In Libia riparte la corsa alle armi

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(Roma, 20 aprile 2021). Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato all’unanimità una risoluzione per l’invio di osservatori a Sirte, città strategica al centro della nuova Libia “riunificata” ma de facto ancora divisa in due se non in tre parti. I circa 60 inviati (tra i quali potrebbero esserci anche degli italiani) dovranno monitorare il rispetto dell’accordo di cessate il fuoco raggiunto il 23 ottobre dalle due principali fazioni belligeranti: da una parte l’ex Governo di accordo nazionale del premier Fayez al Sarraj, sostenuto da Turchia e Qatar; dall’altra l’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna) del generale Khalifa Haftar appoggiato da Emirati Arabi Uniti, Egitto, Russia e inizialmente dalla Francia che, fiutata la malaparata, è stata abile a riposizionarsi.

Oggi la guerra in Libia è congelata grazie all’intesa raggiunta a Ginevra in autunno, ma non tutti i punti dell’accordo sono stati raggiunti. Gli stivali dei mercenari del gruppo russo Wagner sono ancora ben piantati sul deserto libico, la Turchia di Recep Tayyip Erdogan continua a inviare truppe, i ribelli del Ciad proseguono le loro scorribande lungo i porosi confini meridionali, l’Egitto e gli Emirati Arabi Uniti non sembrano intenzionati a mollare la Cirenaica, la strada costiera tra Misurata e Sirte resta chiusa e la produzione petrolifera rischia di chiudere senza un accordo sulla ripartizione dei proventi tra est e ovest.

Voli sospetti

Secondo il rapporto annuale dell’intelligence Usa sulle minacce globali, la partenza delle forze straniere dalla Libia è una delle maggiori incognite del 2021. “E’ probabile che l’Egitto, la Russia, gli Emirati Arabi Uniti e la Turchia continuino a fornire sostegno finanziario e militare ai rispettivi proxy. Un potenziale punto critico sarà se Russia e Turchia rispetteranno il cessate il fuoco, mediato dall’Onu nell’ottobre 2020, che chiede la partenza delle forze straniere”, si legge nel report che, peraltro, dedica alla Libia appena sette righe su 24 pagine. E infatti i sistemi di tracciamento radar open source hanno rilevato almeno sei voli sospetti nelle ultime settimane. Si tratta in particolare di tre aerei cargo dell’Aeronautica militare della Turchia; due velivoli militari inviati dall’Egitto a Sebha, capoluogo della regione libica meridionale del Fezzan; un volo di “rientro” in Siria della compagnia siriana Cham Wings, sospettata di violazioni dell’embargo Onu da parte di Russia ed Emirati Arabi Uniti.

Almeno uno dei tre Airbus A400M turchi è atterrato a Tripoli portando 150 mila dosi del vaccino cinese Sinovac contro il Covid-19. Gli altri due voli sono atterrati nella base militare di Al Watiyah, a ovest della capitale libica, molto probabilmente per portare attrezzature militari. Come sottolinea l’Agenzia Nova, “sembra d’altronde improbabile che siano stati impiegati tre Airbus A400M, con stive dal volume di 340 metri cubi e capacità di carico fino a 37 tonnellate, per trasportare una quantità significativa ma non particolarmente cospicua di vaccino”. Altri due aerei da trasporto C-130 dell’Aeronautica sono invece atterrati a Sebha, città sotto il controllo delle milizie del generale Haftar, per portare non meglio precisati “aiuti medici” contro il Covid. Il sospetto è che dentro le casse con scritto “mascherine” ci fossero armi. Il volo della Cham Wings è stato invece tracciato solo al ritorno: segno che la rotta di andata è stata probabilmente fatta a transponder spento.

Traffici nel deserto

A questo ponte aereo si aggiunge il traffico terrestre di armi, droga, miliziani ed esseri umani che prosegue indisturbato lungo i porosi confini meridionali della Libia. Quasi 2.000 chilometri di deserto sono impossibili da controllare per qualsiasi Stato, figuriamoci per un Paese come la Libia dilaniato da dieci anni di guerra civile. E pensare che il Trattato di amicizia italo-libico del 2008 firmato da Silvio Berlusconi aveva affidato all’allora Finmeccanica il compito di fornire un moderno sistema di monitoraggio radar in grado di rilevare anche i movimenti di gruppi di persone a piedi. Una parte delle costose apparecchiature da 300 milioni di euro erano state consegnate all’ex Jamahiriya di Muammar Gheddafi, ma sono andate perdute a Bengasi durante la rivoluzione del 2011. Un vero peccato: al nuovo premier libico Abulhamid Dabaiba (che ha saggiamente tenuto per sé l’interim del ministero della Difesa) avrebbe fatto comodo il sistema di monitoraggio delle frontiere terrestri ad alta tecnologia “Made in Italy” messo a punto da Selex e Gem Elettronica. Anche perché in Ciad soffiano venti di guerra e il rischio di una nuova ondata di profughi (se non di vere e proprie invasioni di miliziani armati e di spillover del conflitto) è sempre più concreto.

Alessandro Scipione. (Inside Over)