(Roma, 29 agosto 2021). Fallimento delle forze di sicurezza, crollo dello Stato, autobombe ed evacuazioni. L’epilogo della campagna in Afghanistan non riguarda solo la “tomba degli imperi”, ma è un segnale d’allarme per diversi fronti di guerra. Le missioni in territori lontani, geograficamente e nel modo di vivere e fare la guerra dell’Occidente, compiute dove lo Stato non esiste o va ricostruito da zero, necessitano di tempo e devono essere modulate in base a territorio e popolazione. E con obiettivi certi che si è in grado di raggiungere. Senza queste condizioni, il rischio di “nuovi Afghanistan” disseminati nel mondo diventa sempre più concreto e verosimile.
La lezione afghana vale come monito per altre missioni. E per l’Europa l’avvertimento vale soprattutto per il Sahel, regione dove gli Stati nazionali appaiono come fragili autorità spesso più formali che sostanziali, che si trovano a fronteggiare un mondo fatto di guerriglia, clan, etnie e organizzazioni terroriste.
Molti analisti mettono da tempo in guardia sul fatto che gli errori dell’Afghanistan vengano riprodotti con cieca fedeltà anche nella regione africana. Errori che in larga parte vengono attribuiti al modus operando francese nel operazione Barkhane, da cui l’Eliseo vorrebbe lentamente tirarsi fuori. Il problema è che adesso, specialmente con l’avvio della missione europea Task Force Takuba, quel pantano africano può diventare di tutti, e non solo un problema di Parigi. A partire anche dall’Italia, impegnata nell’area con qualche centinaio di uomini e mezzi.
I numeri non sono certo paragonabili all’Afghanistan: ma l’impegno francese nell’area, e il ritiro paventato da molti, comportano il rischio di uno scenario affine – non identico – a quello dell’Asia centrale. Le milizie islamiste non sembrano sconfitte. Il territorio è vasto e molto spesso incontrollato o incontrollabile. Gli eserciti locali sono addestrati e supportati dalle forze occidentali, ma continua a essere necessario il sostegno delle tecnologie e dei mezzi europei. Con l’incubo che, in assenza di Stati realmente in grado di controllare, unire e rappresentare i militari sul campo, lo scioglimento degli apparati pubblici e degli eserciti locali sia uno scenario molto probabile.
A questo pericolo si aggiunge quello, più prossimo, dell’esplodere del terrorismo. L’attentato all’aeroporto di Kabul, con il sanguinario ritorno dello Stato islamico, ha fatto capire che quel bubbone di matrice islamista non è mai scomparso. E anzi potrebbe trovare nuove reclute e nuove spinte proprio in Africa. Dopo la riconquista talebana dell’Afghanistan e dopo la mattanza realizzata dall’Isis, molti analisti sono preoccupati per l’effetto emulazione nelle aree più remote e complesse del continente africano. Lo ha ribadito anche il ministro della Difesa Lorenzo Guerini, che intervistato da Repubblica, ha ricordato come “su scala globale l’epilogo afghano possa avere riverberi su altre regioni”. E ha citato specificamente il Sahel come area in cui è possibile un effetto dell’onda d’urto.
Le differenza ci sono e non vanno sottovalutate. Ma a preoccupare sono soprattutto le similitudini. Anche nella regione africana vi è un caotico rapporto tra sigle jihadiste. Con la presenza di Al Qaeda nel Maghreb e lo Stato Islamico del Grande Sahara, oltre a numerosi raggruppamenti che coinvolgono anche le due principali branche del terrore (preoccupa in particolare Jama’at Nasr al-Islam wal Muslimin). Anche qui, dopo quella che per anni gli esperti hanno definito “l’eccezione saheliana”, i due grandi rami dell’islamismo terrorista hanno iniziato a combattere. E le milizie jihadiste, oltre a combattere tra loro, sono a loro volta in guerra con eserciti locali, europei e delle missioni Onu. Nemici considerati estranei alle tradizioni religiose ed etniche locali e visti come usurpatori o frutto dell’Occidente.
La recrudescenza di queste organizzazioni, mescolate con uno scenario di scontri etnici, forze occidentali nella regione, antichi risentimenti coloniali e Stati fragili, può incendiare l’intero Sahel. La lezione afghana, in questo senso, può essere fondamentale per evitare che un altro inferno, più vicino al Mediterraneo e all’Europa, possa deflagrare investendo due continenti. E coinvolgendo direttamente e indirettamente anche l’Italia.
Lorenzo Vita. (Inside Over)