(Roma, 07 dicembre 2021). Le elezioni in Libia sono sempre più incerte a meno di tre settimane dalla data del 24 dicembre, il giorno in cui oltre 4 milioni di libici saranno chiamati a votare per il futuro presidente e (forse) per rinnovare il Parlamento del 2014. Fonti diplomatiche hanno confermato a Insideover che oramai, per capire come andrà il nuovo corso libico, occorre attendere una data fatidica: è quella del 10 dicembre. Per quel giorno, comunque vada, tutte le candidature devono essere depositate e, al netto di ricorsi e controricorsi, deve partire la campagna elettorale della durata di almeno due settimane. In caso contrario, il voto slitterà automaticamente per motivi tecnici. Fra poche ore si capirà quindi se la Libia potrà realmente andare al voto e con chi dopo la “battaglia” dei ricorsi elettorali, che ha visto alcuni candidati giocare sporco. La tempistica sul rilascio della lista ufficiale dei candidati dipende però dalle prossime mosse del presidente dell’Alta commissione elettorale, Imad al Sayeh: nel momento in cui scriviamo è in corso a Qubbah, roccaforte del presidente della Camera dei rappresentanti Agulah Saleh, un faccia a faccia che potrebbe rivelarsi decisivo.
Chi sono i candidati
Nessun candidato ha avuto una facile via d’accesso alle elezioni. Tutti grossomodo hanno dovuto affrontare non pochi episodi tragicomici prima di vedere il proprio nome nelle liste elettorali. A cominciare dal figlio del rais, Saif Al Islam Gheddafi. Quando ha depositato la sua domanda al collegio elettorale, l’erede politico di Muammar è apparso in video con un vestito tradizionale, la barba lunga e tre dita della mano destra di meno. Erano dieci anni che non si vedeva in pubblico, la sua candidatura ha quindi rappresentato una svolta importante nella corsa elettorale. Ma non sono mancati immediati ricorsi contro di lui. Gheddafi è ufficialmente ricercato dalla Corte penale internazionale e questo potrebbe rendere la Libia, in caso di elezione del figlio del defunto rais, una sorta di paria del Mediterraneo, con un presidente impossibilitato a visitare l’Occidente come l’ex presidente sudanese Omar al Bashir. Non solo. Saif al Islam è stato anche condannato a morte nel 2015 per il suo presunto ruolo nella guerra del 2011, ma ha ricevuto un’amnistia dal parlamento di Tobruk. Per giorni gli avvocati del figlio del rais non hanno potuto depositare il ricorso. Non per mancanza di argomentazioni, bensì perché alcune milizie legate all’esercito del generale Khalifa Haftar hanno fisicamente impedito l’accesso ai legali presso il tribunale di Sebah. Soltanto il 2 dicembre il ricorso è stato depositato e vinto, con Gheddafi ufficialmente (al momento) ammesso.
Anche Haftar dal canto suo non è passato inosservato subito dopo la presentazione della candidatura. Una corte di Misurata lo ha ufficialmente condannato a morte. Una pena che probabilmente non verrà mai scontata ma che è stata resa nota a meno di un mese dal voto per ricordare ai potenziali elettori le difficoltà che emergerebbero in caso di sua vittoria. Ad oggi è giunta notizia di un unico ricorso contro Haftar. Ma la cosa non deve sorprendere. I ricorsi vanno depositati nella città dove il candidato ha depositato la domanda. Haftar ha presentato la documentazione in una Bengasi da lui militarmente controllata. Difficile anche solo pensare che qualche giudice della Cirenaica possa mettere i bastoni tra le ruote dell’uomo forte della Cirenaica. Una candidatura molto forte sarebbe quella del premier uscente Ddedeiba. Ma anche qui non sono mancati ricorsi e colpi di scena. Quando è stato dato il via libera al governo da lui guidato, la premessa era che nessun membro dell’esecutivo doveva poi candidarsi alle elezioni. Ma il primo ministro è diventato popolare soprattutto nell’area della Grande Tripoli, che vanta più elettori e che sarà probabilmente decisiva per il voto.
E alla fine ogni cavillo burocratico è stato superato. Ddedeiba per la verità non avrebbe dovuto candidarsi sia per il ruolo ricoperto che per la doppia cittadinanza canadese. Qualcuno nella capitale libica i ricorsi è riuscito a depositarli, ma sono stati per qualche motivo respinti. Del resto anche Haftar ha cittadinanza statunitense eppure è stato ammesso alla partita. Regole poco chiare e norme derivanti da accordi sottoscritti sottobanco, stanno creando diverse situazioni tutt’altro che limpide. C’era però da aspettarselo. In Libia uno Stato non c’è e quindi la vera regola imperante è quella degli interessi delle singole parti. Altre candidature importanti sono quelle dell’ex ministro dell’Interno Fatih Bashaga, e dell’ex vice premier, Ahmed Maitig. Entrambi sono di Misurata, come del resto il premier uscente. Da non sottovalutare la candidatura di Aref Al Nayed. C’è anche la sua firma tra i ricorrenti contro Ddedeiba. Nativo di Bengasi ma appartenente alla tribù Warfalla, la più numerosa della Libia e stanziata soprattutto ad ovest, Al Nayed ha comunque accolto con frasi riconcilianti l’ammissione di Ddedeiba nella corsa elettorale. In totale potrebbero essere più di 90 i candidati. Ma il discorso è sempre lo stesso: prima di poter avere un quadro completo, occorre aspettare la data del 10 dicembre.
Tempi stretti
La strada verso le elezioni in Libia appare, come già scritto da Insideover, oggi come una frenetica corsa piena di imprevisti. Il tempo a disposizione è davvero poco e il processo elettorale è stato ostacolato dai cosiddetti “spoilers”, ovvero le forze che intendono guastare il quadro di stabilizzazione. Chiusa la fase dei ricorsi e annunciata la lista dei partecipanti, dovrebbe partire la campagna elettorale della durata di due almeno settimane. Ecco perché il 10 dicembre è davvero l’ultima data utile per evitare uno slittamento del voto. Da sottolineare, inoltre, che la modalità con cui si voterà ancora non è chiara. La Conferenza internazionale sulla Libia di Parigi dello scorso 12 novembre ha ribadito nero su bianco l’importanza di tenere elezioni presidenziali e parlamentari libere, eque, inclusive, credibili e soprattutto in simultanea il 24 dicembre 2021. Eppure, secondo le strampalate leggi emanate dalla Camera dei Rappresentanti, il voto sarà “a spezzatino”, con un primo turno delle presidenziali il 24 dicembre e un secondo turno a metà febbraio in concomitanza con le parlamentari: un po’ come giocare la finale di Champions League in due tempi, a distanza di quasi due mesi l’uno dall’altro. Non proprio il massimo.
Onu fuori dai giochi ?
Tutto questo mentre le Nazioni Unite ormai non sembrano più toccare palla. L’inviato Onu Jan Kubis è riuscito nell’ardua in impresa di vincere l’ambito “Cucchiaio di legno” di peggior rappresentante speciale dimettendosi dall’incarico il 17 novembre. Già lo scorso 27 agosto su Insideover avevamo predetto che il piano delle Nazioni Unite per portare la Libia alle elezioni faceva acqua da tutte le parti. Eppure non ci voleva una palla di vetro. Il mandato dello slovacco Kubis cesserà completamente a partire dal 10 dicembre e il suo sostituto, il diplomatico britannico Nicholas Kay, è stato bloccato dal veto della Russia del Consiglio di sicurezza.
Le Nazioni Unite sono sul punto di alzare bandiera bianca? Il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, ha giocato la sua ultima carta reintegrando Stephanie Williams, ex inviato ad interim delle Nazioni Unite per la Libia. Ieri sera, infatti, il numero uno del Palazzo di vetro ha nominato la diplomatica statunitense come “consigliere speciale per la Libia”, una posizione che consente di entrare subito in azione e aggirare il veto di Mosca. Fonti di Tripoli citate da “Agenzia Nova” riferiscono che “molto probabilmente si sta andando verso un rinvio elezioni che dovrà gestire proprio Williams”.
Principali sponsor dietro i candidati
In un contesto come quello libico, dove da un decennio si concentrano interessi internazionali, è lecito aspettarsi un coinvolgimento estero nelle elezioni. Ogni attore internazionale cioè potrebbe in effetti puntare su un proprio candidato. Il premier uscente Ddedeiba sembra mettere d’accordo molti. È un moderato, ha mostrato capacità governative almeno a Tripoli, ha buoni rapporti soprattutto con l’Italia e la Turchia, la sua elezione non scontenterebbe gli Usa. Con Draghi sembrano esserci buone sintonie, come dimostrato dall’incontro bilaterale tenuto nella capitale libica lo scorso aprile. Qualche imbarazzo in occidente la creerebbe un’eventuale vittoria di Saif Al Islam Gheddafi. Stati Uniti e Francia non la prenderebbero molto bene per via dei trascorsi con il padre. Su di lui starebbe puntando la Russia. Quando la candidatura era in forse è da Mosca che sono arrivati solleciti in suo favore. Forse, ma non è certo, Saif avrebbe sponsor anche negli Emirati Arabi Uniti.
Parigi dal canto suo potrebbe vedere di buon occhio l’avanzata di Fathi Bashaga, con cui ha stretto buoni rapporti soprattutto negli ultimi mesi. Chi invece sembrerebbe essere rimasto a corto di alleati è Khalifa Haftar. Il generale si è sempre mosso in autonomia dando grattacapi in passato ai suoi stessi sponsor, dalla Francia alla Russia, passando per gli Emirati. Forse soltanto l’Egitto di Al Sisi potrebbe sostenerlo, ma l’impressione è che l’ideatore dell’operazione Dignità sia in profonda difficoltà.
Di Alessandro Scipione, Mauro Indelicato. (Il Giornale/Inside Over)