L’Europa ha aumentato gli acquisti di armamenti dagli Usa, ed è un problema

0
332

(Roma, 09 novembre 2022). Grazie al conflitto in Ucraina, le vendite di armamenti di fabbricazione statunitense in Europa sono aumentate esponenzialmente. Dalla fine di febbraio a oggi, la spesa europea per la Difesa è aumentata di circa 230 miliardi di euro, con la sola Germania che prevede di modernizzare le sue forze armate per un importo complessivo di 100 miliardi.

Di questa mole di denaro, l’industria statunitense, che produce ed esporta più armi di qualsiasi altro Paese, è stata il principale beneficiario. Una tendenza in atto da tempo e determinata dalla crescente instabilità nel continente europeo grazie all’aggressività russa, in quanto nel periodo 2017-2021 la Norvegia ha investito l’83% del suo budget in armamenti di fabbricazione Usa, il Regno Unito circa 77%, l’Italia il 72% e i Paesi Bassi addirittura il 95%, come riferisce lo Stockholm International Peace Research Institute (Sipri), con le importazioni totali di armi che sono aumentate del 19% durante quel lasso di tempo rispetto ai cinque anni precedenti.

Per il Vecchio Continente è stato un brusco risveglio dopo un torpore durato decenni. Torpore determinato da una sensazione illusoria di pace in Europa e che ha portato i Paesi europei a non considerare prioritaria la modernizzazione e implementazione dello strumento Difesa.

Secondo William Hartung, ricercatore presso il Quincy Institute for Responsible Statecraft, da quando il presidente Joe Biden è entrato in carica, i paesi europei fanno sommare circa 33 miliardi di dollari di “offerte di armamenti”, come viene chiamata la fase iniziale dei negoziati per la vendita di armi, di cui 21 miliardi calcolati da febbraio 2022. La stima è comunque a ribasso, in quanto in quest’ultima cifra non vengono conteggiate le vendite commerciali dirette che sono più difficili da tracciare.

Uno dei motivi, individuati dal ricercatore del Quincy Institute, per cui così tanti Paesi si rivolgono ai produttori di armamenti statunitensi è che l’industria della Difesa Usa è così grande che non si deve attendere molto tempo per vedere sviluppate armi all’avanguardia. Un altro motivo è strettamente legato a questioni geografiche: i Paesi dell’Europa centro-orientale vogliono legarsi in modo particolare agli Stati Uniti e dimostrare di attribuire valore all’alleanza transatlantica, inclusa la Nato. Questa decisione deriva anche dalla differente percezione di sicurezza di questi Paesi rispetto ad altri all’interno del continente europeo: essendo più prossimi geograficamente alla Russia, la vedono maggiormente come una minaccia esistenziale, con parossismi in Polonia e nei Baltici.

La Polonia meriterebbe una trattazione a sé: non solo Varsavia fa pressioni su Washington per avere più truppe Usa sul proprio territorio, per condividere l’arsenale nucleare tattico, e dimostra interesse per gli armamenti made in Usa, ma ha anche “fatto spesa” di armi tra gli alleati degli Stati Uniti con un’importante commessa del valore complessivo di 20 miliardi di dollari con la Corea del Sud per la fornitura di 180 Mbt (Main Battle Tank) tipo K2, obici e 48 velivoli Fa-50.

Tornando ai sistemi d’arma fabbricati oltre Atlantico, l’oggetto di fascia alta più popolare è il cacciabombardiere di quinta generazione F-35: negli ultimi mesi la Finlandia ne ha ordinati 54, la Polonia ne ha ordinati 32 e perfino la Svizzera ha firmato un contratto di vendita. Altri 71 aerei sono stati ordinati dalla Norvegia, dai Paesi Bassi e dal Regno Unito ma facenti parte di contratti preesistenti.

Non solo caccia ma anche sistemi Mlrs (Multiple Launch Rocket System), missili da difesa aerea e Uav (Unmanned Air Vehicle). Il caso tedesco, da questo punto di vista, è particolarmente emblematico: Berlino ha deciso di acquistare gli F-35 per sostituire i Tornado nel ruolo di attacco al suolo (anche di tipo atomico), dopo temporeggiamenti durati anni che vedevano la possibilità di acquistare un mix di F/A-18 statunitensi (senza capacità nucleare) e nuovi Eurofighter Typhoon.

La macchina di Lockheed-Martin è, oggettivamente, arrivata a maturazione e rappresenta il top di gamma attualmente in commercio per questo tipo di ruolo, ma il flusso di denaro europeo che prende la strada di Washington non riguarda, come abbiamo detto, solo i caccia di quinta generazione, e pertanto l’industria degli armamenti nel Vecchio Continente, sebbene non resti a bocca asciutta, subisce un danno non indifferente. Gli Stati Uniti, va detto, non sono in testa in tutti i settori delle armi in Europa: per quanto riguarda gli Mbt, ad esempio, si tende ad acquistarli dalla Germania, oppure per le unità navali di superficie è dimostrato che l’Italia è leader nel settore.

Si sta però perdendo la possibilità di acquistare “in casa” e spesso è anche colpa del poco sostegno politico dato alle nostre produzioni – anche per via di rivalità campanilistiche –, che in alcuni settori non sono seconde a quelle statunitensi, anzi, le superano. È anche vero che, a volte, le tempistiche di produzione/consegna fanno pendere l’ago della bilancia verso oltre Atlantico, ma ci si chiede perché un organismo come l’Unione Europea non riesca a fermare quella che sembra un’emorragia di denaro diretto verso gli Stati Uniti. La Polonia, ad esempio, che presto destinerà tra il 3% ed il 5% del suo Pil alla Difesa, quest’anno ha speso 6 miliardi di dollari solo per armamenti statunitensi, e anche altri Paesi come Lituania, Finlandia e Grecia, che stanno aumentando i loro budget destinati a quel settore, sembrano propensi a rivolgersi più agli Usa che all’Europa.

Comprare “in casa” significa permettere all’industria locale di fare un ulteriore salto qualitativo e generare un circolo virtuoso di finanziamenti che producono non solo miglioramenti tecnologici ma anche, ad esempio, la creazione di nuovi posti di lavoro. Spesso e volentieri negli ultimi due anni si è parlato di “autonomia strategica” in seno all’Ue, ma questa non può attuarsi se non si comincia a stabilire politiche che regolino la compravendita di armamenti, soprattutto in quanto, proprio oltre Atlantico, le regole del “libero mercato” non vengono applicate con la stessa solerzia che Washington vuole vengano applicate qui.

Di Paolo Mauri. (Inside Over)