(Roma, 02 aprile 2021). Negli ultimi mesi si è giustamente parlato molto dell’Italia come “ponte” e base per jihadisti intenzionati a colpire in Europa, in particolare in Francia e Germania. I recenti casi di Brahim Aouissaoui, il tunisino che il 29 ottobre 2020 uccideva tre persone presso la Cattedrale “Notre Dame” di Nizza (decapitandone una) e quello dell’arresto del complice dei terroristi del Bataclan, l’algerino Athmane Touami, entrambi passati per Bari: il secondo arrestato proprio nel capoluogo pugliese a inizio marzo 2021, mentre il primo addirittura traghettato in città su una nave quarantena dopo essere sbarcato illegalmente in Sicilia e poi lasciato libero di circolare sul territorio, parlano chiaro.
Vi è però un’altra area di confine tra Europa e mondo islamico dove nelle ultime settimane ci sono stati sviluppi interessanti, precisamente quella che ingloba Spagna e Marocco, due Paesi da sempre al centro dell’attività jihadista e i cui servizi di sicurezza non a caso collaborano costantemente nella prevenzione di attentati e infiltrazioni jihadiste. È così che mentre nel Paese nordafricano veniva sgominata una cellula in contatto con gruppi terroristici del Sahel e in cerca di obiettivi da colpire, in Spagna veniva invece arrestato un medico siriano, presidente dell’Unione delle Comunità Islamiche di Spagna, una delle più note associazioni islamiche del Paese, con l’accusa di finanziamento al terrorismo internazionale di stampo islamista; un provvedimento che riaccende i riflettori su quell’Islam politico organizzato, già preso di mira dalla Francia in quanto indicato come “separatista” e che in questo caso mostra anche legami con il terrorismo internazionale, specificatamente quello attivo in Siria, ma è bene procedere con ordine.
La cellula di Oujda
Lo scorso 25 marzo le autorità marocchine rendevano noto di aver sgominato una cellula dell’Isis composta da quattro individui operanti a Oujda, città nel nord-est del Paese a ridosso del confine algerino. L’operazione è stata coordinata dal Direttorato Generale per la Sorveglianza del Territorio-Dgst e con l’ausilio dei servizi di intelligence statunitensi.
I quattro terroristi, di età compresa tra i 24 e i 28 anni, sono stati arrestati in quattro quartieri differenti della città. Gli uomini delle forze speciali hanno dovuto utilizzare delle stunt-granades (le cosiddette “flashbang”) per neutralizzare il capo-cellula, indicato come armato ed estremamente pericoloso, mentre un secondo terrorista è stato arrestato sul tetto di un vicino edificio mentre tentava la fuga.
Le perquisizioni effettuate nell’abitazione del leader della cellula hanno portato al ritrovamento di un’elevata somma di denaro in Euro, quattro passaporti (nascosti in una cassaforte) appartenenti ai membri del gruppo, armi bianche ed equipaggiamento per computer.
Secondo gli inquirenti, i quattro membri della cellula marocchina avevano giurato fedeltà all’Isis ed avevano in programma di raggiungere campi di addestramento jhadisti nel Sahel per addestrarsi, partecipare a operazioni e poi mobilitarsi per compiere attacchi ordinati dall’Isis contro strutture governative e militari in territorio marocchino.
In aggiunta, i soggetti in questione avevano già effettuato alcune perlustrazioni per identificare potenziali target ed erano alla ricerca di istruzioni specifiche per la costruzione di ordigni esplosivi, ma anche di supporto logistico e finanziamenti che speravano di trovare proprio tramite i contatti con l’Isis nel Sahel.
L’operazione del 25 marzo mette in evidenza ancora una volta come la minaccia jihadista in Marocco resti elevata e come il Paese continui ad essere un target di membri e sostenitori dell’Isis, come già reso noto a inizio marzo dal direttore dell’Ufficio Centrale per le Indagini Giudiziarie (Bcij), Cherkaoui Haboub che ha anche ricordato l’agguato mortale alle due turiste scandinave nel 2018 per mano di un gruppo jihadista.
Haboub ha poi espresso la propria preoccupazione per la zona del Sahel, indicata come “grande pericolo e grande sfida alla sicurezza per il Marocco ma anche per i Paesi limitrofi” a causa dell’instabilità politica e socio-economica, l’inadeguatezza del controllo del territorio, in particolare nel Mali. Il direttore del Bcij ha poi spiegato che in seguito alla sconfitta dei jihadisti in Siria e Iraq, qaedisti e membri dell’Isis hanno trovato terreno fertile nel Sahel, proprio grazie a tali carenze.
La collaborazione tra Spagna e Marocco in chiave anti-jihadista
A inizio dicembre il Dgsi marocchino aveva collaborato con il Centro Nacional de Inteligencia e la polizia spagnola nell’arresto di un un cittadino marocchino individuato nei pressi di Madrid ed accusato di propaganda jihadista, disseminazione di materiale per l’auto-addestramento e minacce. Due mesi prima Spagna e Marocco avevano invece smantellato una cellula jihadista attiva a Melilla e alle Canarie, mentre nel dicembre del 2019 i due Paesi sgominavano un’altra cellula composta da quattro terroristi, tre dei quali arrestati a Nador e uno in Spagna, a Guadalajara. A gennaio 2021 un altro marocchino veniva invece arrestato a Barcelona assieme a due cittadini libici, tutti e tre indicati come ex foreign fighters in Siria ed accusati di voler organizzare attentati in territorio spagnolo.
Il coordinamento tra l’antiterrorismo dei due Paesi è nota e d’importanza fondamentale, come ad esempio nelle indagini che hanno portato all’arresto degli otto membri, tutti marocchini, della cellula resasi responsabili del massacro della Rambla a Barcellona nell’agosto del 2017. Uno dei terroristi, Abdelbaki Es Satty, che aveva anche svolto il ruolo di imam presso la moschea a Ripoll, originario della zona montagnosa del Riff, era già noto in Marocco come trafficante di hashish verso la Spagna e il suo nome era anche stato trovato nelle agendine di alcuni terroristi di al-Qaeda che avevano perpetrato gli attentati a Madrid del 2004.
L’arresto del leader dell’Unione delle Comunità Islamiche di Spagna
Intanto la scorsa settimana le autorità spagnole arrestavano il 74enne medico siriano Mohamed Ayman Adlbi, presidente dell’Unione delle Comunità Islamiche di Spagna (l’equivalente spagnolo dell’Ucoii) ed altri tre individui, con l’accusa di aver finanziato gruppi terroristici di stampo islamista in Siria, ma anche di riciclaggio di denaro, frode, falsificazione di documenti e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Nello specifico, come riferito dal sito di Europol, i sospettati non solo avrebbero utilizzato delle ong per finanziare gruppi qaedisti, ma si sarebbero anche serviti di fondi indicati come diretti ad orfani di guerra siriani e volti alla radicalizzazione e all’addestramento proprio di questi ultimi per continuare la lotta armata in Siria.
Adlbi era arrivato in Spagna dopo essere fuggito dalla Siria negli anni 70, per poi diventare medico e assumere ruoli dirigenziali nell’Islam organizzato di Spagna. Una storia analoga a diversi medici siriani nonché esponenti dell’Islam organizzato targato Ucoii in Italia. Il medico era poi diventato presidente dell’Unione delle Comunità Islamiche di Spagna e nel luglio del 2020 era anche stato eletto alla presidenza della Commissione Islamica di Spagna (Cie), che coordina le attività della comunità musulmana in concerto col governo spagnolo.
Il Cie dal canto suo ha emesso un comunicato col quale condanna l’arresto:“Dobbiamo esprimere il nostro grande dispiacere per il fatto che l’estremo della detenzione sia stato raggiunto quando avrebbe potuto essere risolto con un’interrogatorio “, ha detto Adlbi in una dichiarazione nella quale ha descritto i sospetti della polizia come “infondati”. L’uomo è stato successivamente rilasciato su cauzione e dopo essersi dichiarato offeso dall’arresto, ha affermato di nutrire fiducia nella Giustizia e di comprendere la necessità di procedere con le indagini.
I “Ponti” che collegano Europa e mondo islamico
L’Europa ha tre “ponti” sui quali l’infiltrazione jihadista può fare affidamento: quello marittimo che collega l’Italia al nord-Africa; la rotta terrestre balcanica e quella che collega Spagna e Marocco tramite Stretto.
Per quanto riguarda il passaggio italiano e quello spagnolo, emerge sempre più chiaramente come il problema del Sahel sia sempre più rilevante in relazione al terrorismo islamista, come già espresso dalle autorità spagnole, da quelle marocchine, ma anche dalla Francia che è attiva nella regione con il proprio esercito dal gennaio 2013.
Il direttore dell’Ufficio Centrale per le Indagini Giudiziarie del Marocco, Cherkaoui Haboub, ha ragione quando afferma che il Sahel, in particolare il Mali, rischia di diventare una nuova Siria.
Trattasi infatti di un Paese istituzionalmente fragile, con un governo centrale incapace di controllare il proprio territorio e costretto a fare affidamento sull’intervento militare francese. Poco più a sud-est, nel nord della Nigeria, è attivo Boko Haram, con presenza anche nel sud del Niger e nel Chad. Lasciare campo libero ai jihadisti in Mali e nel Sahel in generale, comporterebbe un rafforzamento degli islamisti con modalità simili a quanto avvenuto tra Iraq e Siria con l’avvento dell’Isis ed è esattamente ciò che va scongiurato, perché le ripercussioni si farebbero sentire anche in Europa. Ben venga dunque una cooperazione tra Spagna, Marocco e Francia, ma bisogna fare di più per arginare le infiltrazioni, anche in Italia dove purtroppo la situazione è tutt’altro che rosea, come dimostrano i fatti.
Giovanni Giacalone. (Inside Over)