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Vladimir Putin attacca Kiev per rappresaglia e infiamma la guerra

(Roma, 10 ottobre 2022). Putin non può sembrare debole dopo le controffensive subite e davanti allo scotto dell’attacco al simbolico ponte di Kerč. Per il Cremlino colpire il centro civile di Kiev serve anche a infiammare il lato ucraino e portarlo sulla linea oltranzista che viene criticata da chi in Occidente vorrebbe negoziati. Che Putin dimostra di non voler tenere fino a che non raggiungerà i suoi obiettivi

Dopo appena due giorni dall’affidamento del comando delle operazioni in Ucraina a Sergei Surovikin, generale sanzionato per le brutalità commesse, l’intensità e la violenza degli attacchi russi sembra già aumentare. Questa mattina, per  la prima volta in otto mesi di guerra, il centro cittadino di Kiev è stato colpito da una salva missilistica. Le notizie sono ancora frammentarie, ci sono morti e feriti tra i civili, anche perché la capitale ucraina è distante da mesi dal centro delle battaglie — che la Russia ha spostato verso il Donbas riducendo il fronte offensivo davanti all’incapacità di sfondare su tutto il territorio.

Il generale Surovikin non ha problemi a svolgere e suggerire operazioni spietate. D’altronde fu lui l’artefice materiale della carneficina che dopo anni di assedio e battaglie portò nel 2016 alla resa di Aleppo, seconda città siriana distrutta dai russi per conto del regime assadista che non riusciva a liberarla dai ribelli. E in questo momento il regime di Vladimir Putin ha la necessità di mostrare concretamente le sue capacità punitive. In difficoltà sul fronte, con un élite che — partendo dal settore militare — mostra crepe e malcontento, Putin ha subito lo scotto dell’attacco al ponte di Kerč.

Quello colpito domenica 9 ottobre da un’operazione ucraina (non è ancora chiaro se da missili, o tramite un’incursione delle forze speciali, o più probabilmente tramite un barchino drone esplosivo), è uno dei monumenti simbolici del puntinismo. Collegamento tra mainland russo e Crimea, serviva a sottolineare con grandiosità (è il più lungo ponte d’Europa) la volontà ferrea con cui Putin conduceva i propri interessi e con cui superava la storia — quel ponte era un progetto che Mosca ipotizzava dal 1904.

Sfregiarlo, con le immagini delle fiamme e della carreggiata a rotaie sfondata e piombata nell’imbocco del Mar d’Azov, significa sfregiare l’immagine di Putin. Che tutto può adesso fuorché farsi vedere perdente, anche perché faticherebbe a sostenere un’ulteriore perdita di immagine. Né dai suoi cittadini (che soffrono il peso della guerra e fiutano le preoccupazioni della sconfitta), né dai suoi partner internazionali (che non vogliono di certo avere a che fare con un perdente; un debole sì, perché conviene, ma un perdente no).

L’attacco a Kiev, Dnipro e Zaporizhzhia, è una conseguenza attesa e per certi versi annunciata. La dottrina russa non giustifica l’uso della bomba atomica di fronte al colpo subito a Kerč, pur per quanto importante sia stato. Ma Putin non poteva farlo passare impunito, e non voleva far passare tempo per scatenare la punizione. Colpire Kiev, e infrastrutture critiche nell’occidente del Paese, erano già state indicate per esempio dal deputato russo Pyotr Tolstoy che proponeva  di attaccare “rifugi governativi” e le “strade dalla Polonia”.

Testimonianza di come Mosca non intenda trattare fino a che non ha raggiunto l’obiettivo di stabilizzare le quattro regioni annesse recentemente. Regioni che sono per ora in bilico, con Lugansk e Donetsk che subiscono le controffensive al nord-est e Kherson che subisce a sud (con arretramenti di controllo territoriale russo in contrazione giorno dopo giorno da almeno un paio di settimane) e Zaporizhzhia che di fatto è ancora contesa.

Il presidente russo ha per forza necessità di mostrarsi forte e in grado di andare oltre al colpo subito perché è la narrazione di questa guerra — che ancora il Cremlino chiama operazione speciale — che lo richiede. D’altra parte questi attacchi spietati contro i civili aumentano il desiderio di resistere e combattere tra gli ucraini, e questo può essere utile per la componente della narrazione con cui il Cremlino  riesce a sollevare, soprattutto in Occidente, citriche contro l’Ucraina che non intende trattare un negoziato.

Di Emanuele Rossi. (Formiche)

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