzina rosa alla periferia di Valmontone: la carta d’identità rilasciata dal Comune laziale la qualifica come studentessa. Ma a febbraio 2013 registra una società, la Serein Srl, per confezionare gioielli. E nel giro di due anni cambia tutto. Anzitutto il business: la ditta apre un laboratorio nel centro orafo il Tarì, a Marcianise, ottenendo l’autorizzazione della Questura. Lei si trasferisce a Napoli, in una delle strade più affascinanti di Posillipo, via Manzoni; poi affitta una casa ancora più bella, in via Petrarca, con tanto di terrazza affacciata sulla meraviglia del Golfo.

Si impone nella vita cittadina, tra eventi e vernissage. Nel 2016 inaugura una “concept gallery” all’interno del prestigioso Palazzo Calabritto, all’angolo di piazza dei Martiri: “il nuovo ritrovo degli appassionati di tutto quanto faccia rima con il lusso”. Le cronache segnalano la presenza di una folla di vip e volti noti, inclusi un’assessora e un dirigente del consolato americano. Lei li accoglie sorridente, lunghi capelli neri e un filo di trucco. Nel frattempo mette le sue gioie in vendita online, inventando un blasone inesistente: “Dal 1800 abbiamo lavorato con l’intento di creare piccole opere d’arte che donassero emozioni. In oltre duecento anni abbiamo visto migliaia di occhi brillare”. Il sito spiega che “sono creati per la donna elegante e mai eccessiva. Il nostro intento è esaltare la naturale bellezza di ogni donna, regalandole attimi di felicità. Jungle by Serein è ispirata ai luoghi e ai colori incantevoli della Costiera Amalfitana”. In realtà, sembra tutto fasullo: si tratterebbe di bigiotteria acquistata in Cina a prezzi infimi e ribattezzata in maniera accattivante, tipo “giardini sbocciati” e “universo delle forme”. Maria Adela non pare interessata ai guadagni, perché fattura sempre poco – complessivamente 13mila euro di ricavi – mentre spende e spande per organizzare ceni e serate. Soldi di cui si ignora l’origine.

Marinai, donne e guai

La sua missione è un’altra. E riesce a realizzarla alla grande. Viene accettata nel Lions Club “Napoli Monte Nuovo”, un club molto particolare: è stato fondato dagli ufficiali della base Nato di Lago Patria, persino il logo ricalca il simbolo marziale della Allied Joint Force. I soci sono praticamente tutti militari, impiegati e tecnici dell’Alleanza Atlantica o della VI Flotta statunitense. Si tratta dei comandi che gestiscono le missioni della Nato e le attività della marina statunitense in Europa: il bersaglio più ambito dall’intelligence russa. Maria Adela nel 2015 ottiene addirittura la nomina segretaria del club ed è uno dei membri più impegnati, tanto che ne allestisce la pagina Facebook. Un tenente colonnello tedesco, l’Oberstleutnant Thorsten S., ha spiegato a Der Spiegel che il circolo era in crisi e allora il dirigente di uno dei più grandi Lions napoletani ha raccomandato Maria Adela: “Lei può rianimare le iscrizioni grazie alle sue relazioni internazionali e a quelle con la società civile”. Il colonnello ricorda che la donna era attivissima, partecipava a tutti gli eventi e nel 2018, quando le adesioni ripresero a declinare, si era offerta di pagare la tassa di iscrizione per tutti. “Non ho mai capito quali fossero le sue motivazioni”, ha detto l’ufficiale.

Quel club è stata la ragnatela perfetta, in cui l’agente del Gru ha agganciato numerosi ufficiali della Nato, imbastendo una vasta rete di rapporti, alcuni di natura sentimentale: uno dei dirigenti del Comando Atlantico ci ha confermato di avere avuto una breve relazione romantica, chiedendo l’anonimato. A tutti aveva giustificato la sua cittadinanza russa con una storia romanzesca: era nata in Sud America, figlia di un tedesco e una peruviana. Quando non aveva ancora due anni, la madre single l’aveva portata a Mosca per partecipare alle Olimpiadi del 1980. Ma poi era dovuta rientrare d’urgenza in patria, affidandola a una famiglia di conoscenti sovietici. La madre non è più tornata e Maria Adela è cresciuta nell’Urss, con un rapporto difficile con i genitori adottivi: “Durante l’infanzia il patrigno mi ha violentata. Per questo ho lasciato la Russia: non ci tornerò mai, il mio sogno è restare in Europa e sposarmi qui”.

Dentro il quartiere generale

Tra le persone che ha frequentato c’era il colonnello Shelia Bryant, all’epoca ispettore generale delle forze navali americane in Europa e Africa: un’avvocata laureata ad Harvard, che ha fatto parte in Iraq dello staff del generale Jim Mattis, poi capo del Pentagono. Shelia Bryant ora è tornata negli States, dove è stata candidata alla Camera per il Partito Democratico. Anche a lei Maria Adela aveva rifilato la stessa storia: “Mi era parso un racconto confuso e poco convincente. Perché qualcuno avrebbe dovuto abbandonare la figlia nell’Unione Sovietica?”. Non era l’unico elemento di dubbio: “Era difficile capire dove prendesse i soldi: aveva aperto un negozio e cambiava spesso appartamenti nelle zone più belle della città senza fonti di guadagno credibili. Non ho mai parlato di politica con lei e avevo accesso limitato alle informazioni militari confidenziali che potessero interessare al Gru: io e mio marito abbiamo contenuto i nostri rapporti alle interazioni sociali. Ricordo che aveva relazioni non solo con ufficiali e funzionari statunitensi, ma pure belgi, tedeschi e italiani. Noi abbiamo cercato di aiutarla in quelli che sembravano i suoi problemi sentimentali con gli uomini…”.

Pure altre amiche hanno riferito la stessa impressione, parlando di tante passioni in apparenza tormentate. Le persone che ha avvicinato nei ranghi atlantici e della Us Navy sono tante. Era molto legata all’allora Data Systems Administrator del quartier generale atlantico: la responsabile dei sistemi informatici più sensibili. Ma le due avrebbero litigato all’improvviso nel 2018. La donna non lavora più per la Nato: aveva dato la disponibilità a parlare con Der Spiegel, ma appena ha conosciuto l’argomento si è negata. Così come hanno fatto altri degli amici in uniforme di Maria Adela. Diversi lavoravano nell’ospedale americano di Gricignano; altri negli uffici comunicazione; alcuni però avevano incarichi più operativi, ad esempio un colonnello olandese. Li ha invitati a casa sua, in ristorante, è stata ospite nei loro appartamenti: almeno uno ricorda di avere fatto shopping nella sua boutique. Ogni anno per il suo – finto – compleanno organizzava una cena a bordo piscina. Non sappiamo se fosse riuscita fisicamente a entrare nella base Nato o nel comando Usa ma ci sono indizi robusti della sua presenza durante alcune cerimonie: i balli annuali della Nato, quello del Corpo dei Marines, diverse serate di beneficenza.

La massima infiltrazione

Maria Adela pare non conoscere limiti. Nella sua pagina Fb mostra le foto di un viaggio in Bahrein, dove ha sede l’altra flotta militare Usa e dove incontra il primo ministro, il principe Al Khalifa, a cui dona alcuni gioielli della sua griffe. Nel frattempo sposta la sede della società a Milano, a pochi metri dal Duomo, negli uffici di un commercialista di spicco: l’ultimo bilancio mette nero su bianco 300mila euro di perdite, probabilmente le spese per la frenetica attività di rappresentanza.

La nostra inchiesta non è riuscita a ricostruire quali informazioni siano state ottenute dalla spia, né se sia stata capace di seminare virus informatici nei telefoni e nei computer dei suoi amici. E’ però entrata in contatto con figure chiave della Nato e della Marina Usa: nessun agente russo era mai riuscito a penetrare così in profondità il vertice dell’Alleanza atlantica. Non è stato neppure possibile accertare se esiste un legame tra questa operazione e un’altra clamorosa storia di intelligence: l’arresto di un colonnello francese in servizio nel quartier generale di Napoli. L’ufficiale è finito in carcere a Parigi nell’estate 2020 con l’accusa di avere venduto dossier top secret proprio al Gru. Maria Adela però era già scomparsa.

Prende il volo il 15 settembre 2018, immediatamente dopo le rivelazioni sugli 007 russi che hanno sparso veleni letali attraverso l’Europa. Gli amici napoletani la contattano invano sui social, l’ultimo fidanzato – un contractor in servizio nella base americana – la tempesta di mail. Nessuna replica per settimane. Il coup de théâtre arriva il 19 novembre 2018 con un post in italiano e inglese, in cui fa capire di avere un tumore. “La verità che devo finalmente rivelare. Stavo provando a nascondermi da me stessa, in qualche momento ci sono riuscita! Adesso i capelli stanno crescendo dopo la chemio, corti corti ma ci sono… Mi manca tutto, però sto provando a respirare. Ps: grazie a tutte le persone che non hanno smesso di bombardarmi con i messaggi. I love you”. Nella foto del profilo ha un caschetto biondo: è l’ultima immagine prima del silenzio. Lo ha rotto solo nei confronti di Marcelle D’Argy Smith, l’ex direttrice di Cosmopolitan, a cui ha scritto su Whatsapp lo scorso dicembre: “Ci sono tante cose che non posso  (e non sarò mai in grado) di spiegare ma sappi che mi manchi moltissimo”.

La figlia del colonnello

Maria Adela è stata molto abile nel celare le sue tracce. Ma una lunga analisi nei database russi divulgati negli ultimi anni, intrecciando le notizie disponibili e usando software per la comparazione dei volti, ha permesso di scoprire il suo vero nome: Olga Kolobova, nata nel 1982. Il punto di partenza è stata la foto di un vecchio passaporto: una ragazza che sparisce per tredici anni, salvo ricomparire a Mosca alla fine del 2018, quando in poco tempo compra due appartamenti di lusso e un’Audi pur lavorando come impiegata di basso livello in un ufficio pubblico.

Non solo. Il padre è stato il preside di una facoltà militare nell’università di Ekaterinburg: un colonnello che ha ricevuto numerose medaglie “per avere servito la patria all’estero, in Angola, Iraq e Siria” e che quindi si è occupato di intelligence. Il colonnello è andato in pensione nel 2007: spesso gli agenti del Gru vengono reclutati proprio tra i figli degli ufficiali. L’indizio finale l’ha fornito a Bellingcat un whistleblower russo: la foto della nuova patente di guida di Olga Kolobova, scattata nel 2021, che ha un elevata percentuale di coincidenza con il viso di Maria Adela. La prova definitiva però arriva dall’immagine sul profilo whatsapp di Olga Kolobova: è la stessa con i capelli biondi a caschetto pubblicata da Maria Adela nell’ultimo messaggio. Su Odnoklassniki  (OK), uno dei social network più diffusi in Russia, Olga in questi mesi ha diffuso testi che inneggiano all’invasione dell’Ucraina nel gruppo “Amici di Putin”. Questa però è la cosa meno sorprendente della sua incredibile avventura di spia.

Di Floriana Bulfon. (La Repubblica)