L’attentato a Mosca, una crisi d’intelligence ?

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(Roma, 23 marzo 2024). I sanguinosi attentati di Mosca della sera del 22 marzo che hanno causato almeno 115 morti nell’assalto di un gruppo di uomini armati alla Crocus City Hall della capitale russa, vero e proprio “Bataclan russo”, sono un caso di studio fondamentale per capire, approfonditamente, il ciclo delle informazioni per la sicurezza vitale, oggigiorno, per prevenire o capire la matrice di casi del genere.

Nella “nebbia di guerra” delle prime ore, tra prese di posizioni azzardate, rivendicazioni di piste, accuse di false flag al governo di Vladimir Putin e incertezze è circolata ovunque la ripresa dell’allarme lanciato il 7 marzo scorso dall’ambasciata americana a Mosca che invitava i cittadini statunitensi nella capitale russa a evitare assembramenti affollati perché “gli estremisti hanno piani imminenti per prendere di mira grandi raduni a Mosca, compresi concerti, e i cittadini statunitensi dovrebbero essere avvisati di evitare grandi raduni nelle prossime 48 ore”. E sta emergendo la notizia di un flusso di informazioni tra intelligence Usa e russa su possibili minacce.

Dichiarare l’avvertimento del 7 marzo una “pistola fumante” della prevedibilità degli attacchi di ieri è quantomeno una presa di posizione eccessivamente avventata, almeno per ora: non ci sono stati attacchi nelle 48 ore successive e, del resto, l’attacco è arrivato a pochi giorni dall’uccisione di sei membri di Isis-K nella regione caucasica russa dell’Inguscezia, segno di un’allerta notevole di Mosca sul tema. Il dato da capire è se, nel quadro della reazione securitaria di Mosca alle informazioni raccolte sull’Isis-K e a quelle condivise dagli Usa, qualcosa non sia sfuggito soprattutto al controspionaggio dell’Fsb, il servizio segreto interno di Mosca. Il quale da due anni mostra di non essere nel migliore dei suoi stati operativi: la sottovalutazione delle forze operative ucraine da parte del suo Quinto Servizio prima dell’attacco, “buchi” come i raid di Belgorod e l’attentato fatale a Dariya Dugina, i recenti episodi di infiltrazioni di forze speciali, droni e unità d’intelligence ucraine nel Paese mostrano come la forza guidata da Aleksandr Bortnikov viva una fragilità operativa palese.

In quest’ottica è interessante leggere anche la crisi che ha portato all’escalation terroristica come una crisi d’intelligence. Se la Russia era ben conscia da tempo che Isis-K, che aveva messo il Paese nel mirino e già nel 2022 aveva tentato di colpire l’ambasciata russa nell’Afghanistan guidato dai Talebani a Kabul, e se a questa contezza si era aggiunto un più puntuale avvertimento degli Usa, i casi possono essere vari. Punto primo: qualcosa è sfuggito nel flusso informativo. E qui si può pensare al fatto che l’interlocuzione tra servizi segreti Usa e russi avvenga, ad esempio, principalmente per mezzo del rapporto tra l’Svr di Sergeij Naryskin e la Cia guidata da William Burns, con l’Fsb in secondo piano. E che al contempo l’indagine su Isis-K imponga di triangolare informazioni d’intelligence interne e estere e dossier diplomatici in scenari critici, come quello di Paesi come Afghanistan e Pakistan, ove il sedicente ramo centroasiatico dello Stato Islamico scorrazza da anni.

Fermo restando che anche con le tecnologie e le informazioni alle maglie dei servizi segreti qualcosa può sempre sfuggire, il buco d’intelligence o l’assenza di coordinamento politico in un apparato in cui, oggigiorno, sono giocoforza il confronto con l’Occidente e la guerra in Ucraina ad assorbire le massime e energie appare come un’ipotesi possibile. Il caso Hamas-Israele del 7 ottobre scorso ce lo conferma: è palese che fu la divisione tra i servizi segreti di Tel Aviv e il governo di Benjamin Netanyahu, che ha sottovalutato la minaccia jihadista, a giocare un ruolo decisivo nel ritardare la sorveglianza su Hamas da parte di un apparato inviato principalmente a mettere nel mirino l’Iran, il cui coinvolgimento nel 7 ottobre è stato smentito del resto dagli stessi servizi Usa.

Dunque: si può pensare che una cellula Isis-K, dopo il combinato disposto tra repressione crescente russa e allerte americane così puntuali, abbia accelerato un’operazione nota da tempo o sia riuscita a sfuggire al controllo di più servizi. O che le informazioni strategiche si siano bloccate tra Svr e Fsb; oppure che il controspionaggio Fsb si sia lasciato sfuggire qualcosa nel quadro del controllo militare, informativo e sistemico della minaccia. Non essendoci prove per poter mettere a dibattimento ipotesi come il false flag o il coinvolgimento di attori esterni come l’Ucraina, che non paiono in grado di aver capacità così ampie, resta il tema dell’ennesimo, possibile caso di crisi d’intelligence che apra la strada a un attacco terrorista.

Un copione che conosciamo da anni: Charlie Hebdo e Bataclan a Parigi (2015), Bruxelles, Istanbul, Nizza (2016), Londra, San Pietroburgo e Manchester (2017) sono esempi di attacchi in cui una scarsa supervisione o “buchi” informativi su singoli sospetti, spesso difficilissimi da individuare per tempo, hanno contribuito a impedire di evitare questi massacri. Il terrorismo islamista resta una forma molto “liquida” e insidiosa di minaccia. E l’attacco a Mosca mostra anche quanto sul tema sia fondamentale analizzare anche la questione sul piano della “diplomazia dell’intelligence“. In quest’ottica, il raffronto più chiaro è col recente caso degli attacchi di Kerman, in Iran, del 3 gennaio scorso.

Sul tema gli Stati Uniti avrebbero, infatti, allertato l‘Iran sulla possibilità di attacchi prima dell’attacco suicida alla tomba del generale Qasem Soleimani. Un avvertimento che sarebbe stato letto ai vertici del governo di Teheran come possibile “polpetta avvelenata” destabilizzante. Reuters sul tema ha citato fonti dell’intelligence Usa. Possibile che un avvertimento così esplicito possa essere arrivato, in segreto, dietro la vaga comunicazione d’allerta dell’ambasciata americana a Mosca, che si riferiva a generici “estremisti”? Difficile dirlo ma nel caso, visti i precedenti, difficile dire non sia stata creduta. Una virtuosa diplomazia tra intelligence impone, però, una chiara e precisa volontà di fissare linee rosse politiche da parte dei governi. E nel mondo della competizione senza limiti anche le informazioni diventano un’arma. Un altro dato da considerare mentre studiamo come il commando di membri dell’Isis-K possa aver fatto l’immane strage che ha sconvolto Mosca. Riportando l’Europa – di cui la capitale russa fa inscindibilmente parte – nel terrore jihadista dopo diversi anni.

Di Andrea Muratore. (Inside Over)