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Mosca, il «day after»

(Roma, 24 marzo 2024). Davanti il Crocus City Hall nelle ultime ore è stato un via vai di moscoviti che hanno reso omaggio alle vittime. Il silenzio in questa zona occidentale della capitale russa, è rotto soltanto dai mezzi di soccorso ancora a lavoro per mettere in sicurezza le aree più colpite dall’attentato di venerdì. L’eco dell’attacco sta riproducendo i suoi effetti altrove.

In Tagikistan ad esempio, Paese di provenienza degli attentatori arrestati sabato mattina. A Sebastopoli, lì dove gli ucraini hanno portato avanti nella notte uno degli attacchi più importanti da quando è iniziata la guerra e hanno colpito la città della Crimea con almeno trenta missili. E persino in Polonia dove, sempre nella notte, per 39 secondi un missile russo diretto a Leopoli ha sorvolato lo spazio aereo di Varsavia.

In poche parole, a Mosca si lavora sulle macerie e sul lutto per i morti mentre, da altre parti, i rumori sordi dei missili e degli aerei hanno subito ricordato a tutti che la guerra sta andando avanti inesorabilmente.

La pista tagika e gli spettri dell’Isis-K

L’elemento peculiare dell’attentato al centro commerciale di Mosca, riguarda l’assenza di kamikaze. Una circostanza ancora oggi di difficile lettura. In tutti gli attacchi di matrice islamista, il “martirio” non è solo messo in conto dagli assalitori ma in certi casi è anche considerato come il fine ultimo della missione. Venerdì invece, il commando ha pianificato una rapida fuga dall’edificio assaltato.

Un’auto bianca ripresa dalle telecamere ha aperto la strada a una specifica pista investigativa, quella tagika. Il mezzo era infatti di proprietà di un tagiko e, una volta rintracciato nella regione di Bryansk, le forze russe hanno accertato la presenza a bordo di cittadini tagiki.

L’assenza di kamikaze ha quindi dato modo di arrivare all’identificazione dei presunti responsabili. Se davvero la pista tagika dovesse rivelarsi quella esatta, si aprirebbero molti scenari. Il Tagikistan è un Paese confinante con l’Afghanistan, lì dove a essersi diffuso maggiormente negli ultimi anni è stato l’Isis-K. Ossia la filiale non solo propriamente afghana ma, più in generale, centroasiatica dello Stato Islamico. L’organizzazione ha raccolto, soprattutto da quando nel 2021 i talebani sono tornati al potere a Kabul, sempre più aderenti sia in Tagikistan e sia tra i tagiki afghani. Questi ultimi rappresentano un’importante minoranza all’interno del Paese e, considerando l’origine etnica pasthun dei talebani, stanno vedendo sempre di più nell’Isis-K un’organizzazione di riferimento.

L’attacco portato avanti da tagiki a Mosca dunque, potrebbe aver aperto un fronte da non sottovalutare tanto in Russia quanto da altre parti: è tra i monti del centro Asia infatti che potrebbero arrivare le future minacce del terrorismo islamista.

Ore cruciali al Cremlino

Se attorno il centro commerciale attaccato vige un silenzio misto a ricordo e lutto per le vittime, appaiono invece sempre più febbrili le attività attorno al Cremlino e ai palazzi del potere russo. Sabato il presidente Vladimir Putin ha parlato e ha promesso di catturare tutti e di impartire a esecutori e mandanti una severa punizione. Ma ha anche accennato a un collegamento tra la pista tagika e quella ucraina: “I terroristi – ha dichiarato – sono stati arrestati vicino l’Ucraina, lì dove avevano una finestra aperta a loro disposizione”.

Una frase che, quasi paradossalmente, appare più moderata rispetto alle posizioni espresse da molti deputati della Duma dopo le notizie relative agli arresti. All’interno del parlamento russo, l’idea di un coinvolgimento ucraino è stata data quasi per certa. Putin ne ha fatto un cenno, senza però aggiungere altro. Probabilmente perché, osservando anche una semplice cartina, al Cremlino ci si è resi conto che in realtà il confine più vicino al luogo della cattura dei presunti terroristi è quello bielorusso.

Inoltre, all’interno delle sedi presidenziali russe è probabile che in tanti si stiano interrogando su come dei terroristi siano riusciti a percorrere, di fatto indisturbati, più di 300 km. Il tutto senza essere fermati a un posto di blocco o essere riconosciuti nelle stazioni di rifornimento delle autostrade a sud di Mosca. L’impressione è che il Cremlino è consapevole di avere nel terrorismo islamista un nemico sempre più forte. Un nuovo fronte non del tutto inatteso ma, senza dubbio, certamente non ideale da affrontare in questa fase.

I raid a Sebastopoli e Leopoli

Forse non sono direttamente collegabili all’attentato di venerdì, ma i bombardamenti delle scorse ore in città lontane dalle linee del fronte confermerebbero come, anche per via indiretta, l’assalto islamista possa aver fatto da acceleratore del conflitto. Per la prima volta infatti, a 24 ore dagli attentati di Mosca, l’Ucraina ha lanciato missili contro il centro di Sebastopoli. La città, situata all’interno della Crimea, è stata bersagliata per diverse ore e alcuni ordigni sono caduti sia nelle aree limitrofe il porto che in quelle centrali.

Dall’altro lato del fronte invece, i russi hanno lanciato una serie di raid contro Leopoli. Anche qui le sirene anti aeree non risuonavano da parecchio tempo. Uno dei missili ha fatto scattare anche l’allerta in Polonia, qui dove uno degli ordigni ha viaggiato per 39 secondi all’interno dello spazio aereo di Varsavia prima di deviare la traiettoria verso il territorio ucraino. Notte movimentata dunque da Mosca fino al confine ucraino-polacco, passando per la Crimea: ore intense mentre si cerca di venire a capo di quanto accaduto venerdì nella capitale russa.

Di Mauro Indelicato. (Inside Over)

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