(Roma, 10.01.2023). L’ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato potrebbe non essere così scontato come sembra. I due Paesi, dopo aver fatto richiesta formale di adesione lo scorso maggio e aver iniziato l’iter di ratificazione a luglio, attendono ancora la firma di Ungheria e Turchia per poter aderire all’Alleanza Atlantica.
La Nato, infatti, richiede che ciascun Paese membro ne sottoscriva l’allargamento tramite votazione parlamentare, e se manca l’unanimità, il procedimento viene stracciato.
Budapest e Ankara hanno posto “lacci e laccetti” di natura diversa da sciogliere affinché Stoccolma ed Helsinki possano entrare nella Nato.
L’Ungheria, per voce del premier Viktor Orban, ha riferito che il parlamento si esprimerà a riguardo “nel corso della prima sessione” del 2023, e l’atteggiamento temporeggiante ungherese è spiegabile con la dipendenza energetica del Paese dalla Russia, che ha costretto il governo di Budapest ad atteggiamenti oltremodo prudenti riguardo al conflitto in Ucraina, al punto da essere ritenuto – a torto – perfino simpatizzante della causa del Cremlino.
In realtà l’Ungheria è un membro della Nato in prima linea nella difesa del fronte orientale dell’Alleanza – sebbene non utilizzi i toni allarmistici usati dalla Polonia – e lo schieramento di un Battle Group Nato entro i suoi confini dimostra l’impegno di Budapest nel meccanismo di difesa collettiva. Qualcosa che è avvenuto di recente, rispetto ad esempio a quanto visto nei Paesi Baltici nel corso degli ultimi anni, che certifica come l’Ungheria sia allineata ai principi dell’Alleanza.
Di tenore e portata del tutto diversi sono invece i “lacci” posti dalla Turchia. Recentemente il primo ministro svedese Ulf Kristersson è arrivato ad affermare che Ankara “vuole anche cose che noi non possiamo e non vogliamo dare”, ma nonostante questo si dice essere fiducioso che la Turchia approverà la domanda di adesione.
La Finlandia e la Svezia hanno firmato un accordo a tre con la Turchia nel 2022 volto a superare le obiezioni di Ankara alla loro adesione all’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico. Quando a maggio hanno i due Paesi scandinavi hanno chiesto di aderire alla Nato in risposta all’invasione russa dell’Ucraina, la Turchia si era opposta e li aveva accusati di ospitare terroristi del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk), considerato fuorilegge. La questione sollevata dal premier svedese è ancora legata all’asilo concesso ai militanti del Pkk.
“Di tanto in tanto, la Turchia menziona persone che vogliono vedere estradate dalla Svezia. Ho risposto che queste questioni sono gestite all’interno della legge svedese”, ha riferito ancora Kristersson. Ankara ha infatti espresso disappunto per la decisione presa alla fine dell’anno scorso dalla corte suprema svedese di fermare la richiesta di estradare un giornalista con presunti legami con lo studioso islamico Fetullah Gulen, accusato dalla Turchia di un tentativo di colpo di stato avvenuto nel 2016.
L’Alleanza, formalmente, non ha preso posizione sulla questione, sebbene il Segretario generale Jens Stoltenberg abbia affermato che è “inconcepibile” non difendere Svezia e Finlandia anche se la ratifica non è stata completata da tutti gli Stati membri. Per Stoltenberg non è pensabile che l’Alleanza non agisca se la sicurezza di Svezia e Finlandia è minacciata, volendo rimarcare la necessità di accelerare i tempi della ratifica dell’adesione e lasciando intendere che, de facto, i due Paesi sono già nella Nato, per cui il procedimento sarebbe solo un pro forma.
In effetti il Segretario non ha tutti i torti: abbiamo già avuto modo di analizzare come Svezia e Finlandia si siano legate sempre più nel corso degli anni all’Alleanza Atlantica proprio in risposta delle maggiori azioni aggressive della Russia verso i suoi Paesi confinanti, con un punto di svolta rappresentato proprio dal 2014 e dal colpo di mano effettuato in Crimea e dalla destabilizzazione del Donbass.
Liquidare l’adesione come un pro forma, però, potrebbe essere un errore da parte di Stoltengerg: la Turchia è il membro dell’Alleanza più influente e “ribelle”. La sua influenza non risiede tanto nella dimensione del suo esercito, il secondo della Nato per consistenza dopo quello degli Stati Uniti, quanto per la sua posizione strategica: un ponte tra Europa e Medio Oriente, ma soprattutto un Paese che ha il controllo degli Stretti del Bosforo e dei Dardanelli, e quindi in grado di poter imbottigliare la flotta russa del Mar Nero.
L’avvento di Recep Tayyip Erdogan ha anche rivoluzionato la politica estera turca e quella della difesa (del resto sono strettamente correlate, cosa che dovrebbe capirsi anche alle nostre “longitudini”) con Ankara che, di fatto, è diventata un attore regionale di primo livello e che è in grado di ottenere importanti concessioni sfruttando proprio il suo atteggiamento ambiguo nei confronti di altri attori internazionali. Gli Stati Uniti, ad esempio, hanno dovuto faticare non poco per evitare che la Turchia attivasse la batteria di S-400 acquistata dalla Russia, e dopo averla esclusa dal programma F-35 hanno ceduto dal punto di vista del rinnovamento della linea degli F-16 turchi, con grave preoccupazione da parte della Grecia, che infatti si è immediatamente rivolta a Washington per sondare la possibilità di ottenere il caccia di quinta generazione della Lockheed-Martin.
Proprio per questo suo atteggiamento ondivago, a volte perfino contrastante la linea della Nato, spesso si è considerata la possibilità della sua uscita dell’Alleanza – anche dalle parti di Washington – ma in questo momento storico serve più Ankara alla Nato che la Nato ad Ankara anche se i frutti della politica di modernizzazione degli armamenti turchi si vedranno tra due o tre lustri (anche se è cominciata ufficialmente la produzione del nuovo carro armato “Altay”, che così diventa il primo carro moderno di un Paese Nato dagli anni ’90) e quindi una sua possibile “uscita” è molto di là da venire.
Per questo la Turchia ha un peso decisionale non indifferente all’interno dell’Alleanza, e può permettersi “colpi di testa” occasionali per poter arrivare poi a trattative da posizioni di forza, proprio come sta accadendo per l’adesione di Svezia e Finlandia.
Siamo convinti che la Nato non si spaccherà davanti a questa questione, e che Ankara rientrerà tra i ranghi non appena avrà ottenuto qualche concessione, magari proprio riguardo alla motorizzazione del nuovo tank, che avrebbe dovuto essere tedesca se Berlino non si fosse opposta per via delle operazioni militari turche nel Kurdistan Siriano.
Di Paolo Mauri. (Inside Over)